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Lewis Hamilton


Osrevinu

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Lewis Hamilton in Russia a Sochi in caso di successo in gara in questo fine settimana eguaglierebbe le 91 vittorie di Michael Schumacher in attesa di affiancare il Kaiser anche a quota sette titoli iridati ottenuti in F1. I paragoni tra il pilota di Stevenage e il tedesco si sono sprecati, così come quelli con Ayrton Senna, idolo dichiarato dell’attuale pilota della Mercedes. Nel tentativo di stilare un’impossibile classifica tra queste tre leggende senza dimenticarne altre con Juan Manuel Fangio, Alain Prost e Niki Lauda, diversi ex-piloti e addetti ai lavori si sono trovati concordi con un aspetto non indifferente. A differenza di Schumacher e Senna, protagonisti in diversi occasioni di condotte di gara discutibili, Lewis Hamilton non si è macchiato di scorrettezze o manovre al limite.

Anche Jenson Button, connazionale e rivale di Hamilton per diverse stagioni nonché compagno di box in McLaren di Lewis dal 2010 al 2012, si unisce al coro di chi sottolinea la correttezza del classe 1985. “Hamilton è il pilota più pulito contro il quale ho mai gareggiato – ha dichiarato  Button intervistato dal magazine GQ  può piacere o non piacere come persona, ma come pilota non vedo come non si possa ammirarlo. Ha un talento eccezionale e non giocherà mai sporco”.

Per Jenson Button, campione del mondo nel 2009 con la Brawn GP, misurarsi con Hamilton in McLaren nel triennio successivo è stata una grande sfida. “In qualifica era pressoché imbattibile – ha sottolineato l’ex Williams, McLaren, Brawn GP, Honda e Renault – ma in gara avevo le mie carte da giocarmi per cercare di tenergli testa. Credo che anche lui abbia imparato molto grazie al confronto diretto con me. L’ha reso più completo come pilota. Hamilton ha un carattere molto timido, non so se ne è pienamente consapevole. In ogni caso trovo lodevole il fatto che si stia battendo per portare delle tematiche sociali così importanti al centro dell’attenzione anche in F1″.

 

https://www.formulapassion.it/motorsport/formula-1/f1-piloti/button-hamilton-il-piu-corretto-con-cui-ho-corso-mclaren-senna-schumacher-timido-black-lives-matters-520095.html/amp

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Il TIME ha inserito Lewis Hamilton nella lista delle 100 persone più influenti del 2020. Il 6 volte iridato di F1 fa parte della categoria "Titans".

 
 

TIME, la rivista settimanale di notizie più diffusa al mondo, ha stilato una lista che comprende le 100 persone attualmente più influenti al mondo. Sino a qui, nulla di speciale, non fosse altro che all'interno della classifica trova posto uno dei piloti che attualmente corre in Formula 1: Lewis Hamilton.

Non si tratta dunque di un nome qualunque, ma di uno dei piloti più forti della storia dell'automobilismo. Ma il talento, in questo contesto, centra relativamente. Lewis è entrato in questa classifica non tanto per i successi straordinari che sta ottenendo nel corso della sua carriera, quanto per l'aver portato il suo ruolo di attivista all'interno dello sport e di aver diffuso messaggi sfruttando il suo status.

 

La sua lotta contro il razzismo, rafforzatasi dopo gli eventi di Minneapolis accaduti il 25 maggio scorso, ha portato Lewis a inginocchiarsi nel corso degli inni nazionali prima dei gran premi, lo ha portato a indossare magliette del movimento Black Lives Matter, ma anche a sostegno di persone che avrebbero ricevuto soprusi da parte della polizia.

Lewis ha anche convinto Mercedes ad abbandonare per una stagione la propria celebre livrea argentata, facendo diventare le Frecce d'Argento le... Frecce Nere, così da portare un messaggio di sensibilizzazione anche con la propria W11 che lo sta portando alla conquista del settimo titolo iridato della sua carriera.

"Il suo attivismo ha smosso il mondo. Lewis ha ottenuto un'attenzione internazionale e l'ha data al movimento Black Lives Matter. Lo ha fatto non solo sulle proprie pagine dei social media, ma anche nei circuiti di Formula 1".

"La sua preparazione mentale, la sua aura, la sua abilità nel capitalizzare ogni opportunità di usare ogni piattaforma per sconfiggere il razzismo è molto di più di un semplice modello di pilota da corsa o atleta. E' un'ispirazione per tutti".

Edward Felsenthal, amministratore delegato ed editor di Time, ha sottolineato come la classifica di quest'anno sia stata stilata in maniera differente rispetto agli anni passati.

"La Time 100 è sempre stato uno specchio del mondo e di come stesse prendendo forma. Ci sono persone convenzionali che avrebbero fatto parte della classifica in ogni anno come capi di stato, amministratori delegati, ecc... Ma questa include altri individui straordinari che hanno capito il momento, hanno costruito movimenti, cercato di cambiare il mondo".

In questa Time 100 trovano posto altri personaggi dello sport che hanno seguito la strada intrapresa anche da Hamilton. Parliamo di Dwyane Wade, ex stella dei Miami Heat (franchigia NBA), di Patrick Mahomes, quarterback di NFL, ma anche la star del tennis Naomi Osaka.

https://it.motorsport.com/f1/news/time-hamilton-nella-lista-delle-100-persone-piu-influenti-2020/4879981/?utm_campaign=social-organic&utm_medium=facebook&utm_source=article-details&fbclid=IwAR2mOkxLF55WqaahMndWjVbdnRw8vA9tTN3IS4wdjn5I5NB74x8_ISzTtDA

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  • 3 weeks later...

