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  1. Siamo ancora in pieno letargo invernale ma con la conferma di Ferrucci sulla iconica #14 la griglia è quasi al completo. Mancano le conferme in Coyne, come al solito e in Abel e D&R per la 500.
  2. 3D per la Indianapolis 500 del 1912. International 500-Mile Sweepstakes Race
  3. Penske fan

    Rick Mears

    Apro questa discussione per raccontare la storia di un pilota che, dal niente, è diventato uno dei più grandi esponenti del panorama motoristico americano. Uno che per il suo modo di fare sempre poco appariscente non è famoso come un Mario Andretti o un AJ Foyt ma che è da molti considerato il più grande pilota di sempre sugli ovali, in particolare a Indianapolis. Rick Mears nasce a Wichita, Kansas, il 3 dicembre 1951. Quella di Rick è una famiglia da corsa: suo padre Bill è infatti un pilota stock car di successo in un’epoca irripetibile, in cui la vita si divide tra le giornate passate a lavorare e le notti a gareggiare, con in mezzo poche ore di sonno. Bill, meccanico in un rivenditore di auto usate, negli anni ‘50 arriva a correre anche 5-6 gare a settimana, ottenendo i primi ingaggi. In un fine settimana di vacanza passato in California, Bill e sua moglie Skip decidono per il classico cambio di vita all’americana, trasferendosi a Bakersfield, cittadina non lontana da Los Angeles. La California, oltre a offrire prospettive di vita migliori, da anche a Bill la possibilità di continuare a dare sfogo alla sua passione per le corse, oltre ad essere il miglior terreno possibile per le prime scorribande dei suoi due rampolli, Roger e Rick, che ci mettono poco a seguire le orme del padre, armeggiando con qualunque cosa abbia un motore. Roger si dà subito al kart, per poi passare a midget e stock car mentre Rick si innamora delle moto, diventando un promettente crossista. Fin dalle prime esperienze, il più giovane dei fratelli Mears si fa notare per uno stile paziente ed efficace. Come ricorderà Roger: “poteva metterci dei giorni ad imparare qualcosa che magari io padroneggiavo in poche ore. Procedeva sempre con prudenza, a piccoli passi. Una volta imparato però faceva quella cosa meglio di chiunque altro”. Alcune brutte cadute convincono però Rick ad accettare la proposta del padre di concentrarsi sulle quattro ruote. Gareggiando con mezzi autocostruiti, Rick e Roger si danno allora alle corse su sterrato e nel deserto con i dune buggy, che talvolta vedono partecipare lo stesso Bill. È qui che nasce la Mears Gang, che all’inizio degli anni ‘70 domina la scena del corse californiane e non solo. I due fratelli si spartiscono infatti le vittorie sia nei circuiti di terra, in una continua sequenza di duelli all’ultima curva, che nel deserto, partecipando inoltre a importanti competizioni come Pikes Peak e la Baja 1000 in Messico. Roger è infatti uno dei primi a introdurre i buggy nella famosa corsa del Colorado, raccogliendo numerose vittorie di classe e battagliando con personaggi del calibro di Parnelli Jones, leggenda del motorismo USA, che diventa una sorta di mentore per i due fratelli, i cui orizzonti si allargano sempre più. Roger costruisce insieme al padre una stock car, cercando di sfondare nei campionati regionali della Nascar, mentre Rick ha l’occasione di debuttare in pista con una monoposto. Guidando una Formula Vee di alcuni amici, ottiene a Riverside la licenza SCCA per poter disputare le prime corse, passando subito ad una più prestante Super Vee. La rapidità con cui la sua carriera si sviluppa da questo punto in poi, considerando l’esperienza su pista praticamente inesistente, ha dell’incredibile, ma non è poi così sorprendente nell’ambiente ancora per certi versi pioneristico delle corse americane degli anni ’70. Rick approfitta di ogni occasione per fare esperienza e migliorare la propria tecnica di guida, pur senza ambizioni di professionismo. Le corse, nonostante i successi mietuti nel deserto, sono ancora solo un hobby e l’unica sicura fonte di sostentamento è costituita dal lavoro nell’azienda del padre Bill, che nel frattempo ha messo su un’attività nel settore del movimento terra. Rick si divide quindi tra le auto e il lavoro con