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Gian Luca 60

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Vorrei aprire questo topic per parlare del calcio di una volta, di storie di questo sport che ci ha fatto dannare e che ci ha fatto litigare almeno una volta nella vita.

 

Mi è venuta questa idea perché ho ritrovato dentro a degli scatoloni gli album dei calciatori di quando ero bambino (1967-68 il primo e chi se la scorda la colla coccoina o la colla artigianale con la farina, le valide, bisvalide..)..la cosa che più mi ha impressionato è la differenza tra i calciatori di allora e quelli di oggi..il solo sguardo di Romeo Benetti farebbe scappare tutti questi ragazzotti di oggi...che uomini!!

 

E prima si apprezzavano sul serio anche i giocatori delle squadre avversarie, che esse fossero le rivali storiche o della squadra del cuore...gente come Tarcisio Burgnich, Furino, Picchio De Sisti ecc. non erano solo bandiere di Inter, Juve e Fiorentina ma erano apprezzati da tutti i tifosi d'Italia.

 

Oggi mi ritrovo dei giocatori che pensano solo a pettinarsi (se solo giocasse ancora Romeo) e alle ragazze che gli aspettano a fine partita, che non sanno mettere insieme due parole e che così come velocemente sono diventati "famosi" spariscono nel nulla perché si sono rovinati la loro carriera con le bravate.

E non mi si dica che sono cambiati i tempi perché anche prima c'erano cose anche peggiori (ero piccolo ma ricordo bene un bel po di giocatori del Cagliari dello scudetto che si divertivano nei bordelli e scoppiò un casino con alcuni giocatori indagati perché gestivano loro stessi questi locali tramite prestanome) e molti, anzi moltissimi giravano armati come un Balotelli di oggi che gira con una scaccia cani mentre a quei tempi giravano con una p38 (consiglio di leggere la storia di Agostino Di Bartolomei o la storia dell'uccisione di Luciano Re Cecconi) eppure non c'erano tutte queste polemiche giornaliere sul telefonino di tizio o la moglie di quest'altro.

E' cambiato il modo di raccontare questo sport (ne parlavo giusto ieri nel topic sul motomondiale) che prima era commentato da gente seria e competente (Paolo Valenti, Nando Martellini, Sandro Ciotti, Beppe Viola..) mentre oggi le mie povere orecchie debbono sentire baggianate che esaltano quei teppisti da stadio (c'erano anche prima sia chiaro e ricorderò sempre la morte di Paparelli nel derby) usando vocaboli che nulla hanno a che fare con il calcio e con lo sport in generale..

 

Spero che si possa costruire un bel topic confrontandoci sull'evoluzione di questo sport che nelle sue regole è sempre uguale o quasi ma nel suo contorno si è degradato e parecchio!!

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Ottima idea.

 

Per cominciare, ho letto sviluppi recenti circa la brutta fine di Re Cecconi, che contraddirebbero totalmente la versione comunemente e frettolosamente accettata in tribunale. Non so se sia il caso di parlarne qui.. Se sì, magari cercherò qualche link recente.

 

Ancor più sorprendente è la vicenda del mitico radio-telecronista Nicolò Carosio, ingiustamente estromesso alla vigilia di Italia-Germania a Messico '70 per una cosa che non aveva affatto commesso...

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Ottima idea.

 

Per cominciare, ho letto sviluppi recenti circa la brutta fine di Re Cecconi, che contraddirebbero totalmente la versione comunemente e frettolosamente accettata in tribunale. Non so se sia il caso di parlarne qui.. Se sì, magari cercherò qualche link recente.

 

Ancor più sorprendente è la vicenda del mitico radio-telecronista Nicolò Carosio, ingiustamente estromesso alla vigilia di Italia-Germania a Messico '70 per una cosa che non aveva affatto commesso...

su carosio ci son varie versioni..in telecronaca non disse nulla forse disse qualcosa dopo..questo l'ho trovato in un articolo del corriere

La Rai, attivata dalla Farnesina, intimò a Carosio di rientrare immediatamente in Italia. Qui scattò la solidarietà  dei colleghi a difesa di Nicolò: «Se rientra lui, rientriamo tutti». Perciò, ecco il compromesso: telecronaca a Martellini e Carosio resta a Città  del Messico…. …Ma c'è un altro elemento da tenere in considerazione: la radio. Cosa sia stato detto nel corso della Radiocronaca Rai, non è possibile oggi ricostruire, perché, per molti anni, l'archivio di Radio Rai ha latitato. Esiste, però, una testimonianza precisa: una lettera al quotidiano romano «Il Messaggero», pubblicata 2 giorni dopo Italia-Israele, firmata Laiketsion Petros, ingegnere etiope residente a Roma sotto il titolo: «Una frase di pessimo gusto». «Sono rimasto molto sorpreso — scrive l'ingegnere — nel sentire alla radio i commenti sia del radiocronista che di altre persone relativi al guardalinee etiopico Tarekegn, dopo (attenzione: dopo n.d.a. ) la cronaca della partita Italia-Israele. La frase che più mi ha colpito è stata quella, più volte ripetuta: "Il Negus si è vendicato". A parte il fatto che il Negus si è già  vendicato, perdonando e dimenticando il passato, e oggi Italiani ed Etiopici vivono sia in Italia che in Etiopia nella migliore delle armonie, sia nel lavoro che nello sport, ritengo che questa frase detta a 20 milioni circa di radioascoltatori, sia veramente di pessimo gusto e del tutto priva di qualsiasi fondamento». Qualcosa di «improprio» (oggi diremmo di «politicamente scorretto») doveva evidentemente essere sfuggito, più probabilmente alla radio che alla tv e, a giudicare da quel «dopo», potrebbe essersi trattato anche di un' estemporanea e improvvida uscita di qualche intervistato del dopo-gara, più che di un eccesso tardo-patriottico del radiocronista che era Enrico Ameri. Quindi, prende corpo anche questa ipotesi: che le proteste diplomatiche siano nate su segnalazioni confuse, che mescolavano Radio e Televisione. Tanto, sempre di Rai si trattava

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su carosio ci son varie versioni..in telecronaca non disse nulla forse disse qualcosa dopo..questo l'ho trovato in un articolo del corriere

 

…Ma c'è un altro elemento da tenere in considerazione: la radio. Cosa sia stato detto nel corso della Radiocronaca Rai, non è possibile oggi ricostruire, perché, per molti anni, l'archivio di Radio Rai ha latitato. Esiste, però, una testimonianza precisa: una lettera al quotidiano romano «Il Messaggero», pubblicata 2 giorni dopo Italia-Israele, firmata Laiketsion Petros, ingegnere etiope residente a Roma sotto il titolo: «Una frase di pessimo gusto». «Sono rimasto molto sorpreso — scrive l'ingegnere — nel sentire alla radio i commenti sia del radiocronista che di altre persone relativi al guardalinee etiopico Tarekegn, dopo (attenzione: dopo n.d.a. ) la cronaca della partita Italia-Israele. La frase che più mi ha colpito è stata quella, più volte ripetuta: "Il Negus si è vendicato". A parte il fatto che il Negus si è già  vendicato, perdonando e dimenticando il passato, e oggi Italiani ed Etiopici vivono sia in Italia che in Etiopia nella migliore delle armonie, sia nel lavoro che nello sport, ritengo che questa frase detta a 20 milioni circa di radioascoltatori, sia veramente di pessimo gusto e del tutto priva di qualsiasi fondamento». Qualcosa di «improprio» (oggi diremmo di «politicamente scorretto») doveva evidentemente essere sfuggito, più probabilmente alla radio che alla tv e, a giudicare da quel «dopo», potrebbe essersi trattato anche di un' estemporanea e improvvida uscita di qualche intervistato del dopo-gara, più che di un eccesso tardo-patriottico del radiocronista che era Enrico Ameri. Quindi, prende corpo anche questa ipotesi: che le proteste diplomatiche siano nate su segnalazioni confuse, che mescolavano Radio e Televisione. Tanto, sempre di Rai si trattava

 

NO!!!