Prospettiva ribaltata

Secondo il team principal della Mercedes Toto Wolff chi critica Lewis Hamilton dovrebbe chiedersi perché ci sia lui al volante del team di Brackley e non un altro pilota

Esattamente come era accaduto per Sebastian Vettel in Red Bull, Michael Schumacher in Ferrari e tanti altri piloti prima di lui, a margine dei suoi infiniti successi Lewis Hamilton è spesso costretto ad ascoltare la frase “vince solo perché è in Mercedes”. Una condanna quasi inevitabile per chi si trova ad avere la fortuna di guidare la miglior monoposto del lotto, specialmente se per un periodo piuttosto lungo di tempo, come sta accadendo all’attuale campione del mondo. In ‘difesa’ dello stesso Hamilton però è intervenuto direttamente il suo team principal, Toto Wolff, che ha costruito in queste stagioni un rapporto di solidissima fiducia con la stella britannica.

Il manager austriaco, a margine del record di vittorie all-time eguagliato da Hamilton al Nürburgring, ha provato a ribaltare la prospettiva di chi ritiene il pilota di Stevenage fortunato per trovarsi al volante della vettura più veloce della nostra epoca. “Vincere le gare e vincere i campionati è sempre un esercizio di squadra in questo sport, ma bisogna mettersi nella posizione per cui si finisce sulla macchina migliore” ha puntualizzato Wolff, sottolineando in sostanza come non tutti sarebbero in grado di ottenere con la Mercedes gli stessi risultati che porta a casa Hamilton.

Si possono vedere molti talenti e piloti esperti che hanno preso decisioni sbagliate, o non ben ponderate. In questo senso è stato lui ad entrare in Mercedes nel 2013 – ha ricordato il boss del muretto nero-argento – è lui che si siede in macchina ed è in grado di guidare in pista con gli strumenti che gli forniamo. Non saremmo riusciti a raggiungere i record che abbiamo [senza di lui] e lui probabilmente non sarebbe riuscito a raggiungere i suoi record [senza] la macchina giustaNon voglio che dicano ‘lui guida una Mercedes, è ovvio che vince queste gare’. I piloti che dicono questo dovrebbero cercare di pensare al motivo per cui loro non hanno trovato la strada per salire su una Mercedes” ha concluso Wolff, con una stoccata.

 

https://www.formulapassion.it/motorsport/formula-1/f1-team/prospettiva-ribaltata-f1-mercedes-hamilton-wolff-record-91-vittorie-schumacher-vettel-nurburgring-524547.html/amp

 

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Ha assolutamente ragione. Poi, si può discutere sul fatto che metà griglia avrebbe vinto ben più di un Mondiale con la stessa macchina, ma dimostrare anno per anno la stessa superiorità sugli altri e, 2016 a parte, soprattutto sul compagno di squadra, solo altri pochi eletti ci sarebbero riusciti. Penso ad Alonso, in primis, oppure, ragionando sui più giovani, a Verstappen o Leclerc. Tuttavia, Mercedes scelse Hamilton e Hamilton scelse Mercedes. Come al solito, le chiacchiere sono divertenti, ma restano un esercizio di stile.

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Il commento di Alberto Sabbatini
Perché è ingiusto criticare Hamilton

Non se ne può più di leggere offese su Lewis Hamilton. Da quando ha vinto il 91° Gran Premio eguagliando Michael Schumacher, gran parte degli italiani ha scatenato il proprio livore sul web e su Facebook per metterne in ombra le capacità. Che vergogna! Le frasi più delicate sono che il suo record non vale nulla, che non è un campione, non si merita il primato, che è un ladro (lui e la Mercedes), che ha rubato Gran Premi e titoli mondiali. E via di seguito. Soltanto perché ha il torto di guidare una macchina supersonica ed aver vinto tanto. Forse troppo. L’aver eguagliato il record di vittorie di un mito della F1 come Schumi ha poi reso Hamilton ancora più antipatico agli occhi degli italiani che vivono questa vicenda come una sorta di lesa maestà. Quando, invece, tutta la famiglia Schumacher lo ha omaggiato regalandogli il casco del Kaiser. Credo che l’emozione spontanea con cui Hamilton si rimirava in mondovisione quel regalo così inatteso rappresenti invece un ulteriore omaggio alla figura di Schumacher e a quello che il suo nome ancora rappresenta per la storia della F1.

Le offese ad Hamilton però sono rimaste. Sono palesi sul web. Le trovate ovunque. Che tristezza quando in uno sport le imprese sportive, invece di unire gli appassionati, li dividono. Non è più sport, diventa fanatismo. Mi vergogno a pensare che l’automobilismo, il “mio” automobilismo, quello che ammirava e rispettava i “cavalieri del rischio” qualsiasi fosse l’automobile che guidavano perché l’uomo contava più del mezzo e del campanilismo, debba mettersi a imparare dal calcio. Sì, proprio dal calcio, quella specialità tanto vituperata che è stata per tanti anni scuola di odio, ma che è riuscita due anni fa a dare una lezione di stile ai tifosi di F1. Ricordate? Quando Ronaldo, che ancora giocava nel Real Madrid, fece un gol favoloso in rovesciata a Torino contro la Juve. I tifosi bianconeri, annichiliti, pur delusi lo applaudirono a scena aperta. Anche se quel gol li eliminava dalla Champions League. Perché il gesto atletico, quando è un capolavoro, non si discute ma si ammira. Punto e basta.

Hamilton e il capolavoro su 3 ruote di Silverstone
Senna, tanto per fare un esempio, godeva di un tifo trasversale. Era rispettato e ammirato da tutti. Dagli inglesi come dagli italiani. Anche se guidava contro la Ferrari e batteva le Rosse. Hamilton, invece, non è riconosciuto come campione al di sopra di tutte le fazioni. Ha vinto 91 GP e quasi sette titoli mondiali, eppure se ne discute ancora la bravura. Quando ha trionfato a Silverstone su tre ruote, ha compiuto un capolavoro. Certo, non equiparabile per rischiosità a Nuvolari che correva la Mille Miglia a fari spenti nella notte per prendere di sorpresa gli avversari oppure tagliava il traguardo con il volante staccato, girando lo sterzo con una chiave inglese. Ma quelle sono avventure epiche di corse d’altri tempi.

