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Topic della musica


S. Bellof

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Set dei Ministry a Wacken nel 2006.

A detta di chi c'era, uno dei live più devastanti mai eseguiti sul palco del festival teutonico. Un muro sonoro enorme, grosso come la Muraglia Cinese. Al quale ha contribuito, e non poco, proprio la presenza di Joey Jordison alla batteria. 

Non c'è niente da fare, non mi sono ancora totalmente ripreso dalla dipartita del mio eroe... 

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  • 2 weeks later...
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Segnalo, visto che qualcuno mi pare avesse seguito la carriera dei Tears For Fears nel corso dei decenni, essere in procinto di uscire il loro nuovo album a fine febbraio. L'ultimo prima di questo è datato 2004, e avrebbe dovuto essere, i diretti interessati, perlomeno, dissero così a quei tempi, il loro ultimo definitivo. Lo stile di questa canzone mi pare si attesti sulla falsariga dei brani contenuti negli album, in genere oggetto di ampia sottovalutazione, successivi al 1992, "Elemental", "Raoul and the Kings of Spain" (opere a cui prese parte il solo Roland Orzabal assieme un artista che negli anni Ottanta era un loro "turnista") ed "Everybody Loves a Happy Ending", lavoro utile a sancire la riappacificazione tra Curt Smith e Orzabal. Devo dire che sono curioso di vedere come andrà a finire con il resto delle canzoni inedite, perché la prima che ho sentito qualche giorno fa, quella che dà il titolo all'intero lavoro, dalle loro tipiche sonorità di metà anni Ottanta, dall'elettronica vibrante e dalla melodia molto cadenzata, mi aveva fatto pensare a un processo di scadimento quanto all'ottima voce, graffiante e potente, di Orzabal e al livello qualitativo dei testi.

 

Modificato da Elio11
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  • 3 weeks later...

Ha gli arrangiamenti tipici di "The hurting", intendendo l'album nella sua interezza e, addirittura, simili proprio a quelli di "Suffer the children", il primissimo singolo dopo l'esperienza "Graduate", mentre il ritornello è sulla falsariga del pop elettronico di questi ultimi quindici-vent'anni. In generale, è la classica canzone specchio delle influenze in voga al tempo in cui viene rilasciata, con la caratteristica di operare una sorta di recupero delle origini. Sinceramente mi aspettavo di più. Al primo ascolto non mi piaceva per niente, però devo ammettere che, dopo averla sentita varie volte per valutarla meglio, dimostra di avere il pregio, o il difetto, di essere orecchiabile. Ti entra in testa un po' come la canzone fatta da Bono per gli Europei di calcio.

Modificato da Elio11
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  • 1 month later...

Ogni tanto torno sulla canzone con cui l'ho scoperta, e resta sempre la mia preferita 🥰

Invece questo sarà solo un assaggio di ciò che era capace di fare quest'uomo, se solo avesse voluto 🙄 ma non è mai troppo tardi per farlo visto che i soldi ora li ha anche fatti.

 

Modificato da Scarlett
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  • 3 months later...

Qualche giorno fa sono incappato in un vecchio gruppo australiano della prima metà degli anni ottanta, catalogato sotto la dicitura "new wave", i The Expression. Come spesso è accaduto a vari gruppi di quell'epoca, la cui originalità non venne promossa adeguatamente dalle rispettive etichette, anche questi artisti di Sidney ebbero problemi con la casa discografica, e riuscirono, pertanto, a produrre solo un paio di album, per di più con alcuni cambi fra il primo (1983) e il secondo (1985). Nel loro caso, c'è pure da dire che la Mushroom Records, seppur controllante gran parte del mercato australiano, andava limitando il proprio raggio di azione a quegli angusti confini. Quindi, quando arrivò il momento di fare un tentativo oltreoceano e sfondare nel mercato nordamericano ci si affidò alla A&M che li trattò con un po' con sufficienza. Loro stessi non avevano raggiunto risultati molto soddisfacenti nel loro paese natio con il rilascio del primo lavoro. Nel loro album di debutto, quello omonimo, datato 1983,  c'è la terza traccia che mi ha colpito in modo particolare, perché mi è sembrata una canzone che ha delle assonanze con alcuni brani contenuti nell'album "Headland" dei Sad Lovers and Giants, questo pubblicato sette anni più tardi. Fu rilasciato anche come singolo:

 

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Stavolta pesco nei meandri del post-punk della metà degli anni ottanta, più precisamente gli olandesi The Gentry, da non confondere con altri gruppi che portano o portavano lo stesso nome (quelli irlandesi della “beat generation”, o gli statunitensi dell'Oregon e i The Gentrys del Tennessee). Pubblicarono tre lavori fra il 1984 e il 1987, tornando attivi a distanza di molti anni, nel decennio appena trascorso. Volendo scegliere alcune canzoni per rappresentarli — non ho mai ascoltato l'album del 2010 — virerei su "Solitary" del 1986, un lavoro che mi pare musicalmente parlando abbastanza maturo, anche se venato da toni mesti e cupi, più esattamente un paio del lato A: “The desert” e “Mutual distrust”, la traccia di apertura.

