Questo è un messaggio popolare Drizzt Inviata February 10, 2016 at 19:41 Questo è un messaggio popolare Share Inviata February 10, 2016 at 19:41 Rally Montecarlo 1985 Miki Biasion - Tiziano Siviero (Lancia 037 “Jolly Club”) seguono Henri Toivonen - Juha Piironen (Lancia 037 “Lancia Martini”) 5 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
leopnd Inviata January 24, 2017 at 10:37 Share Inviata January 24, 2017 at 10:37 Massimo Miki Biasion (Bassano del Grappa, 7 gennaio 1958) è un ex pilota di rally italiano, attualmente pilota di rally raid, due volte campione del mondo rally, nel 1988 e nel 1989. Il primo successo, 1974, Campione Italiano di sci a soli 16 anni. Poi la licenza da pilota, le prime gare di motocross e titolo di Campione del Triveneto e di vice Campione Cadetti conquistato due anni più tardi, splendido presagio di quello che sarà il suo futuro. Pochi mesi e il grande salto verso quella che, qualche anno più tardi, sarà la sua favola mondiale non tarda arrivare. Una favola a quattro ruote. A 19 anni la prima auto, una Opel Kadett GTE (Gruppo 1): il sogno di correre nei rallies, quelli che contano, diventa realtà. E’ il 1979: undici partenze e altrettanti arrivi al traguardo consegnano il primo titolo, quell’italiano esordienti che lo proietta sullo scenario dell’affascinante mondo delle corse. Nel 1980, con l’Opel Ascona SR arriva il titolo di Gruppo 2 conquistato nei rallies internazionali. Un successo tanto atteso che gli spalanca le porte del primo ingaggio ufficiale, quello dell’Opel che lo schiera nella sua squadra corse. Nel 1982 conquista il titolo di Campione Italiano di Gruppo 4 e quello di vice campione assoluto nei rallies internazionali alla guida di una Opel Ascona 400. Il grande salto di qualità arriva nel 1983 quando indossa i colori Totip: una grande stagione sportiva alla guida di una Lancia Rally (Gruppo B) con la quale partecipa al Campionato Europeo vincendo 11 gare su 13 e conquistando contemporaneamente il titolo italiano ed europeo. E’ il 1984, l’anno della sua prima avventura mondiale: 2° al Rally di Corsica e 6° assoluto nel campionato piloti. Nel 1985, le prime due vittorie assolute: una al Costa Brava, l’altra in Grecia. Poi quel secondo posto in Portogallo che lo proietta sulla vetta della specialità. Nel 1986, l’anno che segna il suo passaggio alla squadra ufficiale Martini: già in Argentina porta a casa una splendida vittoria, a fine stagione arriva il 5° posto nella classifica mondiale. Nel 1987 con la Lancia Delta 4WD (Gruppo A) le vittorie a Montecarlo, in Argentina e a Sanremo nel Campionato del Mondo fanno ben sperare ma perde il titolo assoluto per un soffio arrivando secondo nella classifica piloti. Nel 1988 5 vittorie tra cui il leggendario Safari Rally in Kenya su una Lancia Delta Integrale. Primo e unico pilota italiano nella storia a conquistare il Campionato del Mondo. Nel 1989 raddoppia il titolo: altre 5 vittorie, a Montecarlo, in Portogallo, in Grecia, a Sanremo e di nuovo in Kenya, sulle piste sterrate del Safari. Nel 1990, le vittorie assolute al Portogallo e in Argentina gli consegnano il 4° posto nella classifica piloti, così come nel 1991. Nel 1992 si spengono i riflettori sulla Lancia che chiude la squadra corse anche se il prestigio che lega la casa automobilistica al mondo rally è ormai intramontabile. Passa alla Ford con un contratto triennale portando la Sierra al miglior risultato di sempre: 2° in Portogallo e 4° nella classifica del mondo. Nel 1993, con una nuova Cosworth, ottiene ottimi risultati vincendo il rally di Grecia, arrivando secondo in Argentina e Portogallo classificandosi 4° nel mondiale. Anche il Campionato del 1994 doveva essere vincente tant’è che a 2/3 della stagione era in testa alla classifica ma alcuni inconvenienti tecnici lo fermano in tre gare consecutive facendolo terminare 