Per la F1 contemporanea così precisa e scientifica, l’impresa di Hamilton – compiere un giro su tre ruote gestendo la gomma che si stava sbriciolando e tagliare il traguardo – è comunque qualcosa di memorabile. Eppure quella vittoria è stata sminuita. Dopo il successo del Nurburgring che lo ha portato ad eguagliare i 91 trionfi di Schumacher, Lewis è stato più dileggiato che applaudito. E Dio solo sa che diranno di lui quando raggiungerà quota cento vittorie (perché ci arriverà, è scontato) o quando conquisterà matematicamente a novembre (forse già nel weekend del GP di Imola) il settimo titolo mondiale come Schumacher.

Lewis merita le vittorie e i record che ha raccolto
Purtroppo chi contesta Hamilton è il tipico tifoso italiano che non capisce di corse e parla accecato dal tifo. Per cui, io voglio andare controcorrente e voglio spezzare una lancia in favore di Hamilton e i suoi 91 gran premi vinti. Alla faccia di chi la pensa diversamente. Che non lo faranno il più grande pilota della storia ma lo proiettano – sempre secondo me – me fra i top di sempre. Di Hamilton si può dire tutto. Criticare le sue treccine, i tatuaggi, la sua passione per ostentare abiti sgargianti e di cattivo gusto oppure discutere il modo in cui usa la propria popolarità planetaria per risvegliare l’attenzione su certe battaglie politiche e sociali scomode come quella di “Black Lives Matter”. Anche quel suo polemizzare continuamente il razzismo a noi italiani pare eccessivo. Ma politica a parte, non si può negare che Hamilton abbia un talento immenso e si meriti le vittorie ed i record che ha raccolto.

Quello che fa grande Hamilton non sono tanto i 91 GP vinti in carriera, quanto e soprattutto quei quattro gran premi vinti da esordiente assoluto. Nel 2007. Quando aveva come compagno di squadra un mostro sacro e bi-campione del mondo come Fernando Alonso, eppure lui si permise di batterlo. Non solo: lo fece andare talmente fuori di senno per come riusciva ad essere più veloce di lui che Fernando, per riuscire a tenere testa a Lewis, ricorse a tutto il suo repertorio di scorrettezze. Come fargli ritardare il pit stop al GP d’Ungheria ostruendo la piazzola di sosta senza motivo, o scatenare la guerra della spy story per far dispetto alla McLaren e amenità del genere.

Sapete quanti sono i piloti che hanno vinto un Gran Premio F1 nella stagione del debutto come Hamilton? Si contano sulle dita di una mano. Senza andare agli albori ai vari Baghetti (un vero recordman: vinse alla sua prima gara!!) o Fangio, diciamo che in epoca moderna – dopo gli anni Settanta – ci sono soltanto Stewart, Regazzoni, Fittipaldi, Montoya e Jacques Villeneuve oltre ad Hamilton che hanno vinto un GP nell’anno del debutto. Nemmeno Senna (anche se sfiorò la vittoria a Monaco ‘84), Alonso, Vettel, Schumacher e altri pluri iridati ce l’hanno mai fatta. Hamilton sì. Qualcosa vorrà dire, no?

Nessun compagno di squadra lo ha battuto in quanto a successi
Sento già la voce critica in lontananza: eh, sì ma guidava una macchina vincente come la McLaren. Perché Schumacher non ha fatto 17 gare con la Benetton che proprio un catenaccio non era prima di vincere? E Villeneuve non aveva l’imbattibile Williams? O Fittipaldi non vinse al suo quarto GP in assoluto con la Lotus 72 che era la F1 iridata all’epoca? Trovatemi voi un pilota che ha vinto dei GP con una carretta. E poi dai, diciamoci la verità. La grandezza di un pilota, da che mondo è mondo, la fa il confronto col compagno di squadra. Perché lì si corre con la stessa macchina, non ci sono storie. La sfida è alla pari. E Hamilton i suoi compagni di team a pari macchina li ha triturati quasi tutti. A partire da Alonso nel 2007. Due sole volte ha preso la paga in campionato da chi guidava un’auto come la sua: da Button nel 2011 e da Rosberg nel 2016. È capitato anche a Fangio, Clark, Senna e Prost perdere in un’annata contro il compagno di squadra.

Ma in tutte e due le occasioni in cui è arrivato dietro al suo compagno in campionato, Hamilton è stato sconfitto ai punti, non per vittorie. 3 a 3 con Button, 10 a 9 contro Rosberg. Invece sono più le volte in cui li ha battuti che quelle in cui è stato battuto. Nel triennio di McLaren al fianco di Button, Lewis ha vinto 10 GP contro gli 8 di Jenson, nei quattro anni Mercedes contro Nico ha conquistato 32 vittorie contro 22. E comunque i compagni di squadra di Hamilton sono stati quasi sempre piloti scomodi, ostici e velocissimi. Dei campioni del mondo. Mica gli sparring partner che si sceglieva Schumacher in Benetton e in Ferrari per essere prima guida. Hamilton, fino all’epoca Bottas, non ha mai potuto godere dei privilegi dell’ordine di squadra. Un vantaggio non indifferente per impostare la propria corsa nel modo più competitivo e meno stressante.

Hamilton ha vinto un GP in ogni anno di carriera
Infine, c’è anche un’altra qualità di Hamilton che va sottolineata: ha sempre vinto almeno un Gran Premio in ogni anno di carriera. Dal 2007 ad oggi. Non è una cosa di poco conto. Significa che anche quando ha dovuto correre con la macchina inferiore, è sempre riuscito a inventarsi qualcosa di speciale. Qualche lampo di genio grazie al suo talento. Una qualità che soltanto i grandi campioni posseggono. Sfruttare quell’unica opportunità sotto forma di pioggia o imprevisti vari che il destino ti mette casualmente davanti quando corri con un mezzo impari. E allora il campione è tale se sa dare la zampata vincente. Come fece Senna con la poco competitiva McLaren-Ford del 1993 a Donington, come riuscì a fare Schumacher con la scarsa Ferrari del 1996 a Barcellona. Come ha fatto Hamilton a Singapore nel 2009. Cancellare l’ignominia della stagione a bocca asciutta. Quello che non è riuscito ad Alonso nel 2014 e a Vettel nel 2016 con la Ferrari.