 

ATTENZIONE!!!

 

L'articolo dice che la TELEcronaca fu di Carosio, il quale non disse nulla che potesse essere offensivo.

 

Invece, durante la RADIOcronaca, o meglio nei commenti dopo la stessa RADIOcronaca, (comunque sempre alla radio, e qui Carosio non c'entra niente di niente, lui era in TV), qualcuno (forse il RADIOcronista Ameri, oforse altri) si lasciò sfuggire la frase "Il negus si è vendicato".

 

E, dopo le proteste dell'Etiopia, qualche stupidissimo dirigente deve aver equivocato tra radio- e tele-cronaca buttando fuori l'incolpevole Carosio.

 

Capite? Carosio fece la TELEcronaca (in TV), ma l' "incidente" ci fu dopo la RADIOcronaca (alla RADIO).

 

E Carosio fu sbattuto fuori per qualcosa che era accaduto da tutt'altra parte.

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Per quanto riguarda Re Cecconi sarei curioso di saperne di più, ovviamente a discrezione tua e degli altri admin di questo forum.

 

Per quanto riguarda Nick Carosio ricordo il fatto che la frase incriminata molti dicevano di averla sentita, altri no e altri ancora dicevano che non aveva usato quei termini.Fatto sta che venne appiedato per una frase che in realtà  non disse mai (io ricordo distintamente la partita Italia-Messico vista nel bar centrale del paese ma erano già  i quarti di finale e c'era Martellini al 100% e poi a ruota le restanti 2) e di fatto pose fine in un modo inglorioso (non per colpa sua) a una grande carriera dietro un microfono.

 

Di fatto pagò anche per il periodo in cui ci trovavamo, dove se si usciva fuori dai ranghi venivi fatto fuori e essendo un evento in diretta e non censurabile preventivamente come una qualsiasi altra trasmissione la fine obbligata era l'estromissione.Anche per questo motivo ci fu una scissione del comparto sportivo Rai che portò alla separazione di coppie storiche di giornalisti come Maurizio Barendson e Paolo Valenti che nei primi anni conducevano in coppia 90° minuto poi ricordo che passò al Secondo Canale (bei tempi) con Arbore dove creò una sorta di rotocalco dove si parlava di tutti gli sport con eventi appena conclusi, anticipando quindi La Domenica Sportiva nel dare risultati..

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Ti ringrazio, questa intervista avvalora la tesi che mi ero posto quando l'anno scorso in una puntata di Sfide dedicata alla Lazio di Maestrelli c'era un capitolo dedicato a Re Cecconi dove fanno vedere uno spezzone del film citato nell'intervista dove fanno vedere l'incidente.

Inoltre ricordo che, sempre in quella puntata di Sfide, ora non ricordo colui che lo disse ma qualcuno affermò che Ghedin tendeva a dare versioni sempre diverse che si scontravano tra loro e alla famiglia Re Cecconi non aveva mai dato una versione veramente esaustiva dell'accaduto.

Per quanto riguarda le simpatie politiche, senza scendere nei particolari ma quella Lazio era divisa in 2 gruppi (se ne parla ampiamente in quella famosa puntata ma era cosa ampiamente risaputa in quegli anni) dove c'era Chinaglia, Vincenzo D'Amico e Giancarlo Oddi su tutti che erano della parte politica del tifo maggioritario laziale mentre il gruppo a cui faceva parte Re Cecconi era un gruppo misto, composto da gente con pensieri politici opposti ai big e gente che non gliene fregava nulla come Re Cecconi che infatti aveva il privilegio di interagire con Chinaglia e soci perché gli venivano riconosciute capacità  di dialogo e mediazione che erano necessarie per sopravvivere in quel gruppo.

Inoltre posso riportavi una testimonianza di Gigi Riva che mi aveva confidato (è quasi scontato incontrarlo a Cagliari sempre al solito posto e scambia quattro chiacchiere con tutti anche su argomenti spinosi e se lo becchi dopo un bicchiere di mirto bianco allora scende anche a dettagli specifici) sul carattere di Re Cecconi.

Mi ha parlato del caso Chinaglia ai mondiali del 1974 (il vaffa a Valcareggi durante la sostituzione contro Haiti) e del fatto che nello spogliatoio tutti chiedevano la sua testa, compreso Pino Wilson che aveva un ruolo marginale in quella nazionale ma era compagno di squadra nella Lazio.

L'unico che lo difendeva veramente era proprio Re Cecconi e fu lui a convincere Maestrelli a scendere in Germania e non Artemio Franchi o chi altri come si disse all'epoca.

Perché tutti (non a torto) lo volevano fuori da quella squadra perché ne minava gli equilibri e non riuscivano a trovare un calmante per il suo carattere, nonostante dormisse in camera con Zoff e nonostante qualcuno lo prendeva a mazzate.

 

Re Cecconi ha pagato per una serie di luoghi comuni (viveur, testa calda e politicamente schierato) quando ancora il cadavere era caldo, che uniti a circostanze mai ben chiarite (il libro appena posso lo acquisto perché i dubbi che ho sono troppi e non da oggi ma già  da quando il fatto accadde, visto anche il periodo storico in cui accadde dove saltò fuori un pò di tutto) non ha ancora portato a una giustizia per una famiglia che lo ha perso troppo giovane.

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NO!!!

 

ATTENZIONE!!!

 

L'articolo dice che la TELEcronaca fu di Carosio, il quale non disse nulla che potesse essere offensivo.

 

Invece, durante la RADIOcronaca, o meglio nei commenti dopo la stessa RADIOcronaca, (comunque sempre alla radio, e qui Carosio non c'entra niente di niente, lui era in TV), qualcuno (forse il RADIOcronista Ameri, oforse altri) si lasciò sfuggire la frase "Il negus si è vendicato".

 

E, dopo le proteste dell'Etiopia, qualche stupidissimo dirigente deve aver equivocato tra radio- e tele-cronaca buttando fuori l'incolpevole Carosio.

 

Capite? Carosio fece la TELEcronaca (in TV), ma l' "incidente" ci fu dopo la RADIOcronaca (alla RADIO).

 

E Carosio fu sbattuto fuori per qualcosa che era accaduto da tutt'altra parte.

 

Questa la telecronaca originale, giudicate voi.