6° assoluto. Nel 1995, due gare fra tutte: l’Acropoli con la Delta del Team Astra di Mauro Pregliasco (costretto al ritiro quando era al comando della gara) e il 3° posto al Sanremo con la Subaru dell’ART Italia. Dopo l’asfalto, neve e terra, per la prima volta si trova a correre su pista in quel trofeo Maserati che gli consegna il secondo posto assoluto. Nel 1997 dai rallies passa al tout terrain, per mettersi alla prova in quei raid che lo hanno sempre affascinato. Alla Parigi-Samarcanda-Mosca, maratona di 15 mila chilometri nelle steppe dei paesi dell’Est, con l’Eurocargo Iveco taglia il traguardo secondo assoluto. Nel 1998 e nel 1999 si aggiudica la Coppa del Mondo Rallies Raid Trucks alla guida dell’Iveco Eurocargo. Nel 2001, dopo un anno di test con Fiat Auto per mettere a punto la Super 1600 che con Andreucci si aggiudicherà il titolo italiano, nel 2002 e nel 2003 è di nuovo in gara, questa volta alla corte della squadra ufficiale Mitsubishi: 3° al Rally di Dubai, con il Pajero conquista il 2° posto alla Dakar per poi essere penalizzato a fine gara per un problema tecnico. Sabbia e deserto nel 2003, anno che lo vede anche conquistare il secondo posto al Rally di Tunisia mentre nel 2004, in testa alla Dakar, uno spettacolare incidente pone fine al suo contratto con Mitsubishi. L’anno successivo è quello della Mille Miglia Storica a cui partecipa con una Lancia Aurelia B20 mentre nel 2006 ecco una nuova avventura alla Dakar, alla guida di una Panda Cross 4×4, che si conclude con il ritiro dalla gara per l’inesperienza del team. Nel 2007 con i colori della scuderia RalliArt Divisione Fuoristrada Italia scende in pista alla Baja Espana Madrid Aragon su un Pajero conquista l’11° piazzamento assoluto. Partecipa alla Dakar anche nelle edizioni 2008 e 2009. Il 21 ottobre 2011 vince il Rally del Marocco, categoria camion, su Iveco. Nel 2012, partecipa nuovamente alla Dakar, con il camion Iveco, vincendo la nona tappa e classificandosi al sesto posto. 2 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
massimo66 Inviata January 24, 2017 at 10:58 Share Inviata January 24, 2017 at 10:58 L' ho visto guidare L'Iveco della Dakar all'Iveco Village come guidava la Delta Integrale...pazzesco!! 1 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
leopnd Inviata January 24, 2017 at 11:27 Share Inviata January 24, 2017 at 11:27 1 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
massimo66 Inviata January 24, 2017 at 12:06 Share Inviata January 24, 2017 at 12:06 Siiii, è proprio quello che ho visto io!!!! Ero li e continuavo a credere che stesse guidando un Delta... Quel "coso" non è certo un mostro di agilità, ma Miki, peraltro molto disponibile come persona, lo gestiva con una facilità sorprendente! Mai detto è più appropriato...la classe non è acqua!! 3 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
elvis Inviata April 27, 2018 at 21:13 Share Inviata April 27, 2018 at 21:13 Motor Show di Bologna 1986 (Memorial Attilio Bettega) In finale contro Alen, la sua Lancia Delta S4 perde una portiera a seguito di un cappottamento e a questo punto Miki dà ancora più spettacolo.... 1 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
sundance76 Inviata April 28, 2018 at 07:15 Share Inviata April 28, 2018 at 07:15 Il 24/1/2017 at 11:37 , leopnd ha scritto: Anche il Campionato del 1994 doveva essere vincente tant’è che a 2/3 della stagione era in testa alla classifica ma alcuni inconvenienti tecnici lo fermano in tre gare consecutive facendolo terminare 6° assoluto. A me non risulta che fosse mai stato in testa alla classifica nel '94. 1 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