Detto questo, le 91 vittorie di Hamilton non bastano a farne davvero il numero uno di sempre perché in F1 i numeri non sono tutti uguali. È impossibile stabilire con autorevole sicurezza che i 91 GP vinti da Lewis valgano come prestigio e difficoltà quanto quelli di Schumacher o più dei 51 vinti da Prost, dei 41 di Senna o dei 25 di Clark o dei 24 conquistati da Fangio che correvano contro avversari più ostici e senza mai il vantaggio della macchina superiore. Il passato non si può confrontare col presente. Anche se sempre di corse di automobili si tratta, sono differenti le condizioni in cui è maturato il risultato. È diverso il livello degli avversari e anche la performance delle varie macchine.

La bravura dei piloti non si misura soltanto con la somma delle vittorie. Poi il cambiamento dei punti assegnati in F1 dopo il 2010, il progressivo moltiplicarsi delle gare, ha distrutto la possibilità di fare paragoni col passato. Hamilton e Schumacher hanno vinto 91 GP, cioé il doppio di Senna e Prost. Più del triplo di Stewart, Fangio, Lauda e Clark. Dobbiamo da questo desumere che valgono più di loro? Ovviamente no. Per dimostrare quanto siano fuorvianti certi numeri, vi dico solo questo: Bottas, con la pole in Germania, ha raggiunto quota 14 pole position. Come Alberto Ascari. Un grande della F1 anni Cinquanta. Ma a nessun appassionato sano di mente verrebbe da dire che il timido Bottas vale quanto Ascari. Né per valore né per personalità

https://www.italiaracing.net/Il-commento-di-Alberto-Sabbatini-Perche-e-ingiusto-criticare-Hamilton/242049/1

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  • 2 weeks later...

Vittoria meritata non solo per la velocità ma anche per la personalità dimostrata.

Sentire un pilota che se ne frega delle simulazioni, dei computer, dei muretti e che dice lui al box cosa deve essere fatto con le gomme e le soste ai box, è stato un sollievo dopo tutti questi piloti telecomandati (vedasi alla voce Bottas "Fatemi sapere cosa volete fare...").

Ah, ci sono state ultimamente 3 piste vecchie, old style, per piloti veri: Mugello, Portimao, Imola. 
Ha sempre vinto lo stesso pilota per distacco. E' un caso? non credo proprio...

Le piste selettive esaltano i grandi piloti e le differenze tra categorie di piloti aumentano, anche in questa f1

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  • 2 weeks later...

Angela Cullen, chi è la fisioterapista di Lewis Hamilton. Yoga, zen e tanta pazienza, così l'ha reso più forte

Angela Cullen cammina sempre veloce nel paddock, cuffie in testa, riempie le borracce, porta i caschi, sistema le treccine sulla griglia di partenza. Fisioterapista, psicologa, tuttofare, è sempre al fianco di Lewis Hamilton. Dalle camicie stirate, alla dieta, ai ritmi del sonno secondo programmi rielaborati dalla Nasa per gli astronauti, allo stretching, alla custodia del monopattino elettrico, tutto passa per questa neozelandese di 46 anni. Testimone di imprese incredibili, custode di chissà quanti segreti, anche questo fine settimana lo accompagnerà in Turchia per il primo match ball del settimo Mondiale.

Angela parla pochissimo, come tutte le (poche) persone nel cerchio magico di Lewis. Quando vince lui corre sempre ad abbracciarla, lei ha avuto un ruolo importante nella straordinaria carriera del pilota della Mercedes, nonostante lavorino insieme da relativamente poco, dal 2016. «La gente non capisce perché da lontano non può capire- ha detto recentemente Hamilton-, ma incontrarla è stata una delle più belle cose che mi siano capitate nella vita. Ho lavorato con tante persone, lei è instancabile. Concentrata, generosa, mi riempie di pace in ogni fine settimana di gara».

Ex sportiva professionista, da ragazza giocava a hockey nella Nazionale neozelandese, alterna la cura del corpo a quella della mente: corsa e allenamenti, yoga e meditazione, arrampicata. Seguendo l'insegnamento del guru finlandese Aki Hintsa, il medico dei campioni, quello che rimise in piedi Mika Hakkinen dopo il terribile incidente ad Adelaide: «Nessuno è perfetto, ma tutti possiamo essere un po' meglio oggi rispetto a come eravamo ieri».

 

Una filosofia di vita condivisa da Hamilton, lui non smette di elogiarla: «Ogni giorno mi sveglio, a qualunque ora, la trovo sempre positiva, mai una volta l'ho sentita pessimista. E molto importante circondarsi di persone piene di energia . Non puoi andare in giro con pesi morti o con gente che non ti tiri su nei momenti più difficili».

 

Le strade di Lewis e Angela s'incrociano più di quattro anni fa, il pilota britannico lamenta fastidi al collo, alla schiena, le classiche tensioni accumulate da chi guida a 300 all'ora ed è sottoposto a terribili accelerazioni laterali. «Ho sempre avuto "fisio" maschi, ma non so perché avevo problemi che non passavano mai. Non erano veri "fisio" ma solo allenatori - ha raccontato al sito della Formula 1 -, con Angela avevamo fatto un po' di lavoro a casa e così le ho chiesto di seguirmi nelle gare. Ma non potevamo immaginarmi che sarebbe nato un legame così importante».

 

È un'affinità che va oltre lo sport, Angela condivide le idee e le battaglie sociali di Lewis. Cita frasi di Martin Luther King, di Mandela, di Muhammad Ali, manifesta per il movimento Black Lives Matter, anche lei era in piazza a Londra - mesi fa- contro la discriminazione e l'intolleranza.

 

Dopo la laurea si trasferisce in Inghilterra dove segue i muscoli di sprinter e marciatori, molti etiopi e kenyani trasferite nella patria della maratone, poi si unisce alla Nazionale britannica di atletica alle Olimpiadi di Atene. «Il mio ruolo non era diverso da quello di un ingegnere o di un meccanico in F1: cercavo di mettere a punto il loro corpo per migliorare le prestazioni in velocità, potenza, mobilità e controllo» ha dichiarato in una rara intervista.

