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sundance76

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  1. Dall'85 al '94 AS faceva uscire fascicoli su ogni GP e a fine anno una copertina rigida per rilegarli. Nel '95 uscì un autonomo fascicolo già completo, ma con copertina morbida. 

    Io iniziai nel '90-'91, ora sto cercando a ritroso di completarli.

    Ho appena ricevuto i volumi '86 e '87.

    Ora mi mancano l'85 (anche se in realtà ho tutti i fascicoli, ma senza la copertina rigida per rilegarli) e l'88.

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  2. "Il rally della Costa d'Avorio è come battere la testa contro un muro: quando si smette ci si sente così bene..."

    (Arne Hertz, navigatore di Hannu Mikkola, dopo essere arrivati 2° assoluti al Costa d'Avorio 1984 con l'Audi, dietro ai compagni di squadra Blomqvist-Cederberg, neo-campioni del mondo)

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  3. Nel 1938 entrava in vigore la nuova Formula: dopo quattro anni caratterizzati dalla Formula del peso (750 kg di peso massimo, esclusi liquidi e pneumatici, cilindrata libera), che avevano generato vetture dalle prestazioni reputate eccessive (la Mercedes W 125 del '37 sfiorava i 700 CV), ecco la regolamentazione basata sui motori.

    Per il triennio 1938-1940 si poteva scegliere tra motori 3000 sovralimentati, oppure 4500 aspirati.

    La Mercedes rispose con la W 154, dotata di un 12 cilindri a V di 60° di 3000 cc sovralimentato con due compressori Roots, che partì con 425 cv per raggiungere a fine stagione i 474.

    La prima versione, inedita in gara, è quella che vedete in foto, dotata di una calandra stretta.

     

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  4. Alcune foto dell'attuale presidente Aci-Csai, Angelo Sticchi Damiani, in gara al rally di Campania.

    Le didascalie indicano l'edizione '77 per le due foto in auto, e '76 per l'immagine con Giacomo Scudieri fuori dall'abitacolo, ma non sono sicuro che siano corrette.

    Le classifiche lo danno come 14° assoluto e 4° di Gruppo nel '77, ma non so se quella sospensione distrutta che si vede in foto abbia potuto consentirgli il risultato, e allora mi domando se le due immagini in corsa si riferiscano ad altro anno. Ma non trovo notizie...

     

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    sticchi damiani e giacomo scudieri rally campania 1976.jpg

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  5. Il punteggio 2009 è uguale a quello odierno (tranne pochissimi decimi percentuali nella differenza tra primo e secondo), mentre col vecchio 10-6-4 si vede come la prevalenza di Verstappen sarebbe meglio riconosciuta dalle cifre.

  6. Nell'estate 1990 AutoSprint pubblicò una serie di cinque fascicoli dedicati agli anni '60, ognuno dedicato a una diversa disciplina: F1, rally, sport-prototipi, cronoscalate, e infine alle altre corse (F2, Turismo, ecc.).

    Eccovi quello dedicato ai rally. E' molto interessante perché proprio negli anni '60 i rally si staccano definitivamente dalle altre discipline e acquistano la loro autonoma fisionomia.

     

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  7. DIARIO LATINO AMERICANO

    Può accadere, nei rally dell’America Latina, di ricevere in premio un toro. Mi capitò una quindicina di anni fa, durante una corsa che si disputava nella Amazzonia peruviana, la “Marginal de la Selva”: una lunga prova speciale sterrata di 3500 chilometri tra piantagioni di coca, con partenza e arrivo a Lima. Avevo a disposizione una Renault 12 Alpine, nel bagagliaio erano stipati i ricambi e sul tetto trovavano posto le gomme di scorta, rigorosamente di serie. Al traguardo di ogni tappa era previsto un premio in natura per il vincitore. A San Ignacio, un insediamento che rappresentava la linea di metà gara, arrivai davanti a tutti e vinsi un toro. Immediatamente, senza neppure togliermi la tuta, improvvisai un’asta nella piazzetta del villaggio. Riuscii a vendere l’animale all’unico macellaio della zona, intascai i soldi e ripresi la gara ripercorrendo al contrario lo stesso itinerario.

    Un’altra volta, durante il “Gran Premio di Bolivia”, ci fermammo a pernottare in un luogo in cui non c’era nulla, né luce né acqua; dormimmo in tende allestite dai militari. Era il villaggio in cui, qualche tempo prima, era stato ucciso Ernesto Che Guevara.

    I rally dell’America latina, e dell’Argentina in particolare, hanno un fascino irresistibile. Noi le corse le intendiamo in questa maniera, lunghe, impegnative, massacranti; stare al volante parecchie ore non ci affatica. Per molti anni siamo stati esclusi dall’automobilismo internazionale, dal resto del mondo. Dunque abbiamo dovuto inventarci una maniera di correre tutta nostra, molto lontana da quel superprofessionismo a ogni livello che caratterizza il rallismo europeo. Eppure, anche noi siamo lavoratori del volante.