giovanesaggio Inviata April 28, 2018 at 11:12 Share Inviata April 28, 2018 at 11:12 (modificato) Anche perché i tre ritiri erano nei primi 2/3 del campionato Comunque l'avventura con Ford fu un mezzo disastro... Gli americani (inglesi? Va beh...) non avevano proprio la mentalità vincente dei tempi d'oro della Lancia. Troppa "legnosità" nel prendere le decisioni, troppa programmazione, poca inventiva sul campo... Bravi ingegneri, ma decisamente poco estrosi Se vogliamo, quella Ford mi ricorda un po' la Toyota attuale Modificato April 28, 2018 at 11:15 da giovanesaggio Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
sundance76 Inviata April 28, 2018 at 12:15 Share Inviata April 28, 2018 at 12:15 1 ora fa, giovanesaggio ha scritto: Anche perché i tre ritiri erano nei primi 2/3 del campionato Comunque l'avventura con Ford fu un mezzo disastro... Gli americani (inglesi? Va beh...) non avevano proprio la mentalità vincente dei tempi d'oro della Lancia. Troppa "legnosità" nel prendere le decisioni, troppa programmazione, poca inventiva sul campo... Bravi ingegneri, ma decisamente poco estrosi Se vogliamo, quella Ford mi ricorda un po' la Toyota attuale Biasion era in guerra con un tal ingegner Dunabin, che "spingeva" Delecour. Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
sundance76 Inviata October 30, 2018 at 12:33 Share Inviata October 30, 2018 at 12:33 (la metto anche qui per completezza) LA "CHIAVE" DEL SUCCESSO AL SAFARI Il calore del sole sfumava i contorni del paesaggio. La pista, davanti ai miei occhi, si perdeva in un fastidioso riverbero tremolante. Le colline degli altipiani del Kenya mi apparivano sfuocate quasi che, improvvisamente, la mia vista fosse stata intaccata da una forte miopia. Sul “red ground” la Delta lasciava una scia di polvere rossa. Lunghissima. Una cometa. Avevo il viso sudato, impastato dal quel maledetto pulviscolo che entrava dappertutto. Nelle cuffie la voce, forte e chiara di Tiziano. Ero in testa al Safari Rally ma i presagi non promettevano niente di buono. Troppe le negatività che si erano succedute nel corso della preparazione di quell’edizione 1988. Anche per uno come me, per nulla superstizioso. A febbraio, nel corso delle prime ricognizioni nella savana, avevo avuto un grave incidente. In piena velocità, a 180 chilometri all’ora, la macchina era decollata su un avallamento ed era capottata. Ero uscito indenne, Tiziano invece lamentava la frattura di una costola e una forte botta alla schiena. Situazione medica non grave ma, per il recupero completo del mio navigatore, il tempo non sarebbe stato breve. La conferma, infatti, era arrivata al rientro in Italia. Dopo i controlli la sua partecipazione al rally del Portogallo, che si sarebbe corso all’inizio di marzo, era apparsa impossibile. Come sostituto la Lancia aveva indicato Carlo Cassina. Nella mia carriera ho sempre avuto al mio fianco Tiziano. Tranne in tre occasioni, lo rammento perfettamente: il 100.000 Trabucchi, corso nel 1980 assieme al povero Loris Roggia con l’Opel; il rally della Lana, 1982, con “Rudy”, ancora con l’Ascona 400 e il Portogallo, appunto, con Cassina. Dire che la cosa mi disturbava era dire poco. La mia inquietudine, laggiù all’Equatore, era aumentata alcuni giorni prima del via. Nel corso di una delle ultime ricognizioni il muletto era letteralmente affondato nel fango. Per cercare di uscire dalla trappola mi ero messo a spingere anch’io. Il ginocchio ne era uscito malconcio. Avevo avvertito un dolore lancinante tanto che Ben Bartoletti era stato costretto ad iniettarmi degli antidolorifici per alleviare la sofferenza. E Tiziano non era ancora al massimo delle condizioni. Non avevamo avuto un momento tranquillo. E non era finita. In gara la sfortuna ci aveva perseguitato non poco: nella tappa verso nord si era spaccato il turbo e una zebra era finita sotto le ruote, per fortuna le protezioni anteriori aveva resistito bene al grande colpo. Episodi da Safari, ma ne avremmo fatto volentieri a meno dopo tutto quanto avevamo patito. Con