 

Spirito libero, ha attraversato il sud America in bicicletta, si unisce al gruppo di Hintsa (scomparso nel 2016 per un brutto male) dove per la prima volta entra in contatto con il mondo delle corse: «Il carico mentale e fisico della F1 è molto più grande rispetto che in altri sport, per questo il benessere mentale è essenziale». Angela un sogno nel cassetto ce l'avrebbe: «Continuare a viaggiare in bicicletta: America, Alaska, Russia, Europa e Africa. Ma è in standby per quando andrò in pensione».

 

https://www.corriere.it/sport/formula-1/notizie/angela-cullen-chi-fisioterapista-lewis-hamilton-yoga-zen-tanta-pazienza-cosi-ha-reso-piu-forte-9a9816b6-238b-11eb-852a-fddf3d627dac.shtml

 

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Hamilton: la sua Stella ha cominciato a brillare a Istanbul

Ora siamo abituati alle prestazioni superbe di Lewis in F1, ma l'inglese aveva rapito già l'attenzione del paddock di Istanbul nel 2006 quando correva in GP2. Persa Gara 1 da Piquet, Hamilton aveva chiesto al team ART di scaricargli tutta l'ala per la corsa della domenica. Finito in testacoda a gomme fredde, ha iniziato una rimonta prodigiosa che lo ha portato al secondo posto da ultimo. E le verifiche della monoposto hanno confermato il suo talento.

Circuito di Istanbul, anno 2006. È il 27 agosto, domenica mattina, e le monoposto di GP2 Series alle 10:15 iniziano lentamente a portarsi sulla griglia di partenza per la seconda corsa del fine settimana.

La gara principale del weekend, disputata il giorno prima, è andata a Nelsinho Piquet, arrivato in Turchia sull’onda positiva del weekend di Budapest, concluso con un clamoroso filotto: pole position, vittoria in entrambe le gare condite con i due giri più veloci.

 

Un exploit, confermato tre settimane dopo a Istanbul Park. Piquet è lanciatissimo, ed ora minaccia Lewis Hamilton nella classifica generale, che lo precede di soli sei punti.

 

Hamilton non vince dall’11 giugno, sulle curve amiche di Silverstone e sta iniziando ad accusare la pressione davanti alla possibilità di perdere un titolo che sentiva già in tasca.

 

Nelsinho (che corre con il team di famiglia, la Piquet Sport) ha trovato un feeling perfetto con la monoposto e da poco ha anche firmato un contratto di management con Flavio Briatore, preparandosi la strada verso lo sbarco in Formula 1.

Lewis stinge i denti, è puntualmente secondo sul traguardo, ma la monoposto non risponde come vorrebbe: “Piquet mi scappa, non capisco”. C’è tensione anche nel team ART, dove credono ciecamente in Lewis, ma si trovano senza risposte davanti ad una situazione imprevista.

 

Lewis decide di… decidere

Dopo l’ennesima vittoria ottenuta il sabato da Piquet (con Hamilton secondo ma a ben 17 secondi!) Lewis torna ai box scuotendo il capo: “così non va, c’è poco da fare”. Ci dorme sopra, poi la mattina successiva arriva ai box e con piglio deciso avanza una richiesta agli ingegneri: “Toglietemi tutta l’ala posteriore che potete”.

 

I tecnici della ART si guardano e scuotono il capo, Istanbul Park non è Monza e il carico aerodinamico serve. Telefonano anche a Steve Marcel, compianto responsabile tecnico della squadra di Frederic Vasseur che è bloccato a Parigi da un male incurabile che lo stroncherà alla fine del mese di ottobre, e Marcel da il suo okay: se… se la sente, non abbiamo poi molto da perdere. Hamilton parte settimo, Piquet ottavo, come prevede il regolamento con griglia invertita in base alla classifica di Gara-1.

 

Sembra la fine di tutto…

Alla staccata della prima curva dopo il via Lewis arriva lungo, e finisce nella via di fuga, ma riprende la pista senza perdere posizioni, ma poco dopo le telecamere lo inquadrano in testacoda. La mancanza di carico non ha aiutato le gomme ad andare in temperatura ed è accaduto ciò che nel team ART temevano. Hamilton raddrizza la monoposto e riparte dalla ventiduesima posizione.

Nel box del team ART c’è qualche gesto di disappunto, comprensibile quando si realizza che il campionato sta sfuggendo di mano. Hamilton dopo un giro inizia a stampare tempi più veloci dei primi, recuperando posizioni, ma ciò che più impressiona è soprattutto la velocità che riesce a raggiungere prima della staccata di curva 12.

 

Ora che le gomme sono in temperatura Lewis riesce a gestire la monoposto nella temuta curva 8 controllando il retrotreno e può contare su una maggiore velocità sui rettilinei, come aveva previsto. Adatta il suo stile di guida ad un setup mai provato in precedenza, ma sembra aver trovato il suo habitat naturale: è in uno stato di grazia.

 

La Formula 1 si ferma davanti alla TV

Sorpasso dopo sorpasso accade qualcosa che non si era mai visto in precedenza. Nelle hospitality e nei box gli addetti ai lavori della Formula 1 sospendono le attività in corso e fissano gli schermi della televisione, una sorta di stato ipnotizzante che scatena applausi ad ogni sorpasso.

 

A dieci giri dalla bandiera a scacchi Hamilton è quinto, poi attacca Piquet e si scatena contro Timo Glock, che gli rende la vita difficile. Lewis ha la meglio sul tedesco a due giri dal termine e punta Adam Carroll, secondo. Sembra un’impresa disperata, ma nell’ultimo giro alla staccata della curva 12 fulmina il connazionale e sfila secondo, nel tripudio generale. Quell’ultima tornata gli garantisce anche il giro più veloce, ottenuto con un margine di 0"854 sul migliore crono degli avversari.