Uno dei componenti potete trovarlo attivo su Youtube con il nome di "LaurensVredevoort". Nella sua pagina ci sono alcuni spettacoli dal vivo.

Modificato da Elio11
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Flor de Toloache è una band mariachi tutta al femminile con sede a New York City e fondata da Mireya I. Ramos e Shae Fiol nel 2008. I mariachi Flor de Toloache hanno iniziato a suonare nella metropolitana di New York City, dove sono stati notati da numerosi media tra cui il New York Times.

Modificato da Scarlett
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Visto che ci siamo, mettiamo anche qualcosa di "Headland", l'album degli SLAG che preferisco, per i miei gusti il più compiuto e il penultimo con la loro etichetta storica, la Midnight Music, che chiuse i battenti l'anno seguente (non vorrei dire una sciocchezza ma mi pare di avere letto che “Threehouse poetry” fu proprio l'ultimo LP pubblicato). Anche se le loro opere più conosciute sono “Epic Garden Music” e “Feeding the flame”, pur assolutamente interessanti, i miei gusti personali mi portano a considerare i loro primi album ancora troppo ancorati alle sonorità punk pure. Dopo lo scioglimento e la ricostituzione nel 1986, anno in cui cambiarono molti elementi della formazione, uscirono “The Mirror Test” nel 1987 e gli altri due ultimi lavori prima della grande pausa, meno scarni e meno ritmati, più melodici, sempre con testi riflessivi e malinconici. Per me, rappresentano una sorta di triade, anche se l'ultimo è quello meno solido e il primo sembra quasi volersi essere una sorta di commiato al modo in cui avevano interpretato il post-punk. Ne metto un paio, anche se l'intero album merita almeno un ascolto, compresa "Life kill us", brano eliminato senza pietà nella ristampa di fine anni novanta, quando decisero di accorpare le canzoni del 1990 e del 1991 in un unico CD:

 

Modificato da Elio11
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Girando per Youtube in cerca di qualcosa dell'Europa dell'Est, mi sono imbattuto in alcuni gruppi emergenti che suonano un post-punk molto simile alle sonorità della seconda metà degli anni ottanta, tanto che, in origine, non conoscendoli, ho pensato fossero lavori dell'epoca riportati alla luce dopo anni di oblio. Invece, è un rifiorire risalente a questi anni. Comunque, al di là di questo, durante la ricerca, mi è stato consigliato fra i video, quello della canzone “Silhouttes”, il contenuto sonoro del quale ha a che fare con ciò che dovrebbe essere, secondo le etichette affibbiate negli anni novanta, un soft-punk o indie. Sono un gruppo emergente, i "Funny Games", di San Pietroburgo (non di Leningrado, perché la canzone è del 2020 😅). Facendo una rapida ricerca, sembra abbiano realizzato solanto un EP di quattro canzoni e questo singolo, che, a sua volta, contiene un altro pezzo ma strumentale. Ovviamente, il tutto è in cirillico, quello russo, compreso il nome del gruppo, il titolo e il testo della canzone. Con il servizio di traduzione di google — si fa quel che si può — si tenta una traduzione, e il risultato sembra interessante, sperando sia esatto: The walls laughed behind the tiles,/ in black traces of cigarette burns./ We left all the old tortures/ and moved on in search of new ones./ With a childlike grin, lantern lips/ spit snow at the silhouettes of passers-by,/ silent sewer pipes/ through the overflow of frozen earrings./ Morning will play on the edges of the boulevards,/ blues of crowded sleeping areas./ Someone's smile on the glass composition./ Someone's attempt to achieve something else.

 

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  • 3 weeks later...

Primario del reparto di chirurgia al "Santo Spirito" di Roma, abruzzese di nascita (Penne, verso Pescara), perugino di formazione universitaria, plasmatosi cantautorialmente a Roma, Domenico “Mimmo” Locasciulli si è palesato in questi decenni come uno dei migliori cantautori usciti dal "Folkstudio" degli anni settanta per il garbo e la musicalità  della voce, la profondità e la polivalenza dei testi. Ha cambiato più volte genere (partendo dal beat di cui non ci restano prove tangibili), prono a dilettarsi in una continua ricerca, e coerente con il proprio proposito di percorrere la propria strada senza curarsi del successo di pubblico: lui stesso si è definito spesso, senza falsa modestia, un musicista dilettante, rivendicando essere l'altra la sua vera professione. Ha raggiunto una certa notorietà al grande pubblico a metà degli anni ottanta, quando, ha allacciato rapporti con Ruggeri e ha partecipato alla "boutique" sanremese — come lui più volte l'ha definita —, senza rimanerne entusiasmato. In questi anni, lancia Kunstler, altro poco noto colto cantautore, diventato il paroliere di Cammariere negli anni Novanta, producendo e arrangiandone il l'album di debutto.

