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  1. leopnd

    John Surtees

    E' morto John Surtees... È stato l'unico pilota della storia ad aver conquistato il titolo iridato sia nelle moto che in F1...
  2. Comincia domani la seconda ed ultima tornata di test collettivi a Barcellona. Si ripeterà il copione della scorsa settimana, con l'ultimo giorno dedicato alle gomme da bagnato se non dovesse piovere prima. La line-up dei quattro giorni non è ancora del tutto completa, quindi verrà postata a tempo debito. Tornerà in pista Wehrlein dopo l'incidente alla Race of Champions, pare che il tedeschino abbia addirittura accelerato i tempi per non rischiare di farsi "superare" da Giovinazzi, vedremo in che condizioni sarà. Sbizzarritevi con le vostre opinioni: usciranno tutti allo scoperto o qualcuno rimarrà ancora nell'ombra? Ferrari confermerà di essersi effettivamente avvicinata a Mercedes, come dimostrato settimana scorsa, o gli anglo-tedeschi ricacceranno tutti indietro? Red Bull ha dato il 100% nei primi quattro giorni o si è nascosta? Conosceremo qualche nuovo outsider? A voi la parola...
  3. Esaurite le presentazioni delle vetture, domani finalmente si comincia con i test. Vedremo già qualcosa di interessante o le squadre si nasconderanno in prevalenza? Ecco i piloti che gireranno nei quattro giorni. Ci sarà, come noto, anche Antonio Giovinazzi al posto dell'infortunato Pascal Wehrlein.
  4. Samurai

    Haas VF-17 (2017)

    Eccola!
  5. giovanesaggio

    Ferrari SF70-H (2017)

    Discussione per le Ferrari 2017. @alessandrosecchi il nome non è giusto ovviamente, ma credo che fai poi prima a cambiare il titolo che a spostare tutti i i messaggi sparsi per il forum:P
  6. leopnd

    Satoru Nakajima

    In Formula 1 hanno corso tanti piloti giapponesi. Il primo a disputare una stagione intera è stato Satoru Nakajima, un simbolo per il motorsport nipponico che nonostante non sia mai riuscito a salire sul podio (a differenza di Suzuki, Sato e Kobayashi) ha scritto, a modo suo, un pezzo di storia della Formula 1. Nakajima in patria era un autentico idolo e più di un videogioco, negli anni Ottanta, ha preso il suo nome. Nakajima nasce il 23 febbraio 1953. Per un decennio guida nella Super Formula Giapponese e vince ben cinque volte. La Honda lo vuole in Formula 1, dove arriva nel 1987. Satoru si fa ammirare anche per i suoi modi gentili, letteralmente è un gran signore. La sua prima scuderia è la Lotus, il suo compagno di squadra è Ayrton Senna. Il debutto nel circus arriva addirittura a 34 anni! All’esordio in Brasile è settimo, poi conquista punti in San Marino e in Belgio. A Silverstone è quarto. Chiude il campionato con sette punti. Con la Lotus guida per altre due stagioni in cui raccoglie appena quattro punti. Nakajima continua la sua carriera con la Tyrrell con cui firma un contratto biennale. Il 1990 inizia con un punto conquistato negli Stati Uniti, è sesto anche a Monza e Suzuka. Mentre nel 1991 si conferma a suo agio a Phoenix dove conquista i primi punti del campionato, che sono poi pure gli ultimi della sua carriera. Dopo il ritiro della Formula 1 il nipponico rimane nell’ambiente e fonda la Nakajima Racing, con cui si è tolto parecchie soddisfazioni in Formula Nippon, con cui da patron ha visto trionfare più volte i suoi piloti. E soprattutto Satoru ha seguito il figlio Kazuki in Formula 1, che anche grazie all’aiuto della Toyota ha trovato un contratto con la Williams. Dopo aver esordito in Brasile, come papà Satoru, Kazuki disputa un’annata buona nel 2008, mentre nel campionato successivo resta a secco. La sua carriera nel circus finisce presto, ma quella nel motorsport prosegue anche con discreti risultati...
  7. leopnd