Applaudono tutti, il team ART esplode di gioia, Ron Dennis si porta le mani sul capo, ed anche alcuni addetti ai lavori della Formula 1 che conoscono la GP2 Series solo per il rumore di sottofondo mentre sono impegnati in altre attività, si recano sotto il podio. Hamilton festeggia come non farà per la maggior parte dei suoi titoli di Formula 1, sa di aver fatto qualcosa che sarà ricordato nel tempo e sa che ha riportato a dieci i punti di vantaggio su Piquet alla vigilia dell’ultimo appuntamento di Monza, un margine che il suo avversario non riuscirà a colmare.

 

Anche gli scettici devono arrendersi

Ma non tutti nel paddock della GP2 sono pronti a riconoscere la grandezza di un talento che da lì a pochi mesi sarà certificato anche in Formula 1.

 

C’è chi storce il naso, anche lo stesso Briatore, che dopo i tre successi di fila di Piquet, aveva probabilmente visto il campionato nelle mani del pupillo brasiliano. C’è chi fa pressioni affinché la monoposto di Lewis sia soggetta a verifiche molto dettagliate, e i responsabili della GP2 non si tirano indietro.

 

Qualche giorno dopo i risultati delle verifiche effettuate sulla monoposto di Hamilton vengono comunicati in modo riservato ai responsabili del campionato. Il report si conclude con delle considerazione e termina con un’affermazione che a distanza di 14 anni suona come premonitrice. “La performance della monoposto numero 2 è da attribuire principalmente ad un fattore: Driver Skill”.

 

https://it.motorsport.com/f1/news/f1-hamilton-la-sua-stella-ha-cominciato-a-brillare-a-istanbul-/4907697/amp/

Modificato da Kitt
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Bonnington: "Con Lewis ci capiamo al volo"

L'ingegnere di pista di Hamilton che in precedenza si era fatto le ossa con Button (quando il team di schiamava Brawn GP) e Schumacher, all'inizio credeva di avere a che fare con una rockstar, ma non ha impiegato molto a capire quanto il pilota inglese avesse le stiimmate del campione che andavano oltre il talento: "Siamo cresciuti insieme in otto anni e abbiamo cementato un'unione fantastica. Sappiate che non abbiamo ancora finito...".

Nelle otto stagioni che Lewis Hamilton ha trascorso in Mercedes ha voluto e trovato dei punti fermi, persone che sono rimaste al suo fianco dalla prima gara in tuta grigia disputata nel 2013 fino alla conquista del settimo titolo Mondiale. Una di queste figure è il fido ingegnere di pista Peter Bonnington, che gli appassionati di Formula 1 conoscono come la voce che colloquia con Hamilton durante prove e gara, ogni volta che Lewis comunica via-radio.

L’ingegnere di pista è una professione che si è evoluta insieme ad una tecnologia che in Formula 1 si muove ad una velocità incredibile e, da essere una figura tecnica al cento per cento, oggi il ‘race engineer’ è anche una persona a cui il pilota delega la visione della corsa al di fuori della monoposto.

 

Due occhi in più e nel caso di Hamilton quegli occhi sono quelli di Bonnington. Dal momento in cui si spegne il semaforo compito di ‘Bono’ (come lo ha sempre chiamato Lewis) è anche quello di psicologo, capace di calmare o motivare il suo pilota a seconda delle necessità.

Anche in questa stagione ‘Bono’ ha fatto la differenza in diversi momenti e, tra tutti, spicca il giro finale del Gran Premio di Gran Bretagna, quando ha guidato Hamilton (rimasto con tre pneumatici dopo lo scoppio dell’anteriore sinistro) verso la bandiera a scacchi. Un count-down scandito con una calma incredibile, che ha portato Lewis al successo.

Bonnington non parla mai con i media, ma dopo il Gran Premio di Turchia ha risposto ad alcune domande, in un giorno anche per lui molto speciale.

Hamilton ha raggiunto Michael Schumacher sulla vetta della Formula 1, e proprio con Schumacher Bonnington esordì nelle vesti di ingegnere di pista (era il Gran Premio del Belgio del 2011) dopo anni trascorsi nelle vesti di data-engineer per lo stesso Michael e in precedenza di Jenson Button ai tempi della Brawn GP.

“Ricordo molto bene la prima volta in cui Lewis entrò nella sede del team Mercedes – ha rivelato Bonnington a Sky Uk – la mia prima impressione è che fosse arrivata una rockstar! Avevo appena terminato il mio lavoro con Michael e quando vidi entrare Lewis dentro di me pensai…’Wow, questo è Lewis, sarà lui a raccogliere il testimone’. Stavo passando dall’interagire con una leggenda ad un ragazzo che poco dopo essere arrivato mi ha chiesto di iniziare… a lavorare”.

Bonnington ha poi spiegato l’evoluzione di Hamilton nel corso di questi anni:
“Il talento si è visto subito, ovviamente, ma non era lucido come oggi. Se analizziamo ciò che ha fatto nel Gran Premio di Turchia emerge un pilota che ha una forza incredibile che va ben oltre il talento. Per quanto fossi ottimista, non credevo che fosse possibile vincere quella corsa, ci siamo trovati in una situazione critica ma lui ha sempre avuto tutto sotto controllo. Ha una visione del contesto incredibile”.

“In una gara come quella di domenica scorsa – ha proseguito ‘Bono’ – c’è un’alternanza di emozioni, dall’euforia alla paura di non farcela, e la tensione è molto alta. Quello che provo a fare con Lewis è di mantenere un livello costante, senza sbalzi, provando a smorzare i dubbi. Negli anni il rapporto tra me e Lewis è cambiamo moltissimo, è nata una fiducia reciproca che ci permette di capirci al volo".

"Siamo cresciuti entrambi dal 2013 ad oggi, quando ho iniziato a lavorare con Lewis anche io avevo meno esperienza, ma le basi me le ero fortunatamente costruite lavorando con Michael. Grazie a quell’esperienza non ho avuto dubbi nell’andare avanti con Lewis, non ho avuto soggezione”.