l’escavatore, disertando di nascosto ogni tanto il dovere per andare a provare qualche nuova macchina nei vari autodromi della zona, fino a quando non riceve una chiamata che gli cambierà la vita. Bill Simpson, pilota e fondatore dell’omonima azienda di abbigliamento da gara e dispositivi di sicurezza, offre a Mears la possibilità di provare una F.5000 a Willow Springs. Alla prima presa di contatto con una monoposto di grande potenza, Mears si comporta bene, risultando nettamente più veloce di Simpson che, impressionato dal giovane americano, gli fa disputare due corse in F.5000 per poi farlo debuttare in IndyCar, come seconda guida del suo team, al volante di una Eagle vecchia di due anni. La 500 miglia di Ontario del 9 settembre 1976 vede quindi l’esordio di Rick Mears, non solo nel campionato IndyCar/USAC, ma anche su un ovale estremamente veloce come il super speedway californiano. In realtà la sua partecipazione è in dubbio fino alla vigilia, in quanto l’USAC è preoccupata per la scarsa esperienza di Rick sulle monoposto. A sua insaputa, Simpson offre la propria casa a copertura di eventuali danni procurati ad altri concorrenti. Rick fuga ogni dubbio qualificandosi 20° e, seppur doppiato numerose volte non solo dal vincitore Bobby Unser ma anche dal “capo” Simpson, al volante di una ben più prestante McLaren, si comporta bene, completando la gara in ottava posizione senza ostacolare i più veloci e facendo preziosi chilometri. La prestazione convince sempre più Simpson delle potenzialità del 25enne californiano, tanto da garantire a Mears il sedile per due delle ultime tre corse in calendario. Simpson vende infatti la Eagle ad Art Sugai, impresario appassionato di corse, a patto che a guidare sia proprio Rick. Al volante di una vettura imbarazzante come velocità e colore (un rosa che le vale il soprannome di “pink lady”), Mears raccoglie due noni posti al Texas World Speedway e all’ultima corsa di Phoenix. Nonostante i mezzi limitati e la assoluta non competitività della vetusta Eagle, Rick decide di proseguire l’avventura col team Sugai anche nel 1977, raccogliendo solo delusioni nelle prime corse della stagione, fino alla mancata qualificazione alla Indy 500. Mears si presenta allo Speedway con la moglie Dina, i figli Clint e Cole e una roulotte, che è praticamente tutto ciò che possiede. Nonostante gli sforzi e i grossi rischi presi nel tentativo di qualificarsi, Rick si ritrova senza vettura e prospettive, in quanto il team Sugai è prossimo alla chiusura. Lo stile di Mears non è però passato inosservato. Roger Penske ha infatti seguito attentamente i progressi del giovane pilota americano, rimanendo impressionato dal suo cercare di qualificarsi senza mai sbagliare o mettere a rischio la vettura. Con l’aiuto di Bill Simpson, Rick intanto approda nell’abitacolo della McLaren-Offy schierata dal leggendario Teddy Yip, proprietario del Theodore Racing che a Indy aveva fatto correre Clay Regazzoni. Con la ben più competitiva vettura inglese, Mears ha finalmente l’occasione di ben figurare, cogliendo 4 arrivi in top ten su sei gare, col quinto posto di Milwaukee come miglior risultato. Roger Penske ha così le risposte che cercava e contatta Simpson, titolare di un contratto decennale con Mears. Consapevole dell’importanza della proposta del Capitano per la carriera di Rick, Simpson ne cede gratuitamente il “cartellino” a Penske, che per il 1978 impegna Mears in un programma parziale: Indianapolis e tutte le corse in cui Mario Andretti non sarà disponibile a causa dell’impegno Lotus in F1. È la svolta di una carriera, perché Mears si inserisce senza troppa fatica tra i big dell’IndyCar, realizzando che non gli è richiesto nulla più di quanto fatto fino a quel momento con vetture decisamente meno competitive. . Dopo le moto da cross Rick passa con successo ai buggy nel deserto e sugli ovali in terra La Mears Gang è tra le prime a montare gli alettoni, spacciati come pannelli pubblicitari Debutto a Indianapolis nel 1977 con la Eagle del team Sugai Rick mancherà la qualificazione per poco più di un miglio di media Rick sconfortato ai box Dopo Indy si passa a una macchina seria, la McLaren M16 del team Theodore
  4. R18