 

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Ogni volta che ci penso, mi dispiace tantissimo che un grande professionista come Carosio sia stato vittima incolpevole di una ingiustizia assurda come quella. E proprio alla vigilia di una partita importante come Italia-Germania, che poteva essere il degnissimo coronamento di una lunga e significativa carriera, giusto un anno prima della pensione.

 

Carosio nel 1931 aveva letteralmente "inventato" il mestiere di radiocronista calcistico.

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  • 3 weeks later...

Intervista a un grandissimo portiere che ha fatto la storia di tante squadre e della nazionale Italiana dei bei tempi andati.

A leggere queste righe si notano tantissime differenze tra il calcio di oggi e quello di una volta ma anche tante analogie.

 

Ricky Albertosi, il più grande di tutti. Più di Zoff, più di Sarti, più di Buffon. Chi lo dice? Non certo lui, che professa umiltà  e si limita a dire: "Sono stato un grande portiere, questo sì. Il più grande? Mi spiace, non sta a me dirlo".

Interviene allora la moglie Betty:
"Ricky è stato il migliore. Ma lui non lo dice, perchè è una persona umile. Anche se molti la pensano diversamente". Eh già , perchè Ricky Albertosi ha sempre avuto l'immagine del guascone, di chi conduce una vita spericolata: donne, gioco, sigarette (un pacchetto al giorno). Un personaggio "contro", tutto l'opposto di come dovrebbe essere un'atleta. "Che vi devo dire? confessa Ricky, anche un pò divertito. Zoff, per esempio, se faceva l'amore il venerdì la domenica aveva le gambe molli. Io potevo farlo anche di sabato, ma la domenica facevo ugualmente il fenomeno. Questione di fisico".

E allora con uno come Albertosi proviamo anche noi ad andare controcorrente, partendo dalla fine...
"Nella vita ho fatto il fenomeno - aggiunge - però per due volte ho rischiato seriamente di morire. La prima nel 2004, mentre andavo a cavallo per beneficenza. Eravamo all'ippodromo di Montecatini, sono crollato all'improvviso e l'ambulanza non aveva medico a bordo. Sono stato incosciente per 18 minuti, mi fecero l'elettroshock... tre, quattro volte, ma niente. Dopo tre giorni mi risveglio dal coma e per miracolo non avevo subito danni cerebrali. Anzi, litigai col medico perchè volevo togliermi la mascherina e baciare mia moglie".
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La seconda, invece, la sanno in pochi... 
"Problemi alla tiroide, era il 2010. In un mese ero dimagrito 15 chili, e non capivo il perchè. La colpa era di una medicina che prendevo per il cuore, il cordarone, che solo nel 20% dei casi può causare danni alla tiroide. Ed io, guarda caso, rientravo in quella percentuale. Sono stato un mese ricoverato a Pisa, fui operato, mi è andata bene".

Ci dica come ha cominciato il giovane Albertosi, parlandone da vivo 
"Se sono diventato un calciatore è merito di mia madre. E di una casualità : io nasco a Pontremoli, in Lunigiana, nel '39. A 15 anni esordisco in prima squadra sostituendo il portiere Gregoratto che si doveva imbarcare come marinaio. Poi, altra coincidenza, sostengo due provini: uno all'Inter, uno allo Spezia. Li supero entrambi, e ovviamente spero di andare all'Inter. E invece fu lo Spezia a fare un'offerta per primo".
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"Con Sarti andavo d'accordo, anche se non perdeva occasione per ricordarmi che era lui il titolare. E comunque eravamo diversi in tutto"
Però?
"Però c'è da convincere mio padre. E pensare che anche lui aveva fatto il portiere nella Pontremolese, in promozione. Allo stesso tempo era maestro di scuola e voleva continuassi a studiare. Per fortuna mia madre riuscì ad imporsi, anche se il meglio deve ancora venire: la mattina dopo telefona l'Inter che voleva ingaggiarmi. Ma ormai l'accordo era fatto..."

Nonostante la vicinanza, l'inizio fu duro 
"La mattina alle 6 prendevo il treno degli operai, due ore per arrivare a Spezia. Scuola al mattino, pranzo alle 12,30, allenamento il pomeriggio. Ripartivo alle 18 ed arrivavo a casa alle 20. Il primo anno ce l'ho fatta, il secondo ho mollato e mi sono dedicato al calcio. Finchè nel '58 è arrivata la Fiorentina, con Ferrero che mi tenne in prova una settimana".

Ci racconti l'esordio in serie A
"Fu con la Roma, sul neutro di Livorno, nel gennaio '59. Finì 0-0, non presi gol e feci delle grandi parate. Ricordo che Carosio, in cronaca, mi fece i complimenti perchè da quanto ero tranquillo sembravo un veterano". E lì cominciò il dualismo con Giuliano Sarti "In realtà  il mio rapporto con Sarti è sempre stato buono, anche se non perdeva occasione per ricordarmi che era lui il titolare. E poi eravamo diversi in tutto: nel carattere, nel modo di stare in campo. Sarti concreto, poco appariscente, io un gatto, amante dello spettacolo. Però da Giuliano ho imparato tanto, sopratutto la posizione, quasi da libero aggiunto. In cinque anni, dal '58 al '63, giocai solo 30 partite, però feci a tempo ad esordire in nazionale, proprio a Firenze... (15 giugno 1961, Italia-Argentina 4-1 ndr.) Quella per me fu una grossa rivincita".

Con la Fiorentina 10 stagioni, 185 presenze, due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, una Mitropa Cup. Qual è il ricordo più bello? 
"Senza dubbio la vittoria in Coppa delle Coppe contro i Rangers di Glasgow. Ricordo la partita d'andata in Scozia, davanti a 80.000 spettatori. Da quanto era forte il tifo degli scozzesi non riuscivo nemmeno a farmi sentire dai miei compagni. Vincemmo 2-0 con doppietta di Gigi Milan, una gioia enorme..."
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Il ricordo più bello della sua carriera in generale
"Potrei dire Italia-Germania 4-3, oppure lo scudetto della stella col Milan nel '79. E invece dico lo scudetto col Cagliari nel '70. Pensi che non ci volevo andare: ancora una volta mi voleva l'Inter, ma Baglini mi volle dare a tutti i costi al Cagliari. Vede, vincere uno scudetto su un'isola è difficile, è la rivincita verso il continente. Dopo quella vittoria la Sardegna ebbe una grande evoluzione. E poi il mio rapporto con i compagni, con l'allenatore, assolutamente unico. Intanto non andavamo mai in ritiro, quando giocavamo fuori casa ero in camera con Riva e spesso facevamo tardi il sabato a giocare a poker. Solo a Cagliari..."