“Anno dopo anno – ha concluso Bonnington – abbiamo continuato a motivarci a vicenda, riuscendo a migliorare il nostro rapporto e a porci sempre nuove sfide, che ci hanno consentito di non smettere mai di apprendere ed andare avanti. Non ci siamo mai fermati, è fantastico lavorare con persone così motivate e motivanti. Andremo avanti? Certo, non abbiamo ancora finito…”.

https://it.motorsport.com/f1/news/f1-bonnington-con-lewis-ci-capiamo-al-volo/4912474/?ic_source=home-page-widget&ic_medium=widget&ic_campaign=widget-3&fbclid=IwAR2PyF5QYoy9aP130fub---H_cVzXYSeibi4Wm51lSDZUpQ8Jj5bYq4Te_U

Modificato da Kitt
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Hamilton: l'arrivo alla Mercedes valutato come un suicidio

La stampa britannica nel 2012 aveva bollato il trasferimento di Lewis alla Stella. Il pilota inglese era stato accusato di aver fatto una scelta commerciale puntando a un contratto che valeva 100 milioni di sterline. Nessuno credeva che potesse iniziare un ciclo di successi impressionante al quale ha contribuito in prima persona. In realtà è una grande dote vedere laddove gli altri non guardano, meritandosi l'abitacolo della monoposto vincente come faceva Fangio.

 
 

Chi vuole sminuire i trionfi di Lewis Hamilton mette sul piatto la solita considerazione: “Con la Mercedes sono capaci tutti”. Era il 28 settembre 2012 quando fu annunciato ufficialmente il contratto triennale che sanciva l’ingresso di Hamilton nella squadra con la quale otto anni dopo sarebbe arrivato al vertice della storia della Formula 1 per numero di vittorie.

Quel giorno, soprattutto per i media inglesi, fu impossibile accettare una conseguenza della decisione presa da Lewis, ovvero lasciare la McLaren.

 

“Il suicidio di una carriera”, “100 milioni di sterline per Hamilton”, “Scelta commerciale”, “Hamilton passa dal team numero 1 al numero 4”. Così fu commentata la decisione di Lewis, che a quattro anni dal suo primo (e in quel momento unico) titolo Mondiale, sembrava aver imboccato una via gratificante sul fronte economico, ma senza alcuna prospettiva sportiva per tornare ad essere ciò che era stato, ovvero un campione del Mondo.

“Dalla Mercedes ha ottenuto più libertà nella gestione della sua immagine e delle sue iniziative personali – commentava una prestigiosa firma britannica – in McLaren non gli era possibile. Per il resto è difficile pensare ad altro, visto che nelle ultime tre stagioni la Mercedes ha vinto una gara rispetto alle 16 della McLaren”.

E ancora: “Hamilton non sa molto della storia delle corse e, quindi, non può imparare dagli errori commessi da altri piloti. Forse la Mercedes ce la farà e Hamilton tra qualche anno ci sembrerà intelligente, ma temo che quella fatta da Lewis sarà una mossa simile a quella di James Hunt quando andò alla Wolf, a quella di Emerson Fittipaldi quando passò alla sua squadra, a quella di Jacques Villeneuve quando sposò la BAR o allo sfortunato passaggio di Niki Lauda alla Brabham”.

Queste erano anche le valutazioni di molti degli addetti ai lavori nel paddock: Hamilton era andato a soldi e, probabilmente, pensava già alla sua vita post-Formula 1, a gettare le basi per altre attività, cosa che in McLaren (con Ron Dennis) non poteva fare come avrebbe voluto.

Nessun accenno ad una visione tecnica e sportiva, alla possibilità che dietro la scelta di Lewis ci fosse un tornaconto economico ma non solo quello.

La capacità di guardare oltre è d’altronde una delle doti che distinguono gli ottimi piloti dai campionissimi. La storia insegna che Juan Manuel Fangio è sempre stato micidiale sia in pista che fuori, sapendo individuare in anticipo quale sarebbe stata la miglior vettura per la stagione successiva. Cambiò cinque squadre e vinse altrettanti Mondiali, un maestro in quello che oggi si chiama ‘timing’ ma che all’epoca era indicato come fiuto.

Non deve essere stato facile per Hamilton nel 2012 provare ad immaginare anche solo una minima parte di ciò che sarebbe stata in grado di fare la Mercedes, e oggi (sempre per chi ama sminuire l’operato di Lewis) è facile definire la scelta come ‘fortunata’.

Accadde lo stesso con Fangio, additato dagli avversari come un argentino che andava forte, ma anche con una gran dose di fortuna che gli ha permesso di essere sulla vettura giusta al momento giusto.

Coincidenze? Vedere laddove gli altri non vedono non è detto che sia questione di buona sorte, anche se nel caso di Lewis ha potuto contare su un Cicerone d’eccezione, ovvero quel Niki Lauda che, parlando la sua stessa lingua, seppe toccare le corde giuste.

“La storia racconta che non si lascia una squadra vincente in F1 – concluse nel 2012 un giornalista britannico al termine di un lungo commento sulla scelta di Hamilton - a meno che non sia per andare in un altro team che ha dimostrato di saper vincere…”.

Una considerazione che in quel momento suonava ironica, ma di ironia nel percorso di Lewis ce n’è stata poca. Semplicemente, la storia gli ha dato ragione.

https://it.motorsport.com/f1/news/f1-hamilton-larrivo-alla-mercedes-valutato-come-un-suicidio/4912936/?fbclid=IwAR3Twf1GiByASCTK88nTBDa_tixAc7F2NqwN5d8LM2ic9gw79EIUmTrQ4es

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Il 19/11/2020 at 17:59 , Kitt ha scritto:

Hamilton: l'arrivo alla Mercedes valutato come un suicidio

La stampa britannica nel 2012 aveva bollato il trasferimento di Lewis alla Stella. Il pilota inglese era stato accusato di aver fatto una scelta commerciale puntando a un contratto che valeva 100 milioni di sterline. Nessuno credeva che potesse iniziare un ciclo di successi impressionante al quale ha contribuito in prima persona. In realtà è una grande dote vedere laddove gli altri non guardano, meritandosi l'abitacolo della monoposto vincente come faceva Fangio.