una grande sofferenza, ma eravamo ancora in gara. Comunque i cattivi presagi continuavano ad aleggiare sopra la nostra Delta numero 6. In cuor mio mi aggrappavo ad una frase di un masai. L’avevo incontrato durante le prove di febbraio. “Tu piccolo italiano vincerai il Safari”, aveva profetizzato. Continuavo ad essere in testa. Il timore di altre disavventure era salito durante la notte. In Africa, più nera della pece. Nonostante la batteria dei fari anteriori e i due posizionati sui parafanghi, vedevo solo qualche decina di metri più avanti. L’attenzione era massima. Le ultime ore erano state vissute con una trepidazione incredibile. Kirkland, con la Nissan 200 SX, mi seguiva a nove minuti, un niente. Sarebbe bastata anche una foratura per compromettere tutto. Per questo Cesare Fiorio e Ninni Russo, quest’ultimo a bordo di un piccolo aereo Cessa a tenere i collegamenti radio, avevano riorganizzato completamente le assistenze. Ai 25 meccanici del team era stato chiesto il massimo sforzo. Troppo importante la posta in palio. Per tutti. Le forze erano state divise: alcuni uomini dislocati ai controlli orari, tutti gli altri erano stati piazzati lungo la pista, pronti ad intervenire nel momento in cui avessimo avuto bisogno. Una strategia perfetta, ognuno sapeva cosa fare. I chilometri sembravano senza fine. Nel corso di uno dei parchi assistenza pensavo mi venisse un infarto. Io e Tiziano eravamo andati nel camper a rifocillarci a al ritorno la nostra Delta non c’era più. Scomparsa, svanita. Mi sentii morire. “L’hanno rubata”, avevo pensato immediatamente. Incontrai Danilo Dalla Benetta, un amico meccanico di Vicenza, che stava seguendo il Safari per la Mazda. Un passato di navigatore al fianco di Antonillo Zordan, unico pilota privato nella storia dei rally ad aver battuto una Lancia Stratos ufficiale. Successe al Campagnolo 1976 e i due vicentini, con una Porsche preparata da loro stessi, riuscirono nell’impresa di superare Tony Carello in coppia con Arnaldo Bernacchini. “Miki, guarda che la macchina è laggiù”, mi aveva detto indicandomi la direzione con la mano. L’avevo inquadrata tirando un sospiro di sollievo. Il piazzale era in leggera discesa e, a causa delle pastiglie che si erano raffreddate, il freno a mano aveva perduto d’efficacia. La macchina si era andata ad appoggiare contro il tronco di un albero. Nessun danno, le protezioni anti animali, avevano fatto il loro dovere. Non era finita. Quando andai per aprire la portiera non trovai le chiavi. “Dove sono finite?”. Cercai nelle tasche, niente. “Tiziano, le hai prese tu?”, fu l’inizio di un ping pong delle responsabilità. Intanto passavano i minuti e dovevamo riprendere la marcia per non incappare in una penalizzazione. “Ragazzi, faccio io…”, disse Danilo chiudendo ogni discorso. Tempo trenta secondi e mi potevo riinfilare nell’abitacolo. I cattivi presagi continuavano. La nostra Delta Integrale era irriconoscibile, stava insieme con il filo di ferro dopo oltre quattromila chilometri di pietraie, polvere e guadi. Percorsi ad oltre 125 chilometri all’ora di media. Avevo perfino paura di parlare, sapevo che ormai era fatta, che mi stavo avviando verso un’impresa storica, ma sudavo freddo pensando che anche, negli ultimi metri, sarebbe potuto accadere qualcosa. Anche all’ingresso di Nairobi, a velocità ridotta, controllavo le spie sul cruscotto. Avevo paura che qualcuna si accendesse. Avevo perfino ripensato ai Safari perduti da Sandro Munari, una gara stregata per lui. Bastava un niente, sembra incredibile ma è così. Nell’abitacolo la tensione era ancora altissima nonostante ormai fosse questione di poco. Tiziano continuava a leggere il radar, scandiva le parole in maniera ancora più chiara per azzerare le possibili incomprensioni. Lo sguardo davanti, contagiri e spie, avevo socchiuso gli occhi per avere maggiormente