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Gian Luca 60

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Se si legge il libro si capisce abbastanza della sua personalità. Lo stessa struttura del libro, sebbene gli eventi siano presentati secondo un ordine cronologico, è impostato, e me ne sono reso conto leggendo la seconda parte, per dare al lettore l'idea che esista un Marco pre-1996 e uno post-1996, con la costante di un carattere, di fondo, debole ed è lui a riconoscerlo apertamente con una fine capacità di autoanalisi, parlando continuamente di un ego "forte e sviluppato, annidato nel cervello", "vuoi capire tutto perché hai paura che le cose ti sfuggano. Non capire vuol dire non avere il controllo. E questo, a sua volta, è paura dell'ignoto, paura delle delusioni". È una debolezza abilmente nascosta dalla spavalderia da giovane, arma per emergere professionalmente, strumento di compensazione dei vuoti e degli eventi luttuosi che ha dovuto elaborare fin da bambino, compresi l'annegamento di un amichetto e la progressiva disgregazione della famiglia di cui si sente responsabile "Ho pensato di aver fatto tutto questo da solo, di non dovere ringraziare niente e nessuno per tutto ciò che ho conquistato. La conseguenza è la superbia, e si finisce per precipitare dall'alto". Lo stesso stile linguistico si fa meno impetuoso e più riflessivo, più maturo. È una persona continuamente attanagliata da paure e da ripensamenti, da un continuo senso di impotenza, ansia e depressione che riemergono nelle occasioni professionali avute dopo il recupero della "serenità", riacquisita con l'intervento risolutivo alla gamba. Sicuramente è un libro che consiglio, perché di Van Basten è stato sempre difficile farsi un'idea compiuta. A guardarlo dall'esterno io l'ho sempre visto come una persona schiva, dotato di una sicurezza incrollabile, ("come un panzer abbattevo tutto al mio passaggio" dice di sé e non parla di campi di calcio).

Quanto all'argomento calcio, lui chiude con questo ragionamento (è di più ampio respiro, però riporto alcuni concetti fondamentali):

"La domanda che in questi giorni, mentre sono alle prese con questo libro, si affaccia costantemente nella mia mente è se alla fine ho raggiunto un equilibrio. Se il prezzo che ho pagato compensa ciò che ho ricevuto. Se ne è valsa la pena. La posta in gioco era alta. Il sacrificio, la mia caviglia, è stato grande. Alla fine tutto si è compensato? La domanda è interessante. E allo stesso tempo non lo è, perché ho forse avuto scelta? È andata com'è andata, e se avessi lasciato perdere tutto, se non fossi diventato calciatore, senza alti e bassi, come sarebbe stata la mia vita? Ma se ci rifletto, in tutte le professioni che riesco a immaginare non avrei mai conosciuto la gioia che ho provato nella mia vita di calciatore. Forse sembrerà strano con tutti i guai che ho passato con la mia caviglia, ma sono certo che in fin dei conti ho preso una buona decisione. Ne è valsa la pena. Ho alternato tanti anni belli e intensi con brevi periodi neri. Lo trovo accettabile, col senno di poi. Un buon equilibrio."

Poi si chiede ancora se abbia fatto bene a giocare senza fermarsi e dice: "Ho sperimentato a mie spese che il bisturi e pericolosissimo e, col senno di poi, avrei dovuto limitare gli interventi al minimo. [...] Avrei dovuto fare diversamente. Sembrerà presuntuoso, ma avrei dovuto essere ancora più testardo. Pur essendolo già parecchio. È un peccato che non lo sia stato. Tuttavia non me ne pento, perché ho agito con piena consapevolezza. Ma, a posteriori, posso affermare che è un peccato che dal primo giorno non abbia detto: «Finché ho male, non gioco» [...] Ma so che rifarei tutto allo stesso modo. Con il mio carattere, per la persona che sono, ci sono buone possibilità che commetterei di nuovo gli stessi errori."

Quando dice 'ho preso una buona decisione' molto probabilmente si riferisce alla sua ferra volontà di continuare a giocare nella seconda metà della stagione 1986/1987 anche se con un impiego ridotto, per via di un patto, un compromesso fatto con Cruijff, allora allenatore, sulla graticola, dell'Ajax. Dopo l'operazione del novembre 1987, il luminare a cui si era rivolto all'epoca (uno dei due che hanno "giocato a fare Dio") gli dice chiaramente che sarebbe potuto tornare ad alti livelli, ma "per quanto (tempo) non è dato sapere".