    Indy Racing League

    Dato che c'è il thread fotografico sulla CART, apro anche quello della sua controparte per ovali, anche se ben presto poco avrà a che fare con la categoria avversaria. Trattasi della Indy Racing League, nata nel 1996 da un'idea di Tony George, poi magari parleremo meglio di come avvenne questa celebre separazione... Qui metteremo le immagini della IRL/IndyCar comprese tra il 1996 ed il 2007, ossia degli anni in cui si ebbero due categorie regine a ruote scoperte negli USA. Cominciamo con i campioni di questa serie Buzz Calkins, 1996, Bradley Motorsports E qui l'altro campione della stagione inaugurale, Scott Sharp, team AJ Foyt Enterprises.
  5. Apro questa discussione per parlare della CART, una delle più belle categorie della storia dell'automobilismo e certamente la mia preferita. La nascita del campionato CART nel 1979 è il risultato dell'evoluzione subita dalle corse a ruote scoperte americane negli 80 anni precedenti. Fino agli anni '50 la AAA, American Automobile Association, controllava buona parte delle attività motoristiche svolte negli USA dall'inizio del 20° secolo, fino a quando una serie di tragedie, culminate nel 1955 con la morte di 80 spettatori a Le Mans, non ha portato alla sua improvvisa uscita di scena con la conseguente formazione dell'USAC, lo United States Auto Club, voluto dal presidente dell'Indianapolis Motor Speedway, Tony Hulman. L'USAC riprese da dove l'AAA aveva lasciato, patrocinando le corse di Midget, Sprint Cars, stock cars e le "Championship cars", così erano chiamate le auto che animavano la corsa più ricca e importante del mondo, la Indy 500. Se la corsa dell'Indiana rappresentava l'apice del motorismo americano, il resto del campionato rimaneva una serie di eventi più o meno collegati tra loro, piuttosto che continuare il discorso iniziato nel mese di maggio. Dopo la morte di Tony Hulman nel 1977, le squadre cominciarono a manifestare apertamente il proprio malcontento per la dilettantesca gestione del campionato. La successiva scomparsa dell'intero gruppo direttivo USAC in un incidente aereo a inizio '78, allargò il vuoto di potere, con i numerosi incontri tra personaggi come Pat Patrick, Jim Hall, Roger Penske, Dan Gurney, Teddy Mayer e Tyler Alexander che sfociarono nel famoso "White Paper" di Gurney, in cui il costruttore americano metteva nero su bianco i problemi della serie e i possibili correttivi proposti dalle squadre. Il messaggio era chiaro: "C'è qualcosa di sbagliato nel nostro sport, non sta minimamente raggiungendo il suo pieno potenziale e c'è un gran bisogno di cambiamento!". La frustrazione dei proprietari si concentrava soprattutto sui premi gara troppo scarsi e la pessima esposizione mediatica, che oggi come all'ora rendeva molto arduo il reperimento di adeguati sponsor. Una condizione che stonava se confrontata al grande sviluppo che contemporaneamente altri sport come golf, football e baseball stavano incontrando, per non parlare della F1, che Bernie Ecclestone cominciava a trasformare in uno spettacolo globale. La gran parte dei team manager era d'accordo e quando USAC e IMS sdegnatamente rifiutarono di riconoscere le preoccupazioni delle squadre, non ci volle molto perché i proprietari formassero una propria associazione. La Championship Auto Racing Teams era quindi pronta a partire. "Pensavamo tutti che il potenziale fosse molto di più che una grande corsa all'anno" ricorda Gurney, "ma una cosa che posso dire per certo, essendo stato uno dei membri del primo gruppo direttivo della CART, è che tutti volevamo solo far crescere la Indy500. Era già l'evento sportivo di un giorno più grande del mondo, quindi non aveva bisogno di grossi cambiamenti, ma noi volevamo migliorare il resto della stagione, non la 500 miglia". Ci furono molti problemi all'inizio, con polemiche e cause legali, ma sotto la guida dell'avvocato John Frasco presto la CART ottenne il supporto, come sanctioning body ad interim, del SCCA, lo Sports Car Club of America, ed era pronta a organizzare la sua prima corsa a Phoenix, l'11 Marzo 1979, davanti a un grande pubblico e con la diretta nazionale su NBC. L'USAC non cedette, cercando di bloccare l'iscrizione delle squadre CART alla Indy500 e andando avanti con il suo campionato, ma entrambe le iniziative si rivelarono un buco nell'acqua. Il tribunale dette infatti ragione alla CART, riconoscendo il diritto delle squadre di partecipare alla corsa in cui i ribelli, guidati da Rick Mears, sbaragliarono la concorrenza. "Non ci feci molto caso all'ora, ma ripensandoci la situazione tolse molto alla mia prima vittoria, con tutte le cause e il casino che andava avanti" dice Mears. "La vittoria a Indy arrivò e passò molto in fretta. Non ebbe lo stesso peso che avrebbe avuto normalmente. Ma la cosa non mi infastidì, l'avevo vinta ed era tutto ciò che avevo bisogno di sapere; dovevo solo andare avanti e vincerla di nuovo!". Il trionfo della CART fu mitigato dal secondo posto di AJ Foyt, fedele all'IMS fino all'ultimo ma in definitiva costretto a "convertirsi", quando nel 1981 l'USAC, per riempire la griglia del suo campionato, arrivò in qualche occasione a far correre insieme Champ cars e Midgets. Il rapporto tra CART e Indianapolis continuò quindi come una sorta di convivenza forzata. Lo Speedway non poteva fare a meno delle squadre, che a loro volta avevano bisogno del palcoscenico principale. La Indy500 rimase un evento a sé stante fino al 1983, quando si raggiunse finalmente un accordo per includerla nel calendario CART, pur rimanendo interamente gestita da USAC e IMS, sia da un punto di vista commerciale che tecnico e sportivo. Nel frattempo la CART incassò il determinante supporto delle PPG Industries, che divennero il title sponsor della serie, ottenendo più tardi la concessione da parte dello Speedway di ribattezzare il campionato come PPG IndyCar World Series, associando quindi le Champ cars a Indianapolis. Il logo della neonata CART Rick Mears, primo campione CART e vincitore della Indy500 1979 alla guida della Penske PC6 Prima fila a Indianapolis ‘80, il futuro vincitore Rutherford affiancato dalle Penske di Andretti e Bobby Unser Partenza dell'ultima corsa del 1980. Mario Andretti su Penske PC9 precede il campione Rutherford su Chaparral. In seconda fila Pancho Carter su Penske PC7 e Al Unser su Longhorne LR-01. Terza fila per Rick Mears su Penske PC9 e Tom Sneva su Phoenix, che andrà poi a vincere. Tutti sono motorizzati Cosworth DFX. Il particolare "ovale" di Trenton
  6. KingOfSpa

