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Penske fan

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In questa intervista di Carlo Cavicchi pubblicata su AS n. 23 del 4 giugno 1991, all'indomani della sua quarta vittoria a Indy, Rick svela tutte le sue strategie per essere vincente, giro per giro, alla mitica 500 miglia. Credetemi, vale la pena di leggerlo e rileggerlo.

Fantastiche interviste, grazie mille. Questa di Indy '91 in particolare l'avevo già  letta perchè anni fa mi prestarono molti AS dell'epoca e sono contentissimo di ritrovarla qui ;)

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  • 4 months later...

Secondo l'albo d'oro Mears è il 3° pilota al mondo per titoli accumulati dopo Foyt e Schumacher!

 

A.J. Foyt (USA-TX): 7 titoli (USAC) – 1960, 1961, 1963, 1964, 1967, 1975, 1979

Michael Schumacher (D): 7 titoli (F1) – 1994, 1995, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004

Rick Mears (USA-KS): 6 titoli (3 CART) – 1979, 1981, 1982 – (3 USAC) – 1983/84, 1987/88, 1990/91

Juan Manuel Fangio (RA): 5 titoli (F1) – 1951, 1954, 1955, 1956, 1957

Mario Andretti (USA-PA/I): 5 titoli (3 USAC) – 1965, 1966, 1969 – (1 F1) – 1978 – (1 CART) – 1984

Emerson Fittipaldi (BR): 5 titoli (2 F1) – 1972, 1974 – (1 CART) – 1989 – (2 USAC) 1988/89, 1992/93

Bobby Rahal (USA-OH): 4 titoli (1 USAC) – 1985/86 – (3 CART) – 1986, 1987, 1992

Alain Prost (F): 4 titoli (F1) – 1985, 1986, 1989, 1993

Al Unser, Jr. (USA-NM): 4 titoli (2 CART) – 1990, 1994 – (2 USAC) – 1991/92, 1993/94

Sébastien Bourdais (F): 4 titoli (CCWS) – 2004, 2005, 2006, 2007

Dario Franchitti (GB): 4 titoli (IRL) – 2007, 2009, 2010, 2011

Sebastien Vettel (D): 4 titoli (F1) – 2010, 2011, 2012, 2013

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  • 4 months later...

"One of the things I always say is downforce to a driver is like money," Mears observes. "If you made $50,000 one year and then $100,000 the next year and you told me you were going to cut me back to $50,000 you would say that's impossible. I can't live on that little money. But if you have to, you discover that, you know what? It can be done. 

"I remember a few times in the CART days we would try running less downforce and the first few laps I didn't like it, but after I had run thirty or forty laps I liked it. I felt like I was driving the car again, like I had more input. 

"Then they would try it with some other drivers and right away some of them would say, 'You're trying to kill me!' So there were always arguments about taking off downforce and there always will be. 

"But eventually, it has to happen. I've said it for five or six years and I know others have said the same thing, and maybe one day some other people will wake up and say, 'You know what? Aerodynamics is the worst thing that ever happened to motor sports."

 

http://www.gordonkirby.com/categories/columns/theway/2015/the_way_it_is_no482.html

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  • 1 year later...
  • 11 months later...
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  • 6 months later...
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Ripristinati tutti i servizi giornalistici precedenti.

Qui invece ecco la trascrizione del servizio di AS del 4 giugno '91:

LA PARTENZA. «Prima del via, che avviene lanciato, ci sono due giri, chiamiamoli così, di riscaldamento. È questa la miglior occasione per saggiare la vettura e le condizioni della pista. A Indianapolis l’ultima volta che si ha l’occasione di girare sul circuito è il giovedì precedente la gara, in occasione del Carburation Day, e durante questa sosta le condizioni del fondo possono cambiare anche di molto. Perciò di rado la vettura risulta perfetta all’inizio della corsa. È importante rendersene conto in fretta e stabilire una prima strategia di gara. Così, se mi accorgo che tutto è perfetto, da un buon assetto a un’aerodinamica molto bilanciata, allora attacco subito, certo di poterlo fare senza prendere inutili rischi. Se poi scopro che anche altri avversari riescono a tenere il mio passo, lascio che siano loro a fare l’andatura badando soprattutto a mettere loro addosso molta pressione, standogli negli specchietti, costringendoli a far lavorare molto le loro gomme. Se, invece, la vettura non mi sembra molto a posto, cerco di seguire i primi sforzandomi di capire dov’è che vanno meglio e quindi quali modifiche apportare alla mia monoposto durante i pit stop (in media 7 o 8 durante la gara). Ultima ipotesi, il caso che la mia vettura sia veramente peggiore del previsto: beh, allora so che devo prepararmi a un vero e proprio combattimento. In questo caso non ci sono tattiche: ci si mette il coltello tra i denti e si cerca di non perdere il contatto con i più veloci, poi si vedrà».

