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Gilles Villeneuve


leopnd

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Voglio ricordarlo cosi'

Durante le prove del venerdi' al Glen '79 Laffite al muretto commento' cosi' i 10 secondi che Gilles aveva rifilato a Jody (2°).. “He’s different from the rest of us. On a separate level…”

In gara semina tutti al via e dopo 30 giri doppia Arnoux, (3°) con solo Jones che in qualche modo resiste e grazie alla super-Williams recupera la prima posizione con la pista asciutta, Entrambi cambiano le gomme, ma a Jones ne avvitano solo tre e la gara finisce come era giusto che finisse.

 

 

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ERA "LA SFIDA" FATTA UOMO

di Gianni Cancellieri, Autosprint, 11-18 maggio 1982

“Datemi un’automobilina a pedali oppure un missile, datemi qualunque cosa che si muova - io la porterò al limite”. La filosofia di Gilles Villeneuve era tutta qui, in una battuta ai margini fra guasconeria e paradosso meccanico. Il “limite” – questo obiettivo dinamico e ambiguo, questo traguardo impercettibile ma reale, così difficile da raggiungere, così facile da oltrepassare. Gilles ne era addirittura affascinato: voleva vivere al limite e lo ha fatto sempre, in corsa e fuori. Sempre. Forse proprio per questo Gilles era diventato con rapidità folgorante il pilota più acclamato e soprattutto più amato dalla gente fra quanti agiscono sui palcoscenici di questo sport, ove alle commedie ora brillanti ora anche noiose si alternano in scena vicende drammatiche o, ahimé, vere e proprie tragedie come quella di sabato scorso a Zolder.
La gente - e questa gente siamo tutti noi, cari amici - aveva capito che Gilles aveva qualcosa in più, qualcosa che ribolliva dentro e che doveva trovare per forza una via di espressione, in termini di pura velocità, di impegno agonistico disperato, di esaltante spettacolarità. Qualcosa di cui noi comuni mortali abbiamo tutto sommato una nozione assolutamente vaga e indistinta.

Ma chi sa più cos’è e che sapore ha una sfida? Oggi tutta la vita di quasi tutti scorre su binari squallidamente rettilinei, tutto previsto, tutto scontato. Per taluni aspetti é giusto, intendiamoci, fuori di certe norme o di certe garanzie c’é il caos oppure la sopraffazione. Ma è anche innegabile che la pianificazione di milioni e milioni di esistenze ha messo al bando in misura allarmante una quantità di valori che a costo di rischiare l’anacronismo ci ostiniamo a considerare non trascurabili: cultura, intelligenza, generosità, immaginazione, impegno personale e via dicendo. Il coraggio, lungi dall’essere considerato una virtù, è visto da molti come una matrice dell’esibizionismo (tipico di “quei pazzi che corrono in macchina o in moto”) e, dunque, come una sorta di vizio.

E quanto al verbo “sfidare”, chi sa più coniugarlo con un minimo di civiltà? Assistiamo, certo, a quotidiane e sanguinose sfide alla legge, altre ne veniamo a conoscere di tanto in tanto, non meno basse ma occulte anziché palesi: no, il parametro non può essere questo. Eppure, la vita cosiddetta “normale” offre pochissimi altri esempi, oscillanti fra il tragico e il grottesco: da un lato la guerra, all’estremo opposto il telequiz. E’ fra questi due poli che lo sport cerca e quasi sempre trova la giusta collocazione delle sfide fra i suoi protagonisti.

Gilles era “la sfida” fatta uomo. Sfidava tutto e tutti ma principalmente se stesso: l’angoscia primordiale della insufficienza delle proprie forze scatenava in questo piccolo grande uomo una capacità di reazione incommensurabile. A volte eccessiva, è stato detto e scritto ma – si sarebbe dovuto aggiungere ogni volta – sempre nel senso di “dare”, non certo dell’arraffare. Dare sempre e comunque il meglio di sé. Fino alla fine. Questa la lezione umana prima ancora che sportiva che Gilles ha lasciato a tutti. Non è un’eredità da poco.

La società affluente ha avviluppato la Formula 1 entro un groviglio ormai inestricabile di interessi che si calcolano con l’unità di misura dei milioni di dollari. Di questa gigantesca “torta” Gilles aveva ben presto ottenuto la sua cospicua e più che meritata “fetta”. Si sarebbe potuto accontentare, addirittura ritirarsi e vivere a lungo nell’agiatezza con Johanne, Jack e Melanie, che adorava. Ma non sarebbe stato Gilles. Oppure avrebbe dovuto rinnegare se stesso e nemmeno questo per lui era concepibile. Ha voluto battersi fino all’ultimo e se n’è andato con quel volo agghiacciante che non ci uscirà mai più dagli occhi. Così come il suo ricordo non potrà mai uscirci dal cuore.

Oggi lo piangiamo quasi come si piange un fratello perduto per sempre. Non ci conforta più di tanto pensare che il suo grande spirito inquieto ha trovato una pace che certo nessuna macchina, nessuna pista, nessuna vittoria gli avrebbe potuto dare. E sappiamo con certezza che, prima o poi, altri campioni emergeranno e prenderanno il suo posto nella passione della gente. Ma sappiamo con altrettanta certezza che le corse, dopo Gilles, non saranno più quelle di prima.

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