    Indianapolis

    L’Indianapolis Motor Speedway (IMS) nasce nel 1909 dall’idea di 4 imprenditori locali (Carl Fisher, James Allison, Frank Wheeler and Arthur Newby) che misero assieme la cifra di 75.000 USD per l’acquisizione di 328 acri (1,320 km²) e la costruzione di un tracciato prova, utile alla produzione automobilistica dell’Indiana, in quel periodo molto florida. La lunghezza, 2,5 miglia, è la massima possibile compatibilmente con i terreni acquistati: infatti il tracciato corre lungo il perimetro di essi. In un primo tempo il circuito ebbe una superficie mista di pietra levigata e catrame. Tuttavia subito dopo le prime gare del 1909 ci si rese conto che non erano adatte né per le gare automobilistiche né motociclistiche. Fu deciso così, nell’autunno del medesimo anno, la sostituzione con una superficie di "mattoncini" usati in quel periodo per la costruzione del manto delle strade ordinarie, fatti arrivare appositamente dall’ovest Indiana, nell’area al confine con l’Illinois: in particolare il 90% circa di questi mattoncini (nel totale, oltre 3.200.000) erano "Culver Blocks" prodotti dalla Wabash Valley Clay Company di Veedersburg. Ogni mattoncino poi veniva "fermato" sulla superficie adagiandolo su un letto di sabbia e successivamente disponendoli in file, lasciando fra di loro uno spazio di circa 10 centimetri dove la calce poteva far presa e legare fra loro i vari mattoncini. Nel 1936 parte di essi furono tolti e sostituiti, specialmente nei punti più critici all’interno delle curve, da strisce d’asfalto e così via tant’è che nel 1939 solo il rettilineo principale era ancora in mattoncini. Il tracciato rimase in questo stato fino all’ottobre 1961 quando fu completamente riasfaltato, eccezion fatta per i 3 piedi (circa 90 centimetri) di mattoncini che rimasero (e rimangono) a ricordo del "Brickyard". Ad oggi, ad ogni riasfaltatura del tracciato, i mattoncini vengono sostituiti con altri provenienti dallo stesso luogo di lavorazione e fermati ancora con la calce e la sabbia. L’attuale proprietario, Tony Hulman George è nipote di Tony Hulman jr. che nel 1945 rimise a nuovo il circuito dopo gli anni di decadenza dovuti alla seconda guerra mondiale. Fu proprio Tony Hulman jr che sotto l’insistenza del plurivincitore Wilbur Shawre rese famoso Indy, costruendovi tribune per oltre 200000 spettatori, musei, tunnel e addirittura una torre di controllo in vetro, oggi sostituita dalla cd. Pagoda, e coniando il classico grido "Gentleman, start your engines!" Da quel momento l’IMS non ha mai smesso di allargarsi. Oggi, il circuito ha di proprietà una superficie di oltre 559 acri (pari a 2,262 km²), che comprende oltre al circuito ovale e a quello realizzato per la formula 1 una serie di attività collaterali, come un albergo da 96 stanze e un campo da golf di 18 buche (il Brickyard Crossing Golf club) di cui 4 all’interno del circuito... http://www.indianapolismotorspeedway.com/ Sono i vari strati di pista degli ultimi 108 anni
  7. sundance76