Capitolo nazionale. Lei ha fatto quattro mondiali: il primo e l'ultimo come riserva, gli altri due invece... 
"In Cile nel '62 ed in Germania nel '74 ero ad inizio e fine carriera. In Inghilterra fui uno di quelli che presero i pomodori in faccia dopo la Corea. Addirittura ricordo che Edmondo Fabbri voleva emigrare in Ghana. Atterrammo a Genova per depistare i tifosi, ma fu tutto inutile... In Messico, invece, perdemmo in finale col Brasile. Era un grandissimo Brasile: Pelè, Tostao, Rivelino, Jair, eppure per un'ora reggemmo alla grande. Poi subimmo il gol del 2-1 di Carlos Alberto sul quale, devo essere sincero, mi buttai in ritardo. Fino al crollo finale, ed i sei minuti di Rivera".
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A proposito, cosa gli disse esattamente dopo il gol di Muller?
"Lo ammetto: gli dissi che era uno stronzo ed un figlio di puttana" E lui? "E lui non aveva scelta. Stette zitto e mi disse che avrebbe rimediato. E infatti, pochi secondi dopo, realizzò il gol del 4-3 che è passato alla storia". Da Rivera al Milan, al calcio scommesse... il passo è breve "Quando arrivai a Milano nel '74, Rivera era già  un giocatore-dirigente. Della mia esperienza al Milan ho bei ricordi, mi portò Buticchi che avevo avuto come presidente allo Spezia. Vincemmo uno scudetto, feci da chioccia a futuri campioni come Baresi e Collovati. Poi arrivò il gol di Duda e cominciò il declino". Si spieghi meglio... "La partita col Porto, a San Siro, nella coppa dei campioni del '79. Rivera, che aveva smesso e che era dirigente a tutti gli effetti, aveva fatto un accordo per un pallone diverso dagli altri, di una ditta di Vipiteno. Era leggero, a me non piaceva. Io glielo dissi, ed in campionato tornammo al pallone ufficiale dell'Adidas. Invece, in coppa, senza saperlo mi ritrovai ancora quel pallone brutto e leggero, e sulla punizione del portoghese Duda feci una papera che ci buttò fuori dalla coppa. Successe un casino, fui contestato, e da lì si ruppe qualcosa..."
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Fino allo scandalo del calcio scommesse 
"Guardi, sembrerà  strano, ma io feci solo da tramite. Il mio errore fu di non denunciare la cosa, ed invece fui punito come quelli che avevano organizzato tutto. Presi quattro anni, sopratutto passai 10 giorni a Regina Coeli. Fu un'esperienza molto brutta. Ricordo ancora i palleggi con Giordano e Manfredonia nell'ora d'aria..." A chi l'accusa di aver fatto la bella vita, cosa risponde? "Rispondo che non mi sono fatto mancare niente,ma che mi sono conquistato tutto da solo. E che ho sempre portato rispetto a tutti. Lo chieda ai miei compagni, nessuno parlerà  male di me..."

C'è un triangolare tra Fiorentina, Cagliari e Milan. Lei per chi tifa?
"Per la Fiorentina. Abito vicino, a Forte dei Marmi, aiuto mio figlio in negozio che è tifoso viola. Quindi..."Risposta secca: più forte lei o Zoff? "Io, sicuramente" Più forte lei o Sarti? "Sempre io" Più forte lei o Buffon? "Guardi, a me Buffon piaceva tanto, ricordava me da giovane. Ora è un pò in difficoltà , però... No, sono stato più forte io".

Insomma, lo possiamo dire: lei è stato il più forte di tutti!
"Gliel'ho detto: io sono stato un grande, ma che sono stato il più forte dovete dirlo voi". Lo ha detto la signora Betty, e questo ci basta.

 

Fonte:TMW

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NO!!!

 

ATTENZIONE!!!

 

L'articolo dice che la TELEcronaca fu di Carosio, il quale non disse nulla che potesse essere offensivo.

 

Invece, durante la RADIOcronaca, o meglio nei commenti dopo la stessa RADIOcronaca, (comunque sempre alla radio, e qui Carosio non c'entra niente di niente, lui era in TV), qualcuno (forse il RADIOcronista Ameri, oforse altri) si lasciò sfuggire la frase "Il negus si è vendicato".

 

E, dopo le proteste dell'Etiopia, qualche stupidissimo dirigente deve aver equivocato tra radio- e tele-cronaca buttando fuori l'incolpevole Carosio.

 

Capite? Carosio fece la TELEcronaca (in TV), ma l' "incidente" ci fu dopo la RADIOcronaca (alla RADIO).

 

E Carosio fu sbattuto fuori per qualcosa che era accaduto da tutt'altra parte.

 

Il radiocronista era sicuramente Ameri che non ha mai fatto mistero riguardo alle sue idee di estrema destra. Purtroppo è scomparso oramai da diversi anni e non potrebbe controbattere, però può darsi che anche in ambito politically correct si sia lasciato sfuggire qualche frase di tenore razzista.

 

 

 

 

Intervista a un grandissimo portiere che ha fatto la storia di tante squadre e della nazionale Italiana dei bei tempi andati.

A leggere queste righe si notano tantissime differenze tra il calcio di oggi e quello di una volta ma anche tante analogie.

 

Ricky Albertosi, il più grande di tutti. Più di Zoff, più di Sarti, più di Buffon. Chi lo dice? Non certo lui, che professa umiltà  e si limita a dire: "Sono stato un grande portiere, questo sì. Il più grande? Mi spiace, non sta a me dirlo".

Interviene allora la moglie Betty:

"Ricky è stato il migliore. Ma lui non lo dice, perchè è una persona umile. Anche se molti la pensano diversamente". Eh già , perchè Ricky Albertosi ha sempre avuto l'immagine del guascone, di chi conduce una vita spericolata: donne, gioco, sigarette (un pacchetto al giorno). Un personaggio "contro", tutto l'opposto di come dovrebbe essere un'atleta. "Che vi devo dire? confessa Ricky, anche un pò divertito. Zoff, per esempio, se faceva l'amore il venerdì la domenica aveva le gambe molli. Io potevo farlo anche di sabato, ma la domenica facevo ugualmente il fenomeno. Questione di fisico".

E allora con uno come Albertosi proviamo anche noi ad andare controcorrente, partendo dalla fine...

"Nella vita ho fatto il fenomeno - aggiunge - però per due volte ho rischiato seriamente di morire. La prima nel 2004, mentre andavo a cavallo per beneficenza. Eravamo all'ippodromo di Montecatini, sono crollato all'improvviso e l'ambulanza non aveva medico a bordo. Sono stato incosciente per 18 minuti, mi fecero l'elettroshock... tre, quattro volte, ma niente. Dopo tre giorni mi risveglio dal coma e per miracolo non avevo subito danni cerebrali. Anzi, litigai col medico perchè volevo togliermi la mascherina e baciare mia moglie".

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La seconda, invece, la sanno in pochi... 

"Problemi alla tiroide, era il 2010. In un mese ero dimagrito 15 chili, e non capivo il perchè. La colpa era di una medicina che prendevo per il cuore, il cordarone, che solo nel 20% dei casi può causare danni alla tiroide. Ed io, guarda caso, rientravo in quella percentuale. Sono stato un mese ricoverato a Pisa, fui operato, mi è andata bene".

Ci dica come ha cominciato il giovane Albertosi, parlandone da vivo 

"Se sono diventato un calciatore è merito di mia madre. E di una casualità : io nasco a Pontremoli, in Lunigiana, nel '39. A 15 anni esordisco in prima squadra sostituendo il portiere Gregoratto che si doveva imbarcare come marinaio. Poi, altra coincidenza, sostengo due provini: uno all'Inter, uno allo Spezia. Li supero entrambi, e ovviamente spero di andare all'Inter. E invece fu lo Spezia a fare un'offerta per primo".