I PRIMI GIRI. «Diversi piloti amano avere l’auto perfettamente a punto sin dal primo giro. Io non credo che sia necessario. Bisogna andare al 110% esclusivamente quando serve. Ne ho visti tanti gettare al vento questa corsa per essersi buttati piede giù appena partiti. Per me tutto questo non ha alcun senso. Perché rischiare una corsa solo per brillare nei primi 15 giri? Io considero la prima metà gara una sessione di test con molto traffico, curando di essere perfettamente a punto per la seconda metà. Mi sforzo di capire quali modifiche di assetto o di aerodinamica potrebbero avvantaggiarmi sia quando mi trovo con le gomme fresche e con il pieno, sia a gomme calde e poco carburante».

I CORRETTIVI. «Ci si deve fermare molte volte ai box durante la corsa, e ogni volta si riparte con il pieno e le gomme nuove. Ma in quei pochi secondi di sosta si può, e si deve, operare anche sull’assetto e sulle ali. Così, mano a mano che la corsa va avanti, si hanno idee sempre più chiare su quale sarà il bilanciamento ideale per l’ultimo tratto, quello decisivo. Occorre trovare il miglior compromesso per andare più forte sia con il pieno sia con la vettura più leggera. È indispensabile provare tutto questo nei vari tratti intermedi e non avere dubbi sulla soluzione da scegliere per la volata finale».

L’ULTIMA PARTE DI GARA. «È sperabile che per gli ultimi 20 o 30 giri si sia trovata la soluzione migliore per essere pronti alla sparata finale, ma bisogna aver le idee molto chiare su come potrà essere la volata decisiva. Mi spiego meglio: se durante la corsa ho visto che non ci sono grosse difficoltà a stare davanti agli altri, allora preparo l’auto con un assetto diciamo così, conservativo, che mi permetta di risparmiare le gomme e con un bilanciamento tale da rendermi la guida il più facile possibile. Ma se sono in piena bagarre con qualcuno, allora debbo rinunciare a qualcosa, prendermi dei rischi, assettare la monoposto affinché sia più veloce possibile. Quindi aumento il sovrasterzo anche se so che questo renderà la guida più pericolosa e farà consumare più le gomme. Ma quando è il momento di rischiare tutto, allora non ci vogliono mezze misure…».

LA VOLATA FINALE. «Quando si avvicinano gli ultimi 10 giri è il momento di essere chiari con se stessi: non si può barare. Bisogna essere preparati a sparare tutto, bisogna farsi molto aggressivi, intimidire gli avversari, infilare se serve il naso nei loro scarichi o mettere le ruote in mezzo alle loro. Debbono capire che tu sei disposto a tutto pur di aprirti la strada. Se ti temono, se sanno che non lascerai nulla d’intentato, hai già in tasca mezza vittoria».

Così come nell’88, in occasione della sua terza vittoria, anche nel ’91 Mears ha corso in maniera tatticamente perfetta. È stato in testa solo nei primi 12 giri e poi negli ultimi 12. «È un modo di vincere che mi dà proprio soddisfazione – ha commentato dopo la quarta affermazione a Indy – perché so che la vittoria me la sono davvero guadagnata».

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  • 5 months later...
  • 1 month later...