    Il “Gran Premio de la Hermandad”, letteralmente della Fratellanza, si corre da Rio Grande, nella Terra del Fuoco, quindi Argentina, a Puerto Porvenir (Avvenire) in Cile, e ritorno. In totale fanno 8mila chilometri, sotto la pioggia e su strade dove al fango si alterna il ghiaccio perché il rally si disputa in agosto, che a questa latitudine vuol dire inverno. Il Gran Premio de la Hermandad l’ho vinto 5 volte consecutive, dall’81 all’85, con una Renault 18 di fabbricazione argentina. È una competizione molto spettacolare. Il giorno della partenza a Rio Grande è festa solenne. Per la gente di questo posto dimenticato da Dio e dagli uomini è l’occasione per riprendere i contatti col mondo. Il valico di frontiera tra Argentina e Cile è lasciato aperto al passaggio degli equipaggi, quindi non si fa dogana. Fino a qualche anno fa, quando in Argentina l’inflazione era alle stelle, capitava di vedere qualche vettura da corsa rientrare dal Cile più bassa rispetto alla tappa inversa. Nei bagagliai c’erano impianti stereo, videoregistratori e altro materiale hi-fi acquistati a prezzi vantaggiosi. Dunque, molto rally e un po’ “duty free”.

    I piloti argentini, e in genere tutti i latino americani, hanno imparato ad arrangiarsi e a improvvisare. Nessuno prova molto, le ricognizioni sono limitate all’indispensabile e fino a metà degli anni ’80 non si utilizzavano le note. Pur di correre, siamo disposti a qualsiasi sacrificio. Anche di affrontare un viaggio di migliaia di chilometri con la stessa vettura con cui poi disputeremo la gara.

    Ne rammento una in particolare, perché è legata a un successo importante, il rally “Camino del Incas” (Sentiero degli Incas), in Perù nel 1980. Aveva lasciato Cordoba con la Renault 12 da corsa, il meccanico che fungeva anche da coequipier, le solite gomme di scorta caricate sul tetto e i ricambi nel bagagliaio. Guidando ininterrottamente giorno e notte per 3500 chilometri raggiunsi Lima in 36 ore. Finalmente potevo riposare un po’; mi ero quasi dimenticato che cosa fosse un letto.

    Controllai la Renault, quindi partecipai alla corsa peruviana, una classica in America latina con i suoi 3mila chilometri di strade sterrate molto impegnative, vincendola. Dopo aver intascato i premi, mi sobbarcai altri 3500 chilometri per rientrare a Cordoba. Totale, 10mila chilometri con la vettura da gara. Non ho mai considerato questo avvenimento un’impresa straordinaria. Per noi argentini situazioni come quella appena descritta sono del tutto naturali, né ci arrendiamo di fronte alle difficoltà.

    Durante una “Transchaco”, una maratona di 2100 chilometri lungo i sentieri nelle umide foreste del Paraguay, completammo una tappa di 400 chilometri in 20 ore, dalle 6 della mattina alle 2 della mattina seguente: avanzavamo in un mare di fango utilizzando le catene da neve.

    In Argentina lo sport automobilistico si identifica con le vetture “col tetto”, dunque con le berline, e con le corse su strada, i rally e fino a qualche tempo fa anche con le competizioni del Turismo de Carretera, che erano una specie di Mille Miglia latino americana, un po’ rally un po’ gare di velocità in linea, lunghe anche 4mila chilometri. Le tappe coprivano la distanza da una città all’altra, le medie erano attorno ai 200 chilometri orari; sui rettifili che corrono lungo le praterie anche per una ventina di chilometri, le Turismo de Carretera raggiungevano i 250-260 km/h. Oggi le vetture di questa categoria gareggiano soltanto in autodromo o in circuiti semipermanenti.

    Così come Buenos Aires è il centro dell’attività in pista, la grande provincia di Cordoba lo è per i rally. L’ottanta per cento dei rallisti argentini è cordobese; io, Gabriel e Juan Raies, Pablo Peon e Jorge Bescham siamo tutti “cordobes”. Ci sono anche ottimi preparatori: una grande passione e l’arte di arrangiarsi li porta a compiere autentici miracoli con le Renault Gtx, le Fiat Regatta e le Volkswagen Gol, tutte di fabbricazione nazionale perché quelle di importazione non sono ammesse nel campionato argentino. Di giorno fanno i meccanici mentre la notte allestiscono le vetture da gara.

    In questa regione le corse su strada hanno una solida tradizione e un grande seguito. Ciò è dovuto soprattutto alla facilità con cui possono essere allestiti percorsi molto interessanti, essendo Cordoba una provincia con una grande varietà di strade sterrate dal fondo eccellente, in pianura e in montagna, e una collaudata macchina organizzativa. È per questo motivo che il rally di Argentina, tranne in qualche occasione, ha in Cordoba la sua sede naturale. Ed è anche l’unico rally di rilievo internazionale che si disputa nel continente americano. Per nessuna ragione al mondo un pilota argentino rinuncerebbe a partecipare alla “Carrera Mundial”.

    (JORGE RAUL RECALDE, Rallysprint n.3 - luglio 1994)

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  8. Lungo e corretto servizio di Pino Palumbo e Francesca Pasetti su Hannu pubblicato in "Auto d'Epoca" di aprile 2021. Viene anche dato ampio spazio alla sua militanza in Lancia nel '67-'68, chiamato da Cesare Fiorio.

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