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"Con Sarti andavo d'accordo, anche se non perdeva occasione per ricordarmi che era lui il titolare. E comunque eravamo diversi in tutto"

Però?

"Però c'è da convincere mio padre. E pensare che anche lui aveva fatto il portiere nella Pontremolese, in promozione. Allo stesso tempo era maestro di scuola e voleva continuassi a studiare. Per fortuna mia madre riuscì ad imporsi, anche se il meglio deve ancora venire: la mattina dopo telefona l'Inter che voleva ingaggiarmi. Ma ormai l'accordo era fatto..."

Nonostante la vicinanza, l'inizio fu duro 

"La mattina alle 6 prendevo il treno degli operai, due ore per arrivare a Spezia. Scuola al mattino, pranzo alle 12,30, allenamento il pomeriggio. Ripartivo alle 18 ed arrivavo a casa alle 20. Il primo anno ce l'ho fatta, il secondo ho mollato e mi sono dedicato al calcio. Finchè nel '58 è arrivata la Fiorentina, con Ferrero che mi tenne in prova una settimana".

Ci racconti l'esordio in serie A

"Fu con la Roma, sul neutro di Livorno, nel gennaio '59. Finì 0-0, non presi gol e feci delle grandi parate. Ricordo che Carosio, in cronaca, mi fece i complimenti perchè da quanto ero tranquillo sembravo un veterano". E lì cominciò il dualismo con Giuliano Sarti "In realtà  il mio rapporto con Sarti è sempre stato buono, anche se non perdeva occasione per ricordarmi che era lui il titolare. E poi eravamo diversi in tutto: nel carattere, nel modo di stare in campo. Sarti concreto, poco appariscente, io un gatto, amante dello spettacolo. Però da Giuliano ho imparato tanto, sopratutto la posizione, quasi da libero aggiunto. In cinque anni, dal '58 al '63, giocai solo 30 partite, però feci a tempo ad esordire in nazionale, proprio a Firenze... (15 giugno 1961, Italia-Argentina 4-1 ndr.) Quella per me fu una grossa rivincita".

Con la Fiorentina 10 stagioni, 185 presenze, due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, una Mitropa Cup. Qual è il ricordo più bello? 

"Senza dubbio la vittoria in Coppa delle Coppe contro i Rangers di Glasgow. Ricordo la partita d'andata in Scozia, davanti a 80.000 spettatori. Da quanto era forte il tifo degli scozzesi non riuscivo nemmeno a farmi sentire dai miei compagni. Vincemmo 2-0 con doppietta di Gigi Milan, una gioia enorme..."

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Il ricordo più bello della sua carriera in generale

"Potrei dire Italia-Germania 4-3, oppure lo scudetto della stella col Milan nel '79. E invece dico lo scudetto col Cagliari nel '70. Pensi che non ci volevo andare: ancora una volta mi voleva l'Inter, ma Baglini mi volle dare a tutti i costi al Cagliari. Vede, vincere uno scudetto su un'isola è difficile, è la rivincita verso il continente. Dopo quella vittoria la Sardegna ebbe una grande evoluzione. E poi il mio rapporto con i compagni, con l'allenatore, assolutamente unico. Intanto non andavamo mai in ritiro, quando giocavamo fuori casa ero in camera con Riva e spesso facevamo tardi il sabato a giocare a poker. Solo a Cagliari..."

Capitolo nazionale. Lei ha fatto quattro mondiali: il primo e l'ultimo come riserva, gli altri due invece... 

"In Cile nel '62 ed in Germania nel '74 ero ad inizio e fine carriera. In Inghilterra fui uno di quelli che presero i pomodori in faccia dopo la Corea. Addirittura ricordo che Edmondo Fabbri voleva emigrare in Ghana. Atterrammo a Genova per depistare i tifosi, ma fu tutto inutile... In Messico, invece, perdemmo in finale col Brasile. Era un grandissimo Brasile: Pelè, Tostao, Rivelino, Jair, eppure per un'ora reggemmo alla grande. Poi subimmo il gol del 2-1 di Carlos Alberto sul quale, devo essere sincero, mi buttai in ritardo. Fino al crollo finale, ed i sei minuti di Rivera".

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A proposito, cosa gli disse esattamente dopo il gol di Muller?

"Lo ammetto: gli dissi che era uno stronzo ed un figlio di puttana" E lui? "E lui non aveva scelta. Stette zitto e mi disse che avrebbe rimediato. E infatti, pochi secondi dopo, realizzò il gol del 4-3 che è passato alla storia". Da Rivera al Milan, al calcio scommesse... il passo è breve "Quando arrivai a Milano nel '74, Rivera era già  un giocatore-dirigente. Della mia esperienza al Milan ho bei ricordi, mi portò Buticchi che avevo avuto come presidente allo Spezia. Vincemmo uno scudetto, feci da chioccia a futuri campioni come Baresi e Collovati. Poi arrivò il gol di Duda e cominciò il declino". Si spieghi meglio... "La partita col Porto, a San Siro, nella coppa dei campioni del '79. Rivera, che aveva smesso e che era dirigente a tutti gli effetti, aveva fatto un accordo per un pallone diverso dagli altri, di una ditta di Vipiteno. Era leggero, a me non piaceva. Io glielo dissi, ed in campionato tornammo al pallone ufficiale dell'Adidas. Invece, in coppa, senza saperlo mi ritrovai ancora quel pallone brutto e leggero, e sulla punizione del portoghese Duda feci una papera che ci buttò fuori dalla coppa. Successe un casino, fui contestato, e da lì si ruppe qualcosa..."

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Fino allo scandalo del calcio scommesse 

"Guardi, sembrerà  strano, ma io feci solo da tramite. Il mio errore fu di non denunciare la cosa, ed invece fui punito come quelli che avevano organizzato tutto. Presi quattro anni, sopratutto passai 10 giorni a Regina Coeli. Fu un'esperienza molto brutta. Ricordo ancora i palleggi con Giordano e Manfredonia nell'ora d'aria..." A chi l'accusa di aver fatto la bella vita, cosa risponde? "Rispondo che non mi sono fatto mancare niente,ma che mi sono conquistato tutto da solo. E che ho sempre portato rispetto a tutti. Lo chieda ai miei compagni, nessuno parlerà  male di me..."

C'è un triangolare tra Fiorentina, Cagliari e Milan. Lei per chi tifa?

"Per la Fiorentina. Abito vicino, a Forte dei Marmi, aiuto mio figlio in negozio che è tifoso viola. Quindi..."Risposta secca: più forte lei o Zoff? "Io, sicuramente" Più forte lei o Sarti? "Sempre io" Più forte lei o Buffon? "Guardi, a me Buffon piaceva tanto, ricordava me da giovane. Ora è un pò in difficoltà , però... No, sono stato più forte io".

Insomma, lo possiamo dire: lei è stato il più forte di tutti!