Quanto ai ripensamenti che continuamente ha, è abbastanza indicativo questo passaggio. La premessa è che fin da bambino ha avuto la naturale inclinazione e anche l'accortezza di mettere per iscritto annotazioni inerenti al suo percorso, alla sua carriera. Scrive questo in data 8 aprile 1995:

"Oggi, mentre ero steso sul lettino, il fisioterapista mi ha domandato: «Se adesso, qualcuno ti prendesse la caviglia e con una magia te la guarisse, pensi che questa situazione ti abbia insegnato qualcosa?» «Sì» risposi senza esitare. Ma mentre lo dicevo, qualcosa dentro di me mi ha suggerito di scriverlo ...

Ovviamente si riferisce alla potenza che il trascorrere del tempo ha di farci dimenticare il senso del vivido dolore fisico e nel suo caso, anche psicologico. Ieri ho scritto dell'episodio del prologo. Negli anni in cui era 'scomparso' dalla scene, agonistiche e non, un po' tutti ci chiedevamo cosa stesse facendo. E lui ce lo descrive, rivivendo la notte in cui prese la decisione di ritirarsi dal calcio giocato (credo che sia la rielaborazione di appunti presi a loro tempo, vista la dovizia di particolari). Il libro inizia così:

"È buio, Cammino carponi sulle mattonelle. Sulle mani e sulle ginocchia. Devo pisciare. Sto per scoppiare. Ma se cerco di fare troppo in fretta la mia vescica piena mi preme sulla coscia, e la trattengo a malapena. Riempire di piscia il corridoio è l'ultima cosa che voglio. Devo mantenere la calma, perché ci vogliono almeno due minuti per arrivare in bagno. Ormai lo so. Per distogliere la mia attenzione dal dolore conto sempre i secondi durante l'intero tragitto. Tra me e me. Non arrivo mai in bagno prima dei centoventi. Le soglie delle stanze sono le più faticose, perché la mia caviglia deve passarci sopra senza sbatterci contro. Al minimo contatto devo mordermi le labbra per impedirmi di gridare.

In piena notte gli antidolorifici praticamente hanno finito di fare effetto, ma non intendo svegliare nessuno. Non devono sentirmi, non voglio che qualcuno mi veda così. Nemmeno i miei cari. Anzi, loro per primi. Negli ultimi due mesi, per fortuna, è andata sempre bene, anche se penso che Liesbeth (la moglie ndr) qualche volta faccia finta di dormire per evitarmi l'imbarazzo. Non si può spiegare. Persino con gli antidolorifici le fitte di dolore mi squassano. Non riesco a pensare ad altro. Da due settimane mi dà anche fastidio lo stomaco, a causa di tutte le pillole che ho preso.

A ogni passo ho un male tremendo, sin da quando quello stupido apparecchio (parla del tremendo e raccapricciante apparecchio Ilizarov, portato dal giugno 1994 e di cui inserisce anche una fotografia alla fine: gli ha causò infezioni, continua febbre a 40° e dolori atroci, una ventina di aghi, attraversanti ossa e carne, retti da montanti ai lati del polpaccio ndr) mi è stato tolto dalla caviglia, otto mesi fa. In ogni caso non sarebbe peggiorato, aveva promesso il medico. Ero un calciatore professionista che non poteva più giocare a calcio, e adesso sono un uomo comune che non può più camminare. Zoppico. Sono uno storpio, ecco cosa sono.

Somigliano alle rocce appuntite nelle grotte. Stalattiti e stalagmiti. Ossa appuntite che mi trafiggono la gamba da sotto e da sopra, senza protezione, senza cartilagine. Non appena mi appoggio sul piede, quelle punte mi si conficcano nella carne. Starci sopra è un vero inferno. Persino con gli antidolorifici. Camminare carponi fino al bagno di notte è quindi l'unica opzione. Quando arrivo sulla soglia di una stanza faccio entare prima il ginocchio sinistro, e giro sul mio asse con tutto il corpo. Solo allora sollevo con cautela la mia gamba destra al di là della soglia. Così di solito funziona, ma adesso scivolo su un asciugamo lasciato lì e tocco col piede destro il montante. Il dolore mi penetra fin nel midollo. Dato che non voglio gridare, gemo. Comincio immediatamente a sudare.

Mi lascio cadere sul fianco, per potermi distendere un po'. Per aspettare che il peggio passi. Inspiro profondamente e cerco di espirare molto lentamente. Una volta. E un'altra volta ancora. Cerco di distogliare i miei pensieri dalle fitte alla caviglia. Qualche volta ci riesco pensando a Dio. Sono anche arrabbiato con lui. Furioso. Che senso ha tutto questo? Perché mi tocca questa merda? È una lezione di umiltà? Ero diventato troppo arrogante?