    Peter Gethin

    Peter Gethin ha avuto un giorno di gloria vera. Un giorno soltanto, quello del settembre 1971 che lo ha visto passare per primo sulla linea d’arrivo del Gran Premio d’Italia a Monza. Primo per una decina di centimetri davanti al francese François Cévert, allo svedese Ronnie Peterson, dopo una volata inverosimile. Erano in quattro a battersi per la vittoria, ruota a ruota. Lui, Peter Gethin, era staccato di qualche centinaio di metri ed al massimo avrebbe potuto essere quinto. Non sperava altro, e non poteva sperare altro. Dal gruppetto dei quattro si staccava, a pochi giri dalla fine, quel Chris Amon che forse poteva avere in quella giornata la sua prima vittoria. Amon aveva tolto con la mano la prima delle due visiere che i piloti portavano doppie per poterne eliminare una quando fosse stata troppo sporca di olio e polvere; il gesto però faceva volar via anche la seconda. Rimasto senza protezione agli occhi, Amon doveva rallentare e si poneva tra il gruppetto di testa e Gethin, che era solo. La scia della Matra di Amon «aspirava» la BRM di Gethin, che così guadagnava qualche decina di metri sui primi. Poi era la volta dello svizzero Jo Siffert a staccarsi dal gruppetto, ed a ripetere involontariamente l’aiuto a Gethin, che arrivava quasi a ridosso dei primi. Al penultimo passaggio erano le scie di Cévert e Peterson a risucchiare la BRM. E sulla linea del traguardo, stupefacendo tutti, lui compreso, Gethin riusciva a mettere le sue ruote un pelino davanti a tutti. Quella vittoria, che è rimasta nelle statistiche, ha dato a Gethin una gloria che pur essendo rimasta effimera lo aiutava a mantenersi tra la gente della Formula 1 dove era approdato un po’ a caso. Figlio primogenito del popolare fantino inglese Ken Gethin, Peter Kenneth nasce a Ewell, nel Surrey, il 21 febbraio 1940. Non è mai stato quel che si dice uno studente modello. Lasciata presto la scuola, entrava come venditore e dimostratore presso l’azienda del concessionario Ford del suo villaggio. Inizia la sua Carriera nel Mondo dell’Automobilismo giovanissimo al volante di una Lotus Seven, la macchina allora ideale per le corse dei dilettanti, e successivamente nella Formula 3 Junior inglese con una vecchia Lotus 22. Nel 1966 passa a una Squadra meglio attrezzata, dotata di monoposto di produzione Brabham, e i suoi risultati sono migliori. Grande pilota non lo è mai stato, pur se il suo libro d’oro è pieno di successi. Ha vinto tantissime corse delle formule minori, ed il suo nome è stato ripetuto tante volte grazie al campionato della Formula 5000, una categoria di macchine che era stata ideata dagli impresari inglesi ed americani per offrire spettacoli che potessero passare bene quali surrogati della Formula 1. Macchine e monoposto dotate di potenza abbastanza elevata, ma con motori da 5000 cc derivati dalla serie, motori che costavano poco e duravano. In Inghilterra le corse della Formula 5000 avevano preso piede, e chi aveva una macchina decente poteva ben figurare. La McLaren aveva costruito una macchina un poco migliore delle altre, e Gethin spadroneggiava. Era il suo regno, quello, e vi si trovava bene. Aveva vinto il campionato americano, nel 1969, e quello inglese nel 1970, anno durante il quale correva anche con le macchine della serie Can-Am, mostri dotati di tanta potenza. Alla McLaren, purtroppo, il 1970 era stato un anno disastroso. Bruce McLaren moriva provando sulla pista di Goodwood, in un’uscita di strada che è rimasta mai