"Gliel'ho detto: io sono stato un grande, ma che sono stato il più forte dovete dirlo voi". Lo ha detto la signora Betty, e questo ci basta.

 

Fonte:TMW

 

 

Bella intervista, grazie Gianluca :up:

Modificato da Carlomm73
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36 anni fa durante un Perugia-Juventus moriva sul rettangolo verde di gioco Renato Curi che venne purtroppo stroncato da un infarto.Una delle grandi tragedie che si sono verificate in quegli anni nel mondo del calcio italiano e che portarono a maggiori controlli sullo stato fisico e di salute i giocatori.Questa tragedia avvenne pochi anni dopo la morte del giocatore della Roma Giuliano Taccola in quel dello stadio Amsicora di Cagliari dove lui, essendo infortunato o squalificato, ora non ricordo di preciso, aveva deciso di seguire comunque la sua squadra e negli spogliatoi perì per un attacco cardiaco.

Diciamo che chi ha parlato della Juve di Lippi come squadra di dopati doc dovrebbe guardare cosa accadeva in quegli anni in TUTTE le società , dalla più piccola alla più grande e basti vedere buona parte della Fiorentina di quegli anni allenata da Carletto Mazzone che cosa ne è rimasto sano ad oggi.

Anche nel Milan di Rivera giravano "strane" (eufemismo) medicine che poi casualmente ti facevano sparire dolori e correre a mille all'ora e Rivera stesso ricordo che in tempi non sospetti ne parlò di tutto ciò smentendo l'eterno rivale cittadino Sandro Mazzola a riguardo di uso di farmaci e sostanze proibite.

Riva stesso una volta parlò di una partita giocata con la Germania orientale per la qualificazione a Messico 70 dove i tedeschi avevano la bava verde alla bocca e correvano come pazzi e alla fine della partita non riuscivano a fermarsi talmente erano sotto effetto di sostanze dopanti e correvano come pazzi nei corridoi degli spogliatoi sbraitando.

Non dico che oggi non esista più questo fenomeno ma sicuramente non siamo più a quei livelli.

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Esattamente così.

Bastava veramente poco sia in termini di spesa che di tempistica per salvare questi giocatori.

E bisogna anche dire che molte volte la buonissima sorte ci ha messo del suo come per Manfredonia in un Bologna-Roma dell'89-90 giocato il 31 dicembre dell'89, dove per fortuna riuscì a salvarsi perché dopo 5 minuti era già  all'ospedale o lo Pioli, attuale allenatore del Bologna che aveva avuto un incidente simile ha rischiato la pelle.

C'è voluto il sacrificio di un ragazzo che in vita sua forse ha avuto il solo esordio in serie a come evento fortunato di una vita viste tutte le tragedie familiari che lo hanno colpito.

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Manfredonia si salvò anche perchè Bologna, ai tempi, era l'unico campo d'Italia, e forse d'Europa che aveva il defibrillatore sul terreno di gioco oltre alla rapidità  dei soccorsi (non mi ricordo se il medico della Roma o quello dei padroni di casa dissero che il traferimento in ospedale fu rapidissimo grazie alla civiltà  dei Bolognesi che non parcheggiavano in doppia fila e l'ambulanza non ebbe ostacoli nel tragitto).

 

Incidenti analoghi a quello di Pioli sono capitati tante volte con giocatori che dopo aver preso un colpo accidentale in testa hanno perso conoscenza: mi ricordo Ruotolo in un Genoa-Ascoli di serie B e Casiraghi in una finale di Coppa Italia Milan-Juventus. I casi più estremi e rischiosi sono stati Antognoni in un Fiorentina-Genoa e Battiston nella semifinale del mondiale '82 (in quest'ultimo caso non fu colpito in testa ma riportò la frattura di alcune costole e rischiò la paralisi).

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L'intervista a Ferruccio Mazzola de "L'Espresso" nel 2005:

 

Pasticca nerazzurra

di Alessandro Gilioli

Pillole nel caffè. Che Herrera dava ai giocatori. Molti dei quali sono morti. Un ex racconta il doping della Grande Inter. E chiama in aula tutti i campioni di allora colloquio con Ferruccio Mazzola

 
Sono campioni che hanno fatto la storia del calcio italiano quelli che passeranno, uno dopo l'altro, in un'aula del tribunale di Roma a parlare di doping. Come Giacinto Facchetti, splendido terzino sinistro e oggi presidente dell'Inter; o come Sandro Mazzola, Mariolino Corso, Luis Suarez. E ancora: Tarcisio Burnich, Gianfranco Bedin, Angelo Domenghini, Aristide Guarneri. Tutti chiamati a testimoniare da un loro compagno di squadra di allora, Ferruccio Mazzola, fratello minore di Sandro, che vuole sentire dalla loro voce - e sotto giuramento - la verità  su quella Grande Inter che negli anni '60 vinse in Italia e nel mondo. "Non l'ho cercato io, questo processo: mi ci hanno tirato dentro. Ma adesso deve venire fuori tutto", dice Ferruccio.

A che cosa si riferisce, Mazzola? 

"Sono stato in quell'Inter anch'io, anche se ho giocato poco come titolare. Ho vissuto in prima persona le pratiche a cui erano sottoposti i calciatori. Ho visto l'allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve (io ero spesso tra quelle) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno 'il caffè' di Herrera divenne una prassi all'Inter".

Cosa c'era in quelle pasticche?

"Con certezza non lo so, ma credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Oggi tutti negano, incredibilmente. Perfino Sandro...".

Suo fratello? 

"Sì. Sandro e io, da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Io invece credo che sia giusto dirle queste cose, anche per i miei compagni di allora che si sono ammalati e magari ci hanno lasciato la pelle. Tanti, troppi...".

A chi si riferisce?

"Il primo è stato Armando Picchi, il capitano di quella squadra, morto a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale. Poi è stato il turno di Marcello Giusti, che giocava nelle riserve, ucciso da un cancro al cervello alla fine degli anni '90. Carlo Tagnin, uno che le pasticche non le rifiutava mai perché non era un fuoriclasse e voleva allungarsi la carriera correndo come un ragazzino, è morto di osteosarcoma nel 2000. Mauro Bicicli se n'è andato nel 2001 per un tumore al fegato. Ferdinando Miniussi, il portiere di riserva, è morto nel 2002 per una cirrosi epatica evoluta da epatite C. Enea Masiero, all'Inter tra il '55 e il '64, sta facendo la chemioterapia. Pino Longoni, che è passato per le giovanili dell'Inter prima di andare alla Fiorentina, ha una vasculopatia ed è su una sedia a rotelle, senza speranze di guarigione...".

A parte Picchi e forse Tagnin, gli altri sono nomi meno noti rispetto ai grandi campioni.

"Perché le riserve ne prendevano di più, di quelle pasticchette bianche. Gliel'ho detto, noi panchinari facevamo da cavie. Ne ho parlato per la prima volta qualche mese fa nella mia autobiografia ('Il terzo incomodo', scritto con Fabrizio Cà lzia, Bradipolibri 2004, ndr), che ha portato al processo di Roma".

Perché?