Quanto ai lavori di "Mimmo", quelli del 1975 e del 1977, “Non rimanere là” e “Quello che ci resta”, quelli più scarni, dove predominano gli arpeggi della chitarra classica e lo stridore dell'armonica, a mio parere, possono essere annoverati fra le migliori produzioni nostrane di sempre e sono uno a cui non piace fare classifiche. Mi pare proprio che l'etichetta "Folkstudio", omonima del famoso locale da cui è partito quasi per caso, debuttò proprio con "Non rimanere là". Nell'album del 1985, quello che contiene il pezzo portato a Sanremo (“Buona Fortuna”), è presente anche una reinterpretazione di “Caterina”, la canzone di De Gregori, contenuta in “Titanic” e dedicata a Caterina Bueno, con arrangiamenti e strumenti tipici di quella stagione musicale, una versione che trovo più gradevole dell'originale. Stessa personale sensazione accade con la versione di De Angelis de  “La Casa di Hilde” di De Angelis (album “Il tuo cuore è casa mia” del 1977), anche se in questo caso, è naturale che chi abbia scritto il testo, e addirittura vissuto in prima persona l'episodio descritto, sappia "appoggiare" le parole con la lentezza più opportuna,  è come se ci fosse una maggiore cautela nel farle arrivare al meglio all'orecchio dell'ascoltatore.


Qui sotto il brano di apertura dell'ottimo LP del 1987 "Clandestina", molto lontano dal suo primo stile anche con riguardo alla strumentazione usata:

 

Girando per la rete (sito rockol.it) ci si imbatte in questo curioso aneddoto riportato da "Il Messaggero" e risalente al 1998. Ho tentato di appurare nell'archivio della testata se corrispondesse al vero ma il servizio è a pagamento:

Il "Messaggero" riferisce dell'incidente avvenuto a Mimmo Locasciulli, caduto dalla moto: «Si è fratturato una gamba in un incidente stradale e mezz'ora dopo, nonostante il dolore e il piede che si gonfiava a vista d'occhio (tanto che non si può ancora ingessare) ha deciso di andare ugualmente al lavoro: doveva operare una paziente. E così ha fatto, resistendo per ben quattro ore in sala operatoria. (.) L'episodio è avvenuto venerdì scorso all'ospedale San Carlo di Nancy. (.) "Non ho fatto niente di particolare - minimizza Locasciulli - ero in condizioni di operare la signora e l'ho fatto. Avevo una motivazione fortissima per farlo, malgrado avessi un piede rotto: quella donna si era affidata a me. Però, mi creda, questo afflato umano che sembra una rarità, nella sanità è quasi una consuetudine». Il quotidiano spiega anche che a rivelare l'episodio, per segnalare il gesto di Locasciulli, è stato il marito della paziente.

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In Bad Life dei Bring Me The Horizon e Sigrid c’è tutto il pop che la band di Oli Sykes porta con sé dagli esordi, nonostante le tantissime hit al vetriolo straziate da urla lancinanti, chitarre in drop e violenza sonora. A questo giro la band unisce le forze con la popstar norvegese e offre un abbraccio a tutte le persone sole, ferite e depresse, offrendo quasi una veste inedita che avevamo conosciuto solamente in Amo (2019).

Bad Life dei Bring Me The Horizon nasce da una stima reciproca tra i due campioni del mainstream. Oli Sykes ha rivelato di aver scritto il testo insieme al batterista Jordan Fish durante il lockdown, lavorando da remoto. Il messaggio c’era, ma il progetto assumeva sfumature lontane dall’idea originale. Poco dopo la band ha partecipato al Reading And Leeds Festival e nel backstage ha incontrato Sigrid. Le due realtà hanno scoperto una stima reciproca e la cantautrice norvegese ha proposto alla band di Oli Sykes una collaborazione. Così i Bring Me The Horizon hanno trovato la quadra per chiudere definitivamente il pezzo in cantiere.

Il risultato è tutto nel sound, nel mood e nel video ufficiale firmato da Raja Verdi: un mondo tormentato, disegnato tra atmosfere pop radiofoniche e love-rock, impreziosito dalle due voci che si impegnano per raccontare a tutte le persone colpite da un brutto momento che non sono sole. Raja Verdi ha dichiarato che il video ufficiale di Bad Life dei Bring Me The Horizon e Sigrid sintetizza quella sensazione che tutti almeno una volta abbiamo provato: la vita come un percorso ad ostacoli o come le montagne russe.

 

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