a fuoco tutti i particolari. Proprio come fossimo ancora in prova. Nel centro della capitale del Kenya la gente si era accalcata numerosa lungo la strada. A centinaia, a migliaia, sempre di più. A seguire l’evento dell’anno. E io e Tiziano eravamo là, davanti a tutti. Primi al Safari, i primi italiani. Con una macchina italiana. All’Equatore avevamo conquistato il nostro Everest. Il tetto del mondo. Sulla pedana d’arrivo del Kenyatta Conference Center chiusi gli occhi. Stavo vivendo il momento più bello della mia vita. Era il 4 aprile 1988, lunedì di Pasqua. Gli amici irriducibili, al rientro a Bassano, mi avevano atteso nel solito locale vicino al ponte degli Alpini. “Né la zebra né el leon possono fermar Miki Biasion”, era stato il canto goliardico di saluto. Nei giorni successivi ero andato a Verona a verificare la situazione del ginocchio. Nello stesso tempo Ben Bartoletti mi preparò una tabella per recuperare, in breve tempo, gli oltre sei chili che avevo perduto durante la gara in Africa. Una settimana dopo il rientro in Italia mi chiamò Danilo. “Miki, mi inviti a cena?”, chiese. Era il minimo che potessi fare dopo l’aiuto in Kenya. Nel corso della rimpatriata mi consegnò un pacco. Lo scartai, all’interno c’era un quadro. Una bella cornice, la prima pagina del Nation, il quotidiano di Nairobi. Un titolone, “MiKilimanjaro”, una foto gigante a colori di quella fantastica giornata e, sotto, incollata, la chiave della Delta che avevamo perduto. Danilo l’aveva trovata in mezzo all’erba dopo che eravamo ripartiti. Non lo dimenticherò mai. * Tratto dal libro "Miki Biasion storia inedita di un grande campione" di Miki Biasion e Beppe Donazzan (Giorgio Nada Editore) 1 1 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
giovanesaggio Inviata October 3, 2019 at 08:27 Share Inviata October 3, 2019 at 08:27 1 2 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
sundance76 Inviata November 25, 2020 at 20:53 Share Inviata November 25, 2020 at 20:53 Dopo il secondo titolo mondiale consecutivo, nel gennaio '90 Biasion annuncia di voler puntare al tris iridato, e giudica la stagione '89 dei rivali: 1 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Ayrton4ever Inviata August 1, 2023 at 20:43 Share Inviata August 1, 2023 at 20:43 Stasera, qui all'Isola d'Elba ho brindato al mio compleanno nel solito ristorante dove è mia abitudine festeggiare. All'entrata c'era un enorme tavolo vuoto apparecchiato per 15-16. Il titolare del ristorante viene a salutarci e mi chiede: "Hai visto il due volte mondiale al tavolo 1?" "No chi c'è?" "Sono due! Biasion e Siviero!" Sempre insieme... 2 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
Questo è un messaggio popolare sundance76 Inviata August 15, 2023 at 17:44 Questo è un messaggio popolare Share Inviata August 15, 2023 at 17:44 PARTITA DOPPIA "Credevo di avere fatto il pieno di emozioni rallistiche (la prima vittoria nel mondiale al rally di Argentina '86; il Montecarlo '87 e la sfida sul Turini; il Safari '88; la conquista del titolo iridato) ma mi mancava il Sanremo '89. In Italia ogni limite veniva battuto. Quando la prova italiana di campionato del mondo prendeva il via, non pensavo certamente che si sarebbe trasformata nella corsa a più alto tasso di suspense della mia carriera, in un folle inseguimento alla vittoria. Al Sanremo la Lancia schierava la Delta Integrale con motore a 16 valvole, una vettura pensata in funzione della stagione '90 e che aveva già compiuto parecchi test. Ma che era al debutto in gara. La bianca livrea Martini aveva lasciato posto a un aggressivo colore rosso e subito la nuova arrivata era stata soprannominata la «signora in rosso». Al rally di Italia di signore in rosso ce n'erano due, una per me e un'altra affidata a Auriol. La scuderia Jolly Club, invece, continuava con la solita Delta Integrale a 8 