"Perché dopo la pubblicazione di quel libro mi è arrivata la querela per diffamazione firmata da Facchetti, nella sua qualità  di presidente dell'Inter. Vogliono andare davanti al giudice? Benissimo: il 19 novembre ci sarà  la seconda udienza e chiederemo che tutti i giocatori della squadra di allora, intendo dire quelli che sono ancora vivi, vengano in tribunale a testimoniare. Voglio vedere se sotto giuramento avranno il coraggio di non dire la verità ".

Ma lei di Facchetti non era amico?

"Sì, ma lasciamo perdere Facchetti, non voglio dire niente su di lui. Sarebbero cose troppo pesanti".

Pensa che dal dibattimento uscirà  un'immagine diversa dell'Inter vincente di quegli anni?

"Non lo so, non mi interessa. Se avessi voluto davvero fare del male all'Inter, in quel libro avrei scritto anche tante altre cose. Avrei parlato delle partite truccate e degli arbitri comprati, specie nelle coppe. Invece ho lasciato perdere...". 

Ma era solo nell'Inter che ci si dopava in quegli anni?

"Certo che no. Io sono stato anche nella Fiorentina e nella Lazio, quindi posso parlare direttamente anche di quelle esperienze. A Firenze, il sabato mattina, passavano o il massaggiatore o il medico sociale e ci facevano fare delle flebo, le stesse di cui parlava Bruno Beatrice a sua moglie. Io ero in camera con Giancarlo De Sisti e le prendevamo insieme. Non che fossero obbligatorie, ma chi non le prendeva poi difficilmente giocava. Di quella squadra, ormai si sa, oltre a Bruno Beatrice sono morti Ugo Ferrante (arresto cardiaco nel 2003) e Nello Saltutti (carcinoma nel 2004). Altri hanno avuto malattie gravissime, come Mimmo Caso, Massimo Mattolini, lo stesso De Sisti...".

De Sisti smentisce di essersi dopato.

"'Picchio' in televisione dice una cosa, quando siamo fuori insieme a fumare una sigaretta ne dice un'altra...". 

E alla Lazio?

"Lì ci davano il Villescon, un farmaco che non faceva sentire la fatica. Arrivava direttamente dalla farmacia. Roba che ti faceva andare come un treno".

Altre squadre?

"Quando Herrera passò alla Roma, portò gli stessi metodi che aveva usato all'Inter. Di che cosa pensa che sia morto il centravanti giallorosso Giuliano Taccola, a 26 anni, durante una trasferta a Cagliari, nel '69?".

Ma secondo lei perché ancora adesso nessuno parlerebbe? Ormai sono - siete - tutti uomini di sessant'anni...

"Quelli che stanno ancora nel calcio non vogliono esporsi, hanno paura di rimanere tagliati fuori dal giro. Sono tutti legati a un sistema, non vogliono perdere i loro privilegi, andare in tv, e così via. Prenda mio fratello: è stato trattato malissimo dall'Inter, l'hanno cacciato via in una maniera orrenda e gli hanno perfino tolto la tessera onoraria per entrare a San Siro, ma lui ha lo stesso paura di inimicarsi i dirigenti nerazzurri e ne parla sempre benissimo in tv. Mariolino Corso, uno che pure ha avuto gravi problemi cardiaci proprio per quelle pasticchette, va in giro a dire che non mi conosce nemmeno. Anche Angelillo, che è stato malissimo al cuore, non vuole dire niente: sa, lui lavora ancora come osservatore per l'Inter. A parlare di quegli anni sono solo i parenti di chi se n'è andato, come Gabriella Beatrice o Alessio Saltutti, il figlio di Nello. àˆ con loro che, grazie all'avvocato della signora Beatrice, Odo Lombardo, ora sta nascendo un'associazione di vittime del doping nel calcio".

Certo, se un grande campione come suo fratello fosse dalla vostra parte, la vostra battaglia avrebbe un testimonial straordinario...

"Per dirla chiaramente, Sandro non ha le palle per fare una cosa così". 

E oggi secondo lei il doping c'è ancora?

"Sì, soprattutto nei campionati dilettanti, dove non esistono controlli: lì si bombano come bestie. Quello che più mi fa male però sono i ragazzini...".

I ragazzini?

"Ormai iniziano a dare pillole e beveroni a partire dai 14-15 anni. Io lavoro con la squadra della Borghesiana, a Roma, dove gioca anche mio figlio Michele, e dico sempre ai ragazzi di stare attenti anche al tè caldo, se non sanno cosa c'è dentro. Ho fatto anche una deposizione per il tribunale dei minori di Milano: stanno arrivando decine di denunce di padri e madri i cui figli prendono roba strana, magari corrono come dei matti in campo e poi si addormentano sul banco il giorno dopo, a scuola. Ecco, è per loro che io sto tirando fuori tutto".
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ricordo Manfredonia, era inverno, un freddo tremendo e noi eravamo in trasferta, infatti ero a casa a sentire le partite in salotto con la radio, Ciotti tenne la linea senza mai cerderla allo studio....

Verissimo era il 31 dicembre o giù di li...ricordo che era il periodo di capodanno e i servizi per il tg dal Maggiore di Bologna di Roberto Scardova

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Non vorrei dire una cavolata ma suppongo che furono potenziati i mezzi di soccorso in quel di Bologna dopo la morte del giornalista di 90° minuto Pasini proprio al Dall'Ara nei primi anni '80 proprio di arresto cardiaco...è una supposizione che magari può avere anche un senso logico ricollegandolo alla vicenda Manfredonia.

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L'intervista a Ferruccio Mazzola de "L'Espresso" nel 2005:

 

Pasticca nerazzurra

di Alessandro Gilioli

Pillole nel caffè. Che Herrera dava ai giocatori. Molti dei quali sono morti. Un ex racconta il doping della Grande Inter. E chiama in aula tutti i campioni di allora colloquio con Ferruccio Mazzola

 
Sono campioni che hanno fatto la storia del calcio italiano quelli che passeranno, uno dopo l'altro, in un'aula del tribunale di Roma a parlare di doping. Come Giacinto Facchetti, splendido terzino sinistro e oggi presidente dell'Inter; o come Sandro Mazzola, Mariolino Corso, Luis Suarez. E ancora: Tarcisio Burnich, Gianfranco Bedin, Angelo Domenghini, Aristide Guarneri. Tutti chiamati a testimoniare da un loro compagno di squadra di allora, Ferruccio Mazzola, fratello minore di Sandro, che vuole sentire dalla loro voce - e sotto giuramento - la verità  su quella Grande Inter che negli anni '60 vinse in Italia e nel mondo. "Non l'ho cercato io, questo processo: mi ci hanno tirato dentro. Ma adesso deve venire fuori tutto", dice Ferruccio.

A che cosa si riferisce, Mazzola? 

"Sono stato in quell'Inter anch'io, anche se ho giocato poco come titolare. Ho vissuto in prima persona le pratiche a cui erano sottoposti i calciatori. Ho visto l'allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve (io ero spesso tra quelle) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno 'il caffè' di Herrera divenne una prassi all'Inter".

Cosa c'era in quelle pasticche?

"Con certezza non lo so, ma credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Oggi tutti negano, incredibilmente. Perfino Sandro...".