Col senno di poi, peccato solo che abbia deciso di ritirarsi alla vigilia di due annate molto proficue per il team Penske come il 1993 e 1994. Magari la quinta vittoria a Indianapolis non sarebbe stata impossibile (in quei due anni infatti la Indy 500 la vinsero i piloti Penske, cioè Fittipaldi e Unser jr)

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  • 4 months later...
  • 3 weeks later...

"Non ricordo molto le statistiche, è sufficiente consultare i libri o il web. Tuttavia di recente mi è capitato di dare un'occhiata ai miei risultati per un libro che dovevamo fare per la Penske, e mentre ripercorrevamo la mia biografia, una delle PR mi disse: "Signor Mears, lo sapeva che nelle sue 15 apparizioni a Indianapolis ha ottenuto la prima fila per 11 volte?". Allora ho pensato: "Wow, non ci avevo mai fatto caso". Ed è questo il genere di statistica che mi piace, perché mostra una continuità che è sempre stata il mio obiettivo, significa che eravamo quasi sempre a giocarci la vittoria".

(Rick Mears)

SIX POLE.jpg

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  • 1 month later...
OVALI E STRADALI
 
"Le Indycar sembravano fatte apposta per me, e più la pista era veloce, più pareva tagliata per il mio naturale stile di guida. Su quelle più lente dovevo imparare. Dovetti lavorarci. I circuiti che mi davano più problemi erano quelli stradali perché devi avere una presa sicura sul volante, devi sballottare la macchina qua e là, devi maltrattarla. Io ho avuto sempre la tendenza a guidare in punta di dita, non con il palmo delle mani. Era perfetto su uno speedway perché sei più delicato, più puoi avvicinarti al limite senza superarlo. [..]
Non era una questione di pensare alle conseguenze di un incidente. Ero molto meno preoccupato dal dolore sui circuiti stradali che sugli speedway. Quello che cambiava era lo stile di guida. Dovevi maltrattare davvero la macchina. Sui circuiti stradali c'è molto più spazio per gli errori. Quando scendi da una macchina su un circuito stradale sei fisicamente provato. Quando scendi da una macchina su uno speedway sei mentalmente provato, perché non c'è spazio per gli errori e trattieni il respiro a ogni curva, a ogni giro. Potevo togliere il due o il tre per cento senza che fosse un problema. Ma se vuoi correre veloce, devi andare al limite, devi uscire dalla scia giusta, devi liberare la potenza ed essere pronto a farlo in ogni istante. In pratica è come se ti qualificassi a ogni giro. Questa sensazione e la consapevolezza che se commetti un errore sarà devastante... è mentalmente stancante.
Invece sugli stradali è meglio. La differenza per me è era che dovevo essere più attivo in macchina. Ero abituato a cercare di fare tutto con grande delicatezza, in maniera precisa, lieve, mentre sulle strade dovevo imparare a darci dentro. Dovevo imparare a maltrattare la macchina, ma anche a lasciarla andare. Puoi prendere una curva troppo stretta, aspettare che sbandi e riprenderla. Su un circuito stradale guidi di riflesso. Su uno speedway devi imparare a cogliere la sensazione che la macchina ti dà poco prima che succeda, perché se aspetti dopo che è successo, è troppo tardi".
 
(Rick Mears)
 
Nella foto, Laguna Seca, ultima gara Indycar '89. Rick Mears con la Penske coglie la sua 26ma vittoria, ed è vice-campione dietro Fittipaldi. Per Rick è la prima vittoria su uno stradale dopo il grave incidente di Sanair '84. Con questa affermazione, Mears diventa il pilota Indycar più vincente degli anni '80, con 20 vittorie.

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  • 4 months later...
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RICK MEARS: LA CORSA DELLA MIA VITA

Immagino che la 500 Miglia di Indianapolis nel 1982 sarebbe stata la più gratificante se l'avessi vinta, ma non l'ho fatto. Poi c'è stato Pocono nel 1985, quando la squadra è dovuta tornare a usare la March dopo che abbiamo avuto problemi con la nuova Penske, e anche perché è stata la prima gara che ho vinto dopo essermi rotto i piedi a Sanair nel 1984. È stata una bella gara e l'abbiamo vinta meritatamente. Ha significato molto per me e per la squadra.