valvole. La rosa dei contendenti al successo finale era ristretta a noi del team Martini, a Fiorio e Cerrato del Jolly, e ai due uomini della Toyota, Carlos Sainz e Juha Kankkunen con quest'ultimo che aveva già sottoscritto il contratto '90 con la Lancia. Come dire, il mio nuovo compagno di squadra. Un vero e proprio blitz, l'ingaggio del finlandese da parte dei responsabili della Casa italiana, un'operazione volutamente soprattutto per indebolire la Toyota. "Cosa ne pensi del ritorno di Kankkunen in Lancia?». Nei giorni antecedenti la gara sembrava che tutti si fossero messi d'accordo nel pormi la stessa domanda. E per tutti la stessa risposta: "In Lancia o in un'altra squadra, Juha rimane sempre un avversario, uno tra più ostici". Il secondo titolo iridato consecutivo, proprio come il finlandese, me lo sentivo già in tasca: al Sanremo, per avere la certezza matematica, mi sarebbe bastato arrivare terzo. Comunque, visto che il succo della vita è soprattutto lottare, impegnarsi, esprimere il meglio di sé, niente strategie ma piuttosto puntare diritto alla vittoria. L'incognita, tuttavia, era proprio la "signora in rosso": una nuova vettura è ancora tutta da scoprire e le sorprese sono sempre tante. Sull'asfalto delle prime speciali, nell'entroterra imperiese, la Delta 16v rispondeva bene e con Auriol otteneva tempi da assoluto, mentre io mi limitavo a controllare la situazione. Ma quando arrivava la terra della Toscana, il francese-tutto-attacco finiva fuori strada. Per una "signora in rosso" che lasciava la testa del rally, eccone un'altra pronta a rilevarla: diventavo leader del Sanremo. Per una sola speciale, però, perché nella prova in salita-discesa-salita di Ulignano si metteva un cerchio difettoso a ribaltare tutto: il pneumatico fuoriusciva dalla sua sede e con esso se ne andavano oltre due minuti. La gara sembrava irrimediabilmente compromessa. Ad Arezzo, alla fine della prima tappa, ero quarto in classifica, ma nella mia mente era maturata la certezza che se fossi riuscito a presentarmi al via della frazione finale, tutta su asfalto, con un distacco dal primo inferiore ai due minuti, avrei potuto tentare l'assalto. Ma dovevo anche risparmiare la Delta sugli sterrati. In una situazione difficile: recuperare sui primi e al tempo stesso non sacrificare il mezzo. Sulla terra il primato inizialmente era di Fiorio, successivamente passava nelle mani di Sainz e della Toyota. Mi lasciavo alle spalle la Toscana, i suoi borghi e le dolci colline, con 1'44" da Sainz e 42" da Fiorio. Nel trasferimento verso Genova, dove si disputava una superspeciale tra pile di vecchi pneumatici e nella quale ottenevo il miglior tempo (altri 3 " strappati allo spagnolo e uno ad Alex), il successo, e con esso il secondo titolo, non mi sembrava più una meta irraggiungibile. Qualche ora di riposo, poi lo squillo del telefono all'Hotel Londra di Sanremo mi annunciava che era il momento di alzarsi, indossare la tuta e incominciare il conto alla rovescia dell'ultima notte di gara con i suoi centocinquanta chilometri di speciali. Mancavano un paio d'ore allo scoccare della mezzanotte di mercoledì 11 ottobre e in classifica ero terzo a 1'41 "da Sainz e a 41" da Fiorio. Sui centocinquanta chilometri di prove tra le montagne liguri potevo recuperare, in teoria, un centinaio di secondi. Giusto lo svantaggio con cui mi presentavo al via dell'ultimissima frazione. Il calcolo lo avevo effettuato con i tecnici della Lancia sulla base dei tempi ottenuti nel corso della prima tappa, nella quale la Delta 16V, sulle stesse strade, era risultata più veloce della Celica di poco meno di un secondo a chilometro. Ma, allora, la vettura era fresca, ancora vergine nel motore e nella meccanica e non affaticata da tre giorni di gara. Sul lungomare di Sanremo, in attesa del via, incontravo Carlos Sainz. Nel suo sguardo