    Al Unser Sr

    A sette mesi di distanza dal fratello Bobby, anche Al Unser Sr ci ha lasciato. Aveva 82 anni e ha lottato con la malattia per 17 anni. Unser Sr. è stato uno dei più grandi piloti americani, vincitore ben 4 volte della 500 miglia di Indianapolis (record con Foyt, Mears e Castroneves), e di tre campionati nazionali Indycar (1970, 1983 e 1985, in quest'ultimo caso battendo all'ultima gara per un solo punto il figlio Al Junior). Nato il 29 maggio 1939, era il più giovane di quattro fratelli. Anche suo padre Jerry Unser e due zii, Louis e Joe, erano piloti. Joe Unser fu il primo membro della famiglia Unser a perdere la vita a causa di questo sport, ucciso durante una prova di guida di una FWD Coleman Special sull'autostrada di Denver nel 1929. Il fratello maggiore di Al, Jerry, divenne il primo Unser a correre a Indianapolis qualificandosi 23° e finendo 31° nella Indy 500 del 1958. Tuttavia, la tragedia arrivò l'anno successivo quando Jerry rimase ucciso per le ferite riportate in un incidente durante una sessione di prove. L'altro fratello, Bobby, corse la sua prima Indianapolis 500 nel 1963, diventando nel 1968 il primo membro della famiglia a vincere la classicissima dell'Indiana. Nel 1983 il figlio, Al Unser Jr., a sua volta debuttò a Indy. Al Sr. iniziò a correre a 18 anni, nel 1957. Debuttò nella 500 miglia di Indianapolis nel 1965, e la vinse nel 1970, nel 1971, nel 1978 e poi nel 1987. In questa ultima edizione, a quasi 48 anni, divenne il più anziano vincitore della Indy 500, e contro ogni pronostico: il team Penske non riusciva a mettere a punto la nuova macchina, e fu costretto a riesumare le vecchie March. Uno dei tre piloti titolari, Ongais, rimase ferito durante le prove, e Penske richiamò all'ultimo momento Unser, che era rimasto senza un ingaggio. Dalla ventesima posizione, Al riuscì a rimontare e a vincere, anche grazie al ritiro di Mario Andretti a pochi giri dalla fine. Negli anni successivi limitò le sue partecipazioni alle 500 miglia (Indy, Michigan e Pocono). Nel '91 non trovò un volante competitivo e per la prima volta dopo oltre vent'anni non partecipò a Indianapolis. L'anno successivo fu chiamato all'ultimo momento dal team Menard a sostituire Nelson Piquet rimasto gravemente ferito alle gambe in prova. Al non deluse e alla bella età di 53 anni arrivò addirittura terzo. Durante l'anno, fu richiamato da Penske per sostituire l'infortunato Mears a Nazareth, arrivando 12°. Nel '93 partecipò per l'ultima volta a Indianapolis, finendo ancora 12°. L'anno successivo ci provò ancora, ma ebbe un incidente in prova, che lo indusse il 17 maggio '94 a dichiarare il ritiro dalle competizioni, mentre 12 giorni dopo il figlio Al jr vinse la sua seconda Indy nel giorno del 55° compleanno del padre. Nel 1978 Al senior fu il primo pilota a vincere tutte le tre 500 miglia in calendario, Indy, Pocono e Ontario. E' anzi il pilota col maggior numero di vittorie in gare di 500 miglia (otto). E' il pilota che ha condotto in testa il maggior numero di giri nella Indy 500.
  8. Buongiorno a tutti Non sono stato molto attivo sul forum per tanto tempo ma avevo un buon motivo. Dopo aver aperto un paio di anni fa una discussione riguardante i team partecipanti alla 500 Miglia di Indianapolis e inclusi nel computo statistiche della storia della Formula 1 del decennio 1950-1960 durante il periodo della pandemia ho pensato di approfondire meglio l'argomento integrando e modificando i dati in mio possesso fino ad allora. Vista l'enorme quantità di dati e documentazione da reperire, ho ritenuto opportuno creare una pagina web apposita (sulla quale sto ancora lavorando) dove ho cercato di catalogare e sistemare tutte o quasi le voci riguardanti questo inusuale periodo storico che sia pur marginalmente ha toccato la Formula uno. http://formula1history.weebly.com/ Al momento è presente completa (o quasi) la sezione riguardante i teams partecipanti mentre è ancora in lavorazione la sezione dei costruttori. Ogni scheda dei teams è corredata da foto delle vetture e piloti, quasi tutte verificate e (cosa particolarmente impegnativa da realizzare ma a mio avviso, discretamente ben realizzata) la presenza dei loghi e sponsor dei team, quando non reperibili, realizzati da me sulla base delle documentazioni fotografiche dell'epoca. Spero che possiate apprezzare il lavoro realizzato e confido anche sulla vostra passione e competenza per segnalare eventuali refusi o inesattezze o integrare con ulteriori materiali e dati il lavoro fin qui svolto. Grazie per la vostra attenzione e cortesia Buona visione a tutti!
  9. leopnd