Suo fratello? 

"Sì. Sandro e io, da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Io invece credo che sia giusto dirle queste cose, anche per i miei compagni di allora che si sono ammalati e magari ci hanno lasciato la pelle. Tanti, troppi...".

A chi si riferisce?

"Il primo è stato Armando Picchi, il capitano di quella squadra, morto a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale. Poi è stato il turno di Marcello Giusti, che giocava nelle riserve, ucciso da un cancro al cervello alla fine degli anni '90. Carlo Tagnin, uno che le pasticche non le rifiutava mai perché non era un fuoriclasse e voleva allungarsi la carriera correndo come un ragazzino, è morto di osteosarcoma nel 2000. Mauro Bicicli se n'è andato nel 2001 per un tumore al fegato. Ferdinando Miniussi, il portiere di riserva, è morto nel 2002 per una cirrosi epatica evoluta da epatite C. Enea Masiero, all'Inter tra il '55 e il '64, sta facendo la chemioterapia. Pino Longoni, che è passato per le giovanili dell'Inter prima di andare alla Fiorentina, ha una vasculopatia ed è su una sedia a rotelle, senza speranze di guarigione...".

A parte Picchi e forse Tagnin, gli altri sono nomi meno noti rispetto ai grandi campioni.

"Perché le riserve ne prendevano di più, di quelle pasticchette bianche. Gliel'ho detto, noi panchinari facevamo da cavie. Ne ho parlato per la prima volta qualche mese fa nella mia autobiografia ('Il terzo incomodo', scritto con Fabrizio Cà lzia, Bradipolibri 2004, ndr), che ha portato al processo di Roma".

Perché?

"Perché dopo la pubblicazione di quel libro mi è arrivata la querela per diffamazione firmata da Facchetti, nella sua qualità  di presidente dell'Inter. Vogliono andare davanti al giudice? Benissimo: il 19 novembre ci sarà  la seconda udienza e chiederemo che tutti i giocatori della squadra di allora, intendo dire quelli che sono ancora vivi, vengano in tribunale a testimoniare. Voglio vedere se sotto giuramento avranno il coraggio di non dire la verità ".

Ma lei di Facchetti non era amico?

"Sì, ma lasciamo perdere Facchetti, non voglio dire niente su di lui. Sarebbero cose troppo pesanti".

Pensa che dal dibattimento uscirà  un'immagine diversa dell'Inter vincente di quegli anni?

"Non lo so, non mi interessa. Se avessi voluto davvero fare del male all'Inter, in quel libro avrei scritto anche tante altre cose. Avrei parlato delle partite truccate e degli arbitri comprati, specie nelle coppe. Invece ho lasciato perdere...". 

Ma era solo nell'Inter che ci si dopava in quegli anni?

"Certo che no. Io sono stato anche nella Fiorentina e nella Lazio, quindi posso parlare direttamente anche di quelle esperienze. A Firenze, il sabato mattina, passavano o il massaggiatore o il medico sociale e ci facevano fare delle flebo, le stesse di cui parlava Bruno Beatrice a sua moglie. Io ero in camera con Giancarlo De Sisti e le prendevamo insieme. Non che fossero obbligatorie, ma chi non le prendeva poi difficilmente giocava. Di quella squadra, ormai si sa, oltre a Bruno Beatrice sono morti Ugo Ferrante (arresto cardiaco nel 2003) e Nello Saltutti (carcinoma nel 2004). Altri hanno avuto malattie gravissime, come Mimmo Caso, Massimo Mattolini, lo stesso De Sisti...".

De Sisti smentisce di essersi dopato.

"'Picchio' in televisione dice una cosa, quando siamo fuori insieme a fumare una sigaretta ne dice un'altra...". 

E alla Lazio?

"Lì ci davano il Villescon, un farmaco che non faceva sentire la fatica. Arrivava direttamente dalla farmacia. Roba che ti faceva andare come un treno".

Altre squadre?

"Quando Herrera passò alla Roma, portò gli stessi metodi che aveva usato all'Inter. Di che cosa pensa che sia morto il centravanti giallorosso Giuliano Taccola, a 26 anni, durante una trasferta a Cagliari, nel '69?".

Ma secondo lei perché ancora adesso nessuno parlerebbe? Ormai sono - siete - tutti uomini di sessant'anni...

"Quelli che stanno ancora nel calcio non vogliono esporsi, hanno paura di rimanere tagliati fuori dal giro. Sono tutti legati a un sistema, non vogliono perdere i loro privilegi, andare in tv, e così via. Prenda mio fratello: è stato trattato malissimo dall'Inter, l'hanno cacciato via in una maniera orrenda e gli hanno perfino tolto la tessera onoraria per entrare a San Siro, ma lui ha lo stesso paura di inimicarsi i dirigenti nerazzurri e ne parla sempre benissimo in tv. Mariolino Corso, uno che pure ha avuto gravi problemi cardiaci proprio per quelle pasticchette, va in giro a dire che non mi conosce nemmeno. Anche Angelillo, che è stato malissimo al cuore, non vuole dire niente: sa, lui lavora ancora come osservatore per l'Inter. A parlare di quegli anni sono solo i parenti di chi se n'è andato, come Gabriella Beatrice o Alessio Saltutti, il figlio di Nello. àˆ con loro che, grazie all'avvocato della signora Beatrice, Odo Lombardo, ora sta nascendo un'associazione di vittime del doping nel calcio".

Certo, se un grande campione come suo fratello fosse dalla vostra parte, la vostra battaglia avrebbe un testimonial straordinario...

"Per dirla chiaramente, Sandro non ha le palle per fare una cosa così". 

E oggi secondo lei il doping c'è ancora?

"Sì, soprattutto nei campionati dilettanti, dove non esistono controlli: lì si bombano come bestie. Quello che più mi fa male però sono i ragazzini...".

I ragazzini?

"Ormai iniziano a dare pillole e beveroni a partire dai 14-15 anni. Io lavoro con la squadra della Borghesiana, a Roma, dove gioca anche mio figlio Michele, e dico sempre ai ragazzi di stare attenti anche al tè caldo, se non sanno cosa c'è dentro. Ho fatto anche una deposizione per il tribunale dei minori di Milano: stanno arrivando decine di denunce di padri e madri i cui figli prendono roba strana, magari corrono come dei matti in campo e poi si addormentano sul banco il giorno dopo, a scuola. Ecco, è per loro che io sto tirando fuori tutto".

 

 

Mi ricordavo di questa intervista: oramai sono passati parecchi anni e i fatti sono noti. Ma c'è ancora un muro di gomma piuttosto spesso.

 

 

Non vorrei dire una cavolata ma suppongo che furono potenziati i mezzi di soccorso in quel di Bologna dopo la morte del giornalista di 90° minuto Pasini proprio al Dall'Ara nei primi anni '80 proprio di arresto cardiaco...è una supposizione che magari può avere anche un senso logico ricollegandolo alla vicenda Manfredonia.

 

Probabile. Quando morì Pasini ero ancora piccolo e non sapevo cosa fossa il calcio. Intanto sul caso di  Manferdonia ho trovato questo:

 

 

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