spiegata. E nelle prove per la 500 Miglia di Indianapolis il neozelandese Dennis Hulme si bruciava le mani. Occorreva un pilota per guidare la vettura di Formula 1, accanto a Dan Gurney, ed era Gethin ad essere chiamato. Peter Gethin debutta in Formula 1 al Gran Premio d’Olanda 1970, disputato sul circuito di Zandvoort, al volante di una McLaren-Ford M14A ufficiale. Con la monoposto inglese, Gethin disputa la seconda parte del Campionato di Formula 1 1970 senza ottenere grandi risultati. A Mont Tremblant, in Canada, il pilota inglese conquista i suoi primi punti iridati giungendo sesto al traguardo. Faceva il suo dovere onestamente, ma senza gran luce. L’anno successivo corse a fianco del pilota neozelandese Denis Hulme al volante della nuova monoposto siglata McLaren-Ford M19A. Ma ancora una volta i risultati si fanno attendere, e mentre Hulme fece segnare buone prestazioni in gara, Gethin continua la Stagione in un lungo calvario segnato da guasti sulla monoposto e incidenti. Fino a che, a metà stagione, alla McLaren decidevano di cambiare i loro programmi. Gethin era stato nel frattempo avvicinato dalla BRM, per la Stagione 1972, ma la politica nuova della McLaren faceva accelerare le trattative. E dal Gran Premio d’Austria Gethin era al volante della BRM. La vittoria di Monza era seguita, qualche mese dopo, da quella nella gara fuori Campionato di Brands Hatch, una corsa convulsa ed interrotta dal grave incidente che costava la vita a Jo Siffert, suo capofila alla BRM. Nel 1972 Gethin trascorre un’ultima Stagione con il Team BRM. Cedimenti meccanici, squalifiche e incidenti lo relegarono in posizioni di rincalzo. Colpa principalmente della monoposto: la BRM P160C consentì solamente al pilota francese Jean-Pierre Beltoise di aggiudicarsi una vittoria al Gran Premio di Monaco. Se si esclude l’eccellente prestazione in Qualifica a Montecarlo, la Stagione di Gethin fu letteralmente un disastro. Riuscì ad agguantare un punticino iridato sempre a Monza dove giunse sesto al traguardo. Qualche buon risultato gli veniva dalla Formula 2 (vittoria a Pau davanti al francese Patrick Depailler) e dalla Formula 5000 alla quale era tornato. Riusciva a vincere, a Brands Hatch, la Corsa dei Campioni, appunto con la Formula 5000, precedendo anche macchine della Formula 1, pur se occorre dire che l’opposizione non era tanto forte. Continuava poi a correre con la Formula 5000 e con le Can-Am, ed aveva una sola ulteriore occasione di salire su una Formula 1, nel Gran Premio di Gran Bretagna del 1974, dove si era vista affidare una macchina della squadra Lola-Embassy diretta dal due volte Campione del Mondo Graham Hill. Ancora qualche gara nel 1977, con la Scuderia del belga conte Van der Straaten e infine la decisione di ritirarsi completamente, pur rimanendo nel mondo delle corse in altre forme. Peter Gethin venne coinvolto più tardi prima nella direzione sportiva della Squadra di Formula 2 del pilota Beppe Gabbiani e più tardi nel Team Toleman di Formula 1 nella Stagione 1984. Dopo, Peter Gethin è pilota istruttore sul vecchio circuito inglese di Goodwood e partecipa ad alcune manifestazioni di auto storiche in Inghilterra. È scomparso nel 2011. all'età di 71 anni dopo una lunga malattia.
  8. Ciao ragazzi volevo farvi conoscere questo video tributo su tutti i piloti della f1 morti in una gara ufficiale (mancano alcuni nomi perchè sono morti in altre gare) Secondo me è molto ben fatto, per non dimenticare! https://youtu.be/TXKtkCtXyKQ
  9. leopnd