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  14. Penske fan

    Dario Franchitti

    Scusate ma non ce la facevo a metterlo tra i piloti del passato . Dario Franchitti nasce a Bathgate, vicino Edinburgo, il 19 maggio 1973 e come molti futuri colleghi ha le corse nel sangue. Suo padre George, titolare di un azienda produttrice di gelati, è anche un pilota amatoriale ed è spesso accompagnato in pista da Dario che, contagiato dal virus, si cimenta col kart a 10 anni e inizia subito a vincere, prima in Scozia e poi in tutta la Gran Bretagna. A 17 anni lascia la scuola, diventando il ragazzo di bottega del team di David Leslie, dove fa un po’ di tutto e impara molto sul mondo delle corse. Passa in monoposto nel 1991, col padre che ipoteca la casa di famiglia per trovare i finanziamenti per affrontare una stagione di F.Vauxhall Junior, in cui Dario vince subito il titolo. Nel 1992 passa al campionato principale di F.Vauxhall col team di Paul Stewart, dove incontra Sir. Jackie, che diventa un imprescindibile punto di riferimento. Dario chiude la prima stagione al quarto posto aggiudicandosi il McLaren/Autosport Young driver award, che lo aiuta a coprire il budget per la stagione successiva, in cui lo scozzese conquista il titolo. Economicamente sono comunque periodi di magra e quando non corre Dario è spesso impegnato come istruttore in scuole di guida veloce e nella consegna di auto per diverse concessionarie. Nel 1994 lo scozzese è promosso dal team Stewart in F.3 Inglese al fianco di Jan Magnussen. Forte di precedenti favorevoli con il danese Franchitti affronta con fiducia la stagione, vincendo la prima corsa. Nel resto del campionato però Magnussen è semplicemente inarrestabile, vince 14 corse su 18 aggiudicandosi il titolo con anticipo record. Per Dario è invece una stagione frustrante, con diversi problemi che ne frenano spesso la marcia. Conclude il campionato al quarto posto, perdendo in parte la fiducia della squadra. In difficoltà a trovare i fondi per affrontare un’altra stagione in F.3 o fare il passaggio in F.3000, la carriera di Dario è a un bivio, fino a quando una chiamata inaspettata porta a una enorme opportunità . Norbert Haug, direttore sportivo Mercedes, decide infatti di puntare sui giovani e ingaggia Franchitti in DTM e nella sua versione internazionale, l’ITC. Dario rischia di rovinare tutto al primo test con la nuova macchina, che distrugge alla prima presa di contatto tradito dalle gomme fredde. Si fa però perdonare alla prima corsa di Hockenheim, dove ottiene la pole. Nel 1995 è quinto in DTM con 4 podi mentre si classifica terzo nell’ITC, vincendo al Mugello. Nell’ 1996 l’ITC assorbe il DTM, dando vita a una serie stellare. Dario si mantiene per tutto il campionato nella parte alta della classifica grazie a un’ottima costanza di risultati. A fine stagione avrà messo insieme 8 podi, compresa la vittoria di Suzuka, una delle sue piste preferite con il Mugello. Questi risultati gli valgono il quarto posto finale. A Silverstone in Formula 3 nel 1994 Con la vittoria al Mugello nel 1995 Dario diventa, a 22 anni, il più giovane vincitore di sempre in DTM/ITC Prima corsa ITC ’96 a Hockenheim L’ITC dura solo un anno, ucciso dai suoi costi esorbitanti, ma Franchitti non è rimasto fermo. Già nella stagione precedente lo scozzese parla con Norbert Haug e Paul Morgan della possibilità di correre nella CART americana, in cui la Mercedes è entrata ufficialmente nel ‘94. A inizio ’97 Franchitti prova per la prima volta la Reynard-Mercedes del team di Carl Hogan. La prima presa di contatto è scioccante. Abituato a una macchina leggera, con relativamente poca deportanza e numerosi aiuti elettronici, Dario all’inizio fatica ad adattarsi a una vettura da 900 cv, oltre 700 kg e molto dura dal punto di vista fisico. Dopo qualche giorno comincia comunque ad ottenere ottimi riscontri, convincendo il team manager americano. Parallelamente ha la possibilità di svolgere il ruolo di collaudatore per la McLaren, che già aveva provato nel 1995. Ron Dennis propone allo scozzese un contratto a lungo termine lasciandogli la libertà di correre in America, con la vaga speranza di correre un giorno in F.1. Franchitti però rifiuta la proposta, che in realtà garantisce poco al suo futuro agonistico, concentrandosi sulla possibilità americana. La prima corsa CART a Homestead è difficile: Dario si qualifica bene, in quinta fila, ma in gara commette il classico errore da rookie, finendo nello sporco mentre viene doppiato da Andretti, andando a muro. L’avversario dello scozzese per il titolo di rookie of the year è Patrick Carpentier. Franchitti è quasi sempre il più veloce dei debuttanti, ma sfortuna ed errori gli impediscono non solo di ottenere grossi risultati, ma anche di chiudere nei punti con continuità . Dopo sei corse di apprendistato in cui racimola 3 punti a Surfers Paradise, a St Louis, la gara di casa del team Hogan, arriva la grande occasione. Dopo una partenza tranquilla a centro gruppo, una buona strategia lo porta in testa negli ultimi giri, prima che un problema al cambio lo metta fuori corsa. A Detroit Dario si qualifica quinto ma tampona Zanardi alla prima curva e un errore strategico lo estromette poi dalla lotta per la vittoria. A Portland è tra i più efficaci sul bagnato, lottando alla pari col pilota italiano, ma si ritira per un incidente evitabile con Unser. A Toronto arriva la prima pole con un’altra grandiosa prestazione in qualifica, vanificata però da un contatto alla prima curva con Bobby Rahal che lo spedisce a fondo gruppo, prima che un altro incidente lo elimini del tutto dalla corsa. L’ultima grande occasione arriva