 
 

Chi vuole sminuire i trionfi di Lewis Hamilton mette sul piatto la solita considerazione: “Con la Mercedes sono capaci tutti”. Era il 28 settembre 2012 quando fu annunciato ufficialmente il contratto triennale che sanciva l’ingresso di Hamilton nella squadra con la quale otto anni dopo sarebbe arrivato al vertice della storia della Formula 1 per numero di vittorie.

Quel giorno, soprattutto per i media inglesi, fu impossibile accettare una conseguenza della decisione presa da Lewis, ovvero lasciare la McLaren.

 

“Il suicidio di una carriera”, “100 milioni di sterline per Hamilton”, “Scelta commerciale”, “Hamilton passa dal team numero 1 al numero 4”. Così fu commentata la decisione di Lewis, che a quattro anni dal suo primo (e in quel momento unico) titolo Mondiale, sembrava aver imboccato una via gratificante sul fronte economico, ma senza alcuna prospettiva sportiva per tornare ad essere ciò che era stato, ovvero un campione del Mondo.

“Dalla Mercedes ha ottenuto più libertà nella gestione della sua immagine e delle sue iniziative personali – commentava una prestigiosa firma britannica – in McLaren non gli era possibile. Per il resto è difficile pensare ad altro, visto che nelle ultime tre stagioni la Mercedes ha vinto una gara rispetto alle 16 della McLaren”.

E ancora: “Hamilton non sa molto della storia delle corse e, quindi, non può imparare dagli errori commessi da altri piloti. Forse la Mercedes ce la farà e Hamilton tra qualche anno ci sembrerà intelligente, ma temo che quella fatta da Lewis sarà una mossa simile a quella di James Hunt quando andò alla Wolf, a quella di Emerson Fittipaldi quando passò alla sua squadra, a quella di Jacques Villeneuve quando sposò la BAR o allo sfortunato passaggio di Niki Lauda alla Brabham”.

Queste erano anche le valutazioni di molti degli addetti ai lavori nel paddock: Hamilton era andato a soldi e, probabilmente, pensava già alla sua vita post-Formula 1, a gettare le basi per altre attività, cosa che in McLaren (con Ron Dennis) non poteva fare come avrebbe voluto.

Nessun accenno ad una visione tecnica e sportiva, alla possibilità che dietro la scelta di Lewis ci fosse un tornaconto economico ma non solo quello.

La capacità di guardare oltre è d’altronde una delle doti che distinguono gli ottimi piloti dai campionissimi. La storia insegna che Juan Manuel Fangio è sempre stato micidiale sia in pista che fuori, sapendo individuare in anticipo quale sarebbe stata la miglior vettura per la stagione successiva. Cambiò cinque squadre e vinse altrettanti Mondiali, un maestro in quello che oggi si chiama ‘timing’ ma che all’epoca era indicato come fiuto.

Non deve essere stato facile per Hamilton nel 2012 provare ad immaginare anche solo una minima parte di ciò che sarebbe stata in grado di fare la Mercedes, e oggi (sempre per chi ama sminuire l’operato di Lewis) è facile definire la scelta come ‘fortunata’.

Accadde lo stesso con Fangio, additato dagli avversari come un argentino che andava forte, ma anche con una gran dose di fortuna che gli ha permesso di essere sulla vettura giusta al momento giusto.

Coincidenze? Vedere laddove gli altri non vedono non è detto che sia questione di buona sorte, anche se nel caso di Lewis ha potuto contare su un Cicerone d’eccezione, ovvero quel Niki Lauda che, parlando la sua stessa lingua, seppe toccare le corde giuste.

“La storia racconta che non si lascia una squadra vincente in F1 – concluse nel 2012 un giornalista britannico al termine di un lungo commento sulla scelta di Hamilton - a meno che non sia per andare in un altro team che ha dimostrato di saper vincere…”.

Una considerazione che in quel momento suonava ironica, ma di ironia nel percorso di Lewis ce n’è stata poca. Semplicemente, la storia gli ha dato ragione.

https://it.motorsport.com/f1/news/f1-hamilton-larrivo-alla-mercedes-valutato-come-un-suicidio/4912936/?fbclid=IwAR3Twf1GiByASCTK88nTBDa_tixAc7F2NqwN5d8LM2ic9gw79EIUmTrQ4es

Io me lo ricordo bene quel 2012...ma vi ricordate quante rotture subì Hamilton mentre era in testa? Solo il 2005 di Raikkonen fu peggio. Io compresi benissimo che lui se ne volle andare. Fu, oggettivamente, un'indecenza che la McLaren 2012 non fece mai una doppietta e arrivò 3* nel costruttori, dietro alla Ferrari, vincendo più del doppio delle gare della Ferrari. Un anno così avrebbe snervato chiunque: un conto è essere in fossa profonda, stile McLaren 2015, ci metti una pietra sopra fin dalla prima gara. Un conto è essere in lotta per il mondiale, e perderlo per cretinate tipo Spagna 2012, rotture alla Singapore 2012, detriti alla Germania 2012...

Modificato da Sikander
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Hamilton chiede rispetto e io sono d'accordo con lui soprattutto nella parte che ho messo in grassetto

 

Il fuoriclasse britannico: un altro grande pilota guida la mia stessa macchina ma non vince quanto vinco io. “Merito rispetto, sono il migliore”, dichiara a Marca il campione del mondo di F1 facendo riferimento al compagno di squadra Bottas. “Vorrei più gare complicate per dimostrare di cosa sono capace”.

GP impegnativi per far vedere che Hamilton è il numero uno

Ovviamente, dice Lewis, servono una grande squadra e una grande macchina. Nessuno ha vinto il Mondiale in nessun altro modo. “Vorrei che ci fossero gare più complicate come quella in Turchia, il più delle volte sarò in grado di dimostrare di cosa sono capace”, aggiunge Hamilton.

 

https://mbenz.it/hamilton-chiede-rispetto-su-vittorie-mercedes/37144/

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