Ma è noto che ho sempre detto che non ho mai avuto sogni o ambizioni di vincere la Indy 500, e nemmeno di correre con una Indycar o qualcosa del genere. Mi sono sempre concentrato su quello che stavo facendo oggi. Fai del tuo meglio per fare quello che stai facendo, e il resto verrà.

Se mai ho avuto un sogno nelle corse, è stato quello di vincere una gara superando uno dei migliori piloti - con qualsiasi tipo di macchina stavo correndo - all'ultima curva dell'ultimo giro. È stato un sogno che ho fatto molte volte, e c'è stata una gara Indycar, a Michigan nel 1981, dove è successo.

Era una gara di 150 miglia e ho superato Mario Andretti all'ultimo giro andando a vincere, proprio come avevo sognato. Abbiamo fatto una bella gara e lui era un mio eroe – voglio dire, si tratta di Mario Andretti! C'era un ragazzo da battere all'ultimo giro!

Fu una gara dura. Penso che Johnny Rutherford fosse molto a punto con la Chaparral e Tom Sneva era molto veloce su una delle prime March per la Indycar. Avevo alcune cose sul set-up della macchina che mi hanno aiutato. Non sono nemmeno sicuro che il mio compagno di squadra Bobby Unser sapesse dell'assetto che avevo.

Abbiamo scoperto qualcosa con quella macchina particolare, che la faceva funzionare davvero bene sulla parte bassa della pista, e che è stata la cosa importante che ha portato alla vittoria. E questa è un'altra parte della vittoria di quella gara che è stata gratificante. C’erano dei ragazzi intelligenti come Bobby con la stessa macchina, e abbiamo trovato un modo per batterli.

Era il classico tipo di gara che mi piace correre. Durante la prima parte ci siamo semplicemente trattenuti, ce la siamo presa con calma, abbiamo apportato un paio di regolazioni ai box quando era necessario e poi abbiamo aspettato la fine della gara.

Come si è scoperto, dal pit stop precedente avevo notato che la macchina di Mario andava meglio a pieno carico della mia. La sua era migliore a pieno carico, ma la mia macchina era migliore quando eravamo entrambi a serbatoi vuoti. Quindi questa fu un'altra ragione per cui non mi sono impegnato realmente a provare un attacco prima della fine della gara.

Ero in grado di competere con lui e potevo vedere giro dopo giro che il distacco era minimo. Quindi ho continuato a seguirlo da vicino. Non volevo correre nella parte bassa della pista e mostrargli quanto funzionava bene la mia macchina laggiù, quindi sono rimasto un po' più in alto sulla pista di quanto sarebbe stato meglio. Ma l'auto funzionava così bene che ho potuto cambiare schema e non è stato un problema.

Lo raggiungemmo a circa cinque o sei giri dalla fine e abbiamo continuato a lavorare su di lui e ad aspettare l'occasione per provare un attacco in uscita di curva. A quanto pare non ho davvero ottenuto quel vantaggio fino all'ultimo giro.

Sono riuscito a portargli un attacco alla curva 3 e lui mi ha visto arrivare e ha cercato di correre su una linea più stretta del normale. Quando l'ha fatto, la sua macchina si è scomposta un po'. Quando è successo, ha dovuto allargare sulla parte alta della pista e ciò ha lasciato la porta aperta per me. Sono sceso nella parte bassa della pista e la macchina ha funzionato davvero bene.

Non ricordo esattamente dove l’ho staccato. Era da qualche parte tra la curva 4 e metà del traguardo. Ricordo che lui parlò di un problema alla paratia del suo alettone come la ragione per cui aveva perso all’ultimo giro. Ma non era questo il motivo.

Ricordo di aver guardato la paratia dell’ala. Si stava staccando, e io la stavo guardando, aspettando che cadesse, sperando che quando fosse successo non mi avrebbe colpito. Ma non era questo il motivo per cui l'auto gli si era scomposta. La mia macchina funzionava meglio sulla parte bassa della pista e quando ha provato a chiudere la porta, la paratia si è semplicemente allentata.

(Intervista di Gordon Kirby per Autosport)

 

Michigan 150 - 1981.jpg

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