a Road America, dove Franchitti è ancora tra i più veloci sul bagnato, uscendo dai box dietro il leader Blundell dopo il primo turno di soste. Incredibilmente però rovina tutto dietro la pace car, perdendo il controllo della vettura all’uscita di curva 1 e centrando il muro. A fine stagione Dario può quindi contare su 10 miseri punti mentre Carpentier, mai veloce come lo scozzese anche a causa delle meno competitive gomme Goodyear, mette a segno due piazzamenti che sommati al secondo posto di St Louis gli garantiscono il titolo di rookie dell’anno. La velocità di Franchitti non è però passata inosservata e Barry Green, che sta rifondando la squadra campione nel ’95 con Villeneuve, propone allo scozzese un contratto per le stagioni successive. Il cambio di casacca manda su tutte le furie Carl Hogan, che appieda Dario per l’ultima corsa di Fontana, sostituendolo con Robby Gordon Piloti Mercedes nel 1997: Unser, Gugelmin, Tracy, Carpentier, Blundell, Moore e Dario A Laguna Seca davanti a De Ferran e Zanardi Nel 1998 Dario si afferma come top driver e potenziale candidato al titolo della serie CART. Il team Green schiera infatti due Reynard-Honda-Firestone che poco hanno da invidiare alle vetture gemelle del team Ganassi, dominatore degli ultimi campionati. Sulla carta il ruolo di Franchitti è quello di gregario della star del team, Paul Tracy, lasciato libero da Roger Penske a fine ’97. Fin da subito però Dario chiarisce il suo ruolo risultando immediatamente più competitivo del canadese, che vive una stagione piena di sfortune e incidenti. Dopo le corse difficili di Homestead e Motegi, a Long Beach lo scozzese rimane in zona vittoria per tutta la gara, ma nulla può per contenere la furiosa rimonta di Zanardi, che recupera un giro e con gomme più fresche brucia nel finale lui e Bryan Herta. Gli ovali successivi regalano poche soddisfazioni, eccezion fatta per l’ottimo quarto posto di Milwaukee. Quando inizia la stagione degli stradali Franchitti si inserisce definitivamente tra i protagonisti. A Detroit chiude quarto mentre a Portland domina la corsa, gettando tutto al vento quando spegne il motore durante una sosta, prima di essere eliminato da PJ Jones. àˆ però buon terzo a Cleveland e ottiene un’altra pole a Toronto, dove domina fino alle ultime battute quando il pedale del freno va a fondo mandandolo in testacoda e costringendolo al ritiro. Dopo il motore rotto di Michigan parte in prima fila a Mid Ohio, ma è eliminato in un contatto con Herta che coinvolge anche Vasser. Finalmente a Road America arriva il primo liberatorio successo. Dario supera Andretti durante un turno di soste e prende il largo, ripetendosi poi nell’appuntamento successivo di Vancouver, dove è un deciso sorpasso sullo stesso Andretti negli ultimi giri a garantirgli la vittoria. Dopo il quarto posto di Laguna Seca la corsa di Houston, flagellata dal maltempo, diventa un affare privato tra Franchitti e Tracy. In un estremo tentativo di sorpasso del canadese, le vetture del team Green entrano in contatto e il successivo scontro col muro costringe Tracy al ritiro, portando a un violento confronto ai box con l’esasperato Barry Green. A Surfers Paradise Dario riesce a soffiare la pole a Zanardi, ma i meccanici del team Ganassi restituiscono la testa al campione, che controlla la gara fino al traguardo. Nella seconda metà di campionato Franchitti è il pilota che ottiene più punti, ma un ritiro per problemi al motore nell’ultima corsa di Fontana e la contemporanea vittoria di Jimmy Vasser gli costano il secondo posto in classifica. Pole position a Toronto Station 5, prima vittoria a Road America Nel 1999 Franchitti è tra i più seri candidati al titolo con Moore, Vasser e Andretti. Nessuno può però prevedere l’impatto che avrà sul campionato il rookie Montoya, che prende il posto di Zanardi al team Ganassi. La corsa al titolo rimane molto aperta per metà stagione, ma dopo la corsa di Chicago Dario e Juan sono gli unici reali contendenti. Franchitti si dimostra molto competitivo nella corsa di apertura a Homestead, ma una tattica azzardata porta alla vittoria il suo grande amico Greg Moore, mentre Dario chiude terzo negli scarichi di Andretti. A Motegi lo scozzese però colpisce il muro e a Long Beach si scatena il ciclone Montoya. Dopo le avvisaglie del Giappone, il colombiano mette in mostra tutta la sua grinta e velocità sulle strade della California, passando in una ripartenza Franchitti e andando a vincere approfittando dell’errore del poleman Kanaan. Nelle corse successive di Nazareth e Rio il colombiano stupisce ancora di più, dominando alla grande i due difficili ovali. Franchitti è solo ottavo in Pennsylvania e chiude buon secondo in Brasile. A St Louis la tensione torna alle stelle nel team Green quando Franchitti tenta un difficile sorpasso su Tracy in curva 3. Il canadese non concede abbastanza spazio e il contatto che ne consegue manda in testacoda Dario e a muro Paul. Franchitti riesce comunque a raccogliere un eccellente terzo posto. Tracy si rifà tornando finalmente alla vittoria a Milwaukee, dove Franchitti è settimo. A Portland Dario ingaggia un lungo duello sui consumi con Montoya, che lo precede sul traguardo ma viene comunque battuto da De Ferran, su una strategia più aggressiva che gli impone di tirare al massimo ed effettuare un rabbocco nel finale. Montoya vince però la corsa successiva a Cleveland, mentre Franchitti si ferma bloccato dal motore. Road America segna una battuta d’arresto per entrambi: Dario prima va in testacoda e poi si ritira mentre Montoya domina a lungo ma nel finale resta senza marce. Il colombiano domina anche a Detroit ma un errore