mi sembrava di intravedere un misto di speranza e rassegnazione. Speranza nel riuscire a conservare la leadership e regalare così alla Spagna rallistica la prima affermazione nel mondiale, rassegnazione perché i calcoli li avevano fatti anche in Toyota. Seduto nell'abitacolo della sua Delta Integrale, Fiorio dava l'impressione di sentirsi tra l'incudine e il martello: avrebbe dovuto combattere su due fronti, attaccare lo spagnolo e cercare di contenere la mia rimonta, che non era un segreto per nessuno. Poco meno di un secondo ogni mille metri da recuperare per tentare l'impossibile, correndo ventre a terra contro due avversari che avrebbero fatto altrettanto. Il cielo era stellato che pareva quello di un presepe, la temperatura fresca e le strade erano secche. Quando mi avviai verso la prima speciale, quella guidatissima di Perinaldo, mi sembrò un buon auspicio. Lungo i tredici chilometri in salita e discesa di Perinaldo, i cronometri mi assegnavano il miglior tempo: Fiorio era a 5", Sainz a 10". I calcoli trovavano una prima conferma. «Andando avanti cosi possiamo ancora farcela» sentenziava Siviero all'assistenza con l'ingegnere Lombardi che si univa alla convinzione del coéquipier. Qualcuno mi portava notizie di Sainz: «Carlos ha superato la prova al limite suo e della Celica; più di così, ha detto, non può fare». Mi rifugiavo nel camper per qualche istante: avvertivo un fastidioso cerchio alla testa ma rifiutavo di prendere antinevralgici. Temevo che i farmaci potessero intorpidirmi i sensi. Ancora dieci chilometri di speciale, quelli da Apricale a Baiardo, una salita stretta e impegnativa ed erano altri 6" strappati a Fiorio e 12” a Sainz. Adesso mi restavano 1'19" da annullare sullo spagnolo e 30" su Alex. Al servizio di Baiardo decisero di non sostituire i pneumatici così da avere le coperture già in temperatura ottimale per la prova successiva. I dialoghi con Tiziano si erano ridotti al minimo: mi comunicava solamente i tempi dei due diretti rivali. Ogni volta che mi sfilavo il casco ricompariva il cerchio alla testa. E la notte era ancora lunga. Ancora uno "scratch", al Monte Ceppo: adesso Fiorio era a 17" e Sainz, al quale avevo rifilato 17" in diciassette chilometri, era a 1'02". Mancavano sei speciali alla fine e tra noi tre era anche guerra di nervi. «Carlos sembrava rassegnato a perdere terreno ma non dispera» mi riferivano agli assistenti. Alex, invece, lo vedevo da me: ere tranquillo, concentrato e riceveva continue iniezioni di fiducia da parte del suo diesse Bortoletto. Mi sembrava di assistere a un film già visto: Portogallo '85, Röhrl che nelle ultime prove cerca disperatamente di strapparmi il secondo posto, Bortoletto che mi incita a resistere. Sul Colle d'Oggia, a meno cinque speciali dal traguardo, lasciavo Fiorio a 10" e Sainz a 19"; al riordino di Colle San Bartolomeo mi presentavo con soli 43" dalla Toyota e a 7" dalla Delta del Jolly. La rimonta stava cessando di essere tale e stava per trasformarsi negli ultimi assalti alla vittoria. Nel piccolo bar a Colle San Bartolomeo ci eravamo trovati seduti allo stesso tavolo io e Siviero, Sainz e il suo navigatore Moya, Fiorio e Pirollo; qualche minuto insieme per allentare la tensione in attesa del rush finale. Kankkunen fece una fugace apparizione: entrò nel chiassoso e fumoso locale, si guardò intorno, girò i tacchi e uscì. Le ostilità riprendevano con ancora novanta chilometri di speciali da consumare. I primi venticinque erano quelli che uniscono le salite di Ponte dei Passi e del Colle d'Oggia. «Cos'è successo a Sainz?» chiesi alla fine della speciale. Lo spagnolo aveva perso in una botta sola tutto il suo vantaggio, 43"; tra noi due adesso era pareggio in classifica. Fiorio era a 16". «Gli si è bloccato il cavo dell'acceleratore. Ormai sa di aver perso» mi comunicarono mestamente due cineoperatori