Il dolore mi ha fatto dimenticare che ho la vescica piena. Devo essere veloce, adesso, altrimenti sarà stato tutto inutile. Penso ai bambini che la mattina si vengono a lavare i denti. Già fanno una vitaccia con quel padre scontroso che passa tutto il giorno buttato sul divano.

Mi alzo a forza di spinte, percorro l'ultimo metro e mezzo su mani e piedi e riesco a issarmi sulla tazza. Svuotare la vescica è un sollievo. Non tiro lo sciacquone, non voglio svegliare nessuno, e comincio il viaggio di ritorno in direzione del mio letto.

Sono arrabbiato anche con me stesso. Ho creduto alla parola di un medico che mi ha detto che in ogni caso non potevo peggiorare. Se anche non dovesse funzionare, non può fare male. Be', altroché se fa male. Fa un male cane già da otto mesi. E la domanda è: per quanto tempo ancora? Il Milan continua a invitarmi ad assistere alle partite, ma non ci penso proprio a presentarmi con le stampelle. Una punta zoppa. Preferisco rintanarmi a casa mia. Come un animale ferito. Lasciatemi qui, al buio.

Sono stato dappertutto: medici, fisioterapisti, agopuntori e pranoterapeuti, chi più ne ha più ne metta. Ma nessuno ha saputo alleviare il dolore. Tutti volevano aiutarmi, con tanta buona volontà. Tranne due chirurghi, che si ritenevano un po' troppo importanti. Volevano giocare a fare Dio.

Ma non me ne frega più un cazzo. Non è servito a niente. È molto peggio di prima.

Due anni fa ero un calciatore professionista. Anzi, di più, il migliore del mondo. E adesso cammino carponi sulle mattonelle con un male tremendo e il fegato a pezzi a causa delle medicine.

Ci sono quasi. Di ritorno al mio letto. Una volta che mi ci sono issato, spero di dormire un po'. Se tutto va bene. Qualche volta, infatti, rimango sveglio per un bel pezzo. E comunque, che cambia? Tanto domani non devo fare niente se non starmene tutto il giorno sul divano. Con una caviglia malconcia."

 

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  • 2 weeks later...

Su Youtube hanno caricato integralmente Italia-Norvegia, partita valevole per le qualificazioni a Euro 1992, con commento di Pizzul e Agroppi (RaiDue). Tra le varie curiosità  la prima ufficiale da commissario tecnico di Sacchi, il debutto di Zola, in gran forma, in Nazionale –,  spunta questa che ha attinenza indiretta con la partita in esame, visto che ha per protagoniste due nazionali dello stesso girone. Si tratta della gara Cipro-URSS, giocata in contemporanea, l'ultima partita ufficiale della nazionale sovietica. Ad un certo momento, nel corso del primo tempo, dopo un'azione fallosa di Maldini ed Eranio su un avversario, è mandata in onda l'azione del primo gol dell'Unione Sovietica.

Se guardate questi fotogrammi, presi dopo la segnatura di Protasov, a bordo campo compaiono cartelloni relativi a prodotti italiani. Lo stadio di Larnaca ne è pieno. Ho notato che gli stadi ciprioti, di solito, si riempivano di cartelloni pubblicizzanti i prodotti venduti negli stati della nazionale di volta in volta ospitata, e allora ho pensato che la faccenda si potesse spiegare per via della partita di andata Cipro-Italia del 1990, cioè che i cartelloni fossero rimasti immutati. Tuttavia, quest'ultimo incontro fu giocato a Limassol, a sud (per di più la disposizione degli sponsor varia leggermente e alcuni mancano del tutto). Che voi sappiate, esiste un qualche particolare aneddoto al riguardo?

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  • 4 weeks later...
  • 1 month later...

Yousuf Al-Thunayan (anche Youssef al-Thuniyan), saudita, tutta la carriera spesa, sfortunatamente, nell'Al-Hilal. Quanto al calcio internazionale, prese parte ai Mondiali del '98 segnando un gol su rigore, al di là di varie edizioni della Coppa d'Asia (l'Arabia Saudita esercitava un ruolo egemonico in quella competizione tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta), alcune edizioni della Coppa del Golfo e quella delle Nazioni Arabe, oltre al torneo amichevole a inviti del 1992, trasformatosi retroattivamente nella 'Confederations Cup 1992'.

 

Modificato da Elio11
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  • 5 months later...
  • 2 years later...
  • 3 weeks later...

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