via radio di Chip Ganassi lo costringe a una strategia suicida. Viene poi eliminato da una tamponata di Castroneves, con Franchitti che arriva finalmente al successo, accorciando le distanze in campionato. Il contrattempo non scoraggia però Juan, che infila tre successi consecutivi che sembrano chiudere la contesa. A Mid Ohio Franchitti parte in pole e domina a lungo, perdendo però tutto il vantaggio a causa di una foratura lenta, con Montoya che supera alla grande Tracy e ha campo libero dopo l’ultima sosta. Nella corsa di casa Ganassi a Chicago Juan e Dario si scambiano a lungo la testa della corsa, transitando nell’ordine sul traguardo separati da Moreno, che inspiegabilmente non da strada a Franchitti A Vancouver, in una corsa difficilissima sul bagnato, i contendenti al titolo arrivano allo scontro diretto e Franchitti commette un errore clamoroso quando, nel tentativo di passare il colombiano, perde il controllo della vettura e finisce contro le gomme. Montoya, nonostante una corsa tutt’altro che entusiasmante, guadagna altri punti sul rivale a Laguna Seca, quando Franchitti si ritira dopo un contatto con Moore ed è ormai staccato di 28 lunghezze. Il campionato sembra finito, ma a Houston Montoya distrugge una sospensione colpendo la vettura ferma in pista di Castroneves. Franchitti invece perde numerose posizioni a causa di un treno di gomme difettoso, ma dopo le soste si produce in una esaltante rimonta che gli vale il secondo posto dietro Tracy. A Surfers Paradise Dario conquista la pole con 8 decimi di vantaggio su tutti, dominando la corsa. Montoya, dopo delle prove difficili, è bloccato al terzo posto dietro Fernandez fino a quando non perde incredibilmente il controllo della vettura, schiantandosi contro le gomme. La vittoria permette a Franchitti di presentarsi all’ultima corsa di Fontana con un vantaggio di 9 punti sul rivale. Dopo una stagione di lavoro perfetto della squadra però, lo scozzese perde due giri nella prima parte di gara a causa di un problema a un pit stop. Sul finale non può evitare un ultimo rabbocco e chiude al decimo posto, con Montoya che arrivando quarto raggiunge Dario in classifica e si aggiudica il titolo per il maggior numero di vittorie, 7 contro 3. La delusione per la sconfitta lascia però subito spazio al dolore per la scomparsa di Greg Moore, il miglior amico di Dario oltreoceano, vittima di un incidente delle cui conseguenze i piloti vengono tenuti all’oscuro fino alla bandiera a scacchi. Duello Franchitti-Montoya a Long Beach Contendenti al titolo 1999 Dario e l’amico Greg Moore Dopo un inverno difficile Dario torna alla guida della sua Reynard nel febbraio 2000 per i test pre stagionali a Homestead, in cui lo scozzese è vittima di un incidente tremendo, che lo porta a sbattere la testa contro il muro provocandogli un grave trauma cranico e diverse fratture al bacino. Le conseguenze dell’incidente, che per molto tempo incideranno su riposo e concentrazione, sono parte in causa delle prestazioni altalenanti di Franchitti nelle stagioni successive. Dario riesce comunque a prendere il via a Homestead, ma il 2000 è una stagione storta, in cui le sue imperfette condizioni fisiche si sommano a tante piccole sfortune ed errori che a fine stagione lo lasceranno senza vittorie, oltre a estrometterlo dalla lotta per il titolo. Il primo risultato di rilievo arriva a Motegi, con un secondo posto che risolleva un inizio di campionato pessimo. A Nazareth, come anche a Toronto, Houston e Surfers Paradise è coinvolto in un incidente al primo giro, mentre a Chicago si tocca ancora una volta con Tracy, che guida a lungo la classifica ma nelle ultime corse si deve arrendere a De Ferran. I migliori risultati per Dario sono due terzi posti a Michigan e Laguna Seca, mentre la piazza d’onore di Vancouver è la più amara delle delusioni. Il team Green domina il fine settimana e lo scozzese è determinato a onorare con un successo la corsa di casa di Greg Moore. Dario domina ma all’ultima sosta fa spegnere il motore, chiudendo secondo alle spalle di Tracy. La stagione si chiude con un ritiro a Fontana per rottura del motore e un 13° posto in classifica. In un test organizzato da Jackie Stewart, Franchitti prova a luglio la Jaguar F.1 a Silverstone. Il primo giorno Dario prende le misure alla vettura, fiducioso di poter esprimere il suo valore l’indomani. La vettura che però il team gli mette a disposizione è, a suo dire, diversa e molto più lenta, decretando il fallimento del test. Lo scozzese rimarrà sempre convinto che la squadra, dilaniata da lotte interne, lo abbia sabotato di proposito. A Detroit parte secondo con lo stesso tempo di Montoya. Chiude la corsa al quarto posto. Il negativo test con la Jaguar F.1
  15. sundance76

    Jules Goux

    Consiglio di scaricare questa prima parte relativa alla carriera di un grande pilota ormai dimenticato: https://www.vivagiuppone.com/downloads/Jules-Goux-Palmares-vol-1-1906-1914-[ver-1.1].pdf?fbclid=IwAR284dQIbzQiMQb5M3g5FXUOWlltAh3qARw_DneIDfXBIaw57yz_W7QUA4E
  16. leopnd

    Indycar - Indianapolis

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  20. sundance76

    Dario Resta

    Italiano di nascita, cittadino inglese, ebbe la consacrazione di campionissimo quando emigrò negli Stati Uniti. Un servizio di Umberto Cattani sul mensile "Epocauto" di giugno 2017.
  21. 3D per la 500 Miglia di Indianapolis 1958 http://www.passionea300allora.it/granpremi/500-miglia-di-indianapolis-1958
  22. Un servizio sul telaio 50007 dell'Alfa Romeo P3 che, ormai pensionata nei GP europei, gareggiò per vari anni a Indianapolis:
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