spagnoli. Le radio private, che trasmettevano in una diretta no-stop la notte del Sanremo, avevano già annunciato via etere la nuova, incredibile classifica. Alle prime luci dell'alba le assistenze Lancia e Toyota si animavano di spettatori che avevano deciso di salire fin sulle montagne per guardare in faccia i tre in lotta racchiusi in un fazzoletto, per coglierne le espressioni. Per vivere attimo per attimo un finale da cardiopalma. «La frenata non è perfetta» urlai al servizio di Cesio e chiesi che fosse controllato l'impianto frenante; nell'ultima speciale mi aveva preoccupato non poco. In un tempo-record i meccanici sostituirono pinze e dischi freni. L'ingegnere Lombardi, che sovrintendeva ogni operazione, osservò i dischi appena smontati e annuì. Sembrava ormai fatta ma nel secondo passaggio di Ponte dei Passi, accorciato questa volta , i problemi ai freni si ripresentavano: i teorici undici-dodici secondi che avrei dovuto guadagnare su Sainz si erano ridotti a otto; Fiorio occupava il terzo posto a 22". E la vittoria era più che mai rimessa in discussione. Era ormai giorno quando le dita del cronometrista scandirono il tre... due... uno... VIA! della prova di Vignai, la più lunga della tappa con i suoi ventinove chilometri, tutti di strada stretta. Affondavo il piede sul pedale del freno e la risposta che ricevevo era blanda, la Delta faticava a rallentare la sua corsa. Le speranze cullate per due giorni, la rimonta costruita metro dopo metro lungo ventiquattro sofferte speciali, sembravano aver fine. Dopo i primi ventitré chilometri di Vignai ero già in ritardo su Fiorio di 10"; negli ultimi sei ne perdevo altri 11". La situazione si era fatta difficile: il vantaggio su Alex era sceso a un secondo, un misero secondo; Sainz era a 3". Si ricominciava da capo, a meno venti chilometri dall'alt. E le défaillance ai freni erano sempre in agguato Quelli del Jolly Club erano in agitazione: stavano vivendo il loro grande momento, il loro pilota era a un passo dal successo clamoroso. Le sigarette di Bortoletto non si contavano più: lo osservavo dal finestrino del camper mentre cercavo di rilassarmi per qualche breve minuto. Concentrai tutte le mie risorse mentali; mi ripassai ogni centimetro di strada; chiusi gli occhi e mi isolai dal resto del mondo. Ero già in prova speciale, la penultima. 7'37” il mio tempo; 7'45" quello di Fiorio; 7'49" quello di Sainz. Tornavo a sperare con quei 9 "di vantaggio su Alex e 15" su Carlos, nove secondi con i quali mi preparavo ad affrontare gli ultimi dieci chilometri che valevano un primo posto, un mondiale, una gioia grande così. Che valevano, se l'assalto fosse riuscito, la più bella, sofferta vittoria della mia carriera. Fermo sulla linea di partenza della speciale decisiva, incrociai lo sguardo di Tiziano: mi strizzò l'occhio e alzò il pollice della mano destra. Risposi con un cenno del capo, ma continuavo a pensare ai freni: mi avrebbero assecondato nella discesa verso l'abitato di San Romolo? Quando conclusi la prova i quattro dischi erano quattro piatti incandescenti. Incandescenti come la tensione di chi mi stava aspettando al controllo-stop: Sainz, che aveva tentato il tutto per tutto, aveva strappato un 7'19"; Fiorio 7'05", il miglior tempo. Io, più lento di Alex di 4", avevo vinto il Sanremo per cinque-secondi-cinque sul ragazzo del Jolly e venticinque sullo spagnolo. Era finita. All'assistenza Lancia di Coldirodi, l'ultima prima del traguardo di Sanremo, i meccanici avevano già tirato fuori una corona d'alloro: era quella per il secondo titolo mondiale. Siviero aveva gli occhi lucidi. A fatica mi trattenni dal mostrare altrettanto". (Miki Biasion con Maurizio Ravaglia, "Una favola mondiale", Conti editore 1989) 4 1 Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
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