    Benetton B186

  10. leopnd

    Jo Bonnier

    Joakim Bonnier, detto "Jo", nacque il 31 gennaio 1930 a Stoccolma in Svezia. Figlio di un professore di genetica, era molto colto (conosceva sei lingue) e raffinato, iniziò la carriera nel 1948 correndo nei rally e nelle gare sul ghiaccio. Dopo aver fatto una prima esperienza nella categoria sport con un Alfa Romeo "Disco Volante", nel 1956 debuttò in Formula 1 pilotando, al GP d'Italia, una Maserati 250 F da lui stesso acquistata. Dal 1956 al 1971 Bonnier partecipò a 104 Gran Premi pilotando vetture di varie marche: Maserati, BRM, Porsche, Cooper, Brabham, Honda, Lotus, McLaren. Riuscì anche a vincere un GP valido per il mondiale, nel 1959, a Zandvoort. Quella fu la prima vittoria di un pilota svedese, ed anche la prima vittoria della squadra BRM, nel campionato mondiale di F1. Le più grandi soddisfazioni però Bonnier le colse nelle gare di durata. Nel 1960 e nel 1963 vinse la Targa Florio con la Porsche. Nel 1962 vinse la 12 ore di Sebring con la Ferrari. Nel 1964 si aggiudicò la 12 ore di Reims e la 1000 Km di Parigi sempre con una Ferrari. Nel 1966 regalò alla Chaparral la prima vittoria in una gara di endurance conquistando la 1000 Km del Nurburgring. Nel 1967-1968 si aggiudica alcune gare minori. Nel 1969 arrivò secondo alla 1000 Km d'Austria con una Lola T70. Bonnier si allontanò progressivamente dalle gare anche perché aveva fondato, diventandone presidente, l'Associazione dei Piloti di Gran Premio (Grand Prix Driver's Association). In questo periodo Bonnier si impegnò con i proprietari dei circuiti per incrementare le misure di sicurezza al fine di salvaguardare i piloti. Sposato, con due figli, viveva a Losanna dove aveva anche una galleria d'arte. Nel 1970 si dedicò a correre solo il campionato europeo Marche 2 litri che si aggiudicò con una Lola-Ford. L'anno successivo, oltre ad aver partecipato a quattro GP di F1, Bonnier vinse la 1000 Km di Barcellona ed arrivò nuovamente sul podio alla Targa Florio. Nel 1972 la sua ultima vittoria: una gara minore, La 4 ore di Le Mans. L'11 giugno dello stesso anno, proprio a Le Mans, durante la prestigiosa 24 ore, Jo Bonnier uscì di strada con la sua Lola perdendo la vita a soli 42 anni.
  11. Andrea Gardenal

    F1 in TV 2017

    Apriamo il topic con una notizia molto triste
  12. 3d per il Gran Premio di Gran Bretagna 2017
  13. 3d per Radio Paddock del mese di Dicembre 2016
  14. Ayrton4ever

    Le pagelle 2016

    Dopo aver inventato il gioco "Il duello", poi ripreso, che rappresenta l'inizio della stagione, mi sembra doveroso proporre, a chiusura dell'anno, le classiche pagelle. Dite pure la vostra, io intanto... ci penso!
  15. leopnd

    Patrick Depailler

    Se nasci negli anni '40 a Clermont Ferrand in Francia hai una possibilità su tre di finire a lavorare alla Michelin (30mila addetti in città su circa 100mila abitanti negli anni 60), la seconda è quella di diventare un rispettabilissimo "signorqualunque" come in tanti altri posti, mentre la terza te la puoi giocare sulla terribile Charade, conosciuta anche come il Nurburgring dell'Auvergne, 8km di tormento alle pendici del vulcano Puy-de-Dome, 800m sul livello del mare, Patrick Depailler, classe 1944, ha deciso di giocarsi la possibilità n.3. Il demone della velocità lo cattura da giovane e lo scaraventa sulla pista di casa con le due ruote. Il passaggio alle quattro è rapido, se a convincerti è uno come Beltoise, così come veloce è la firma sul contratto con l'Alpine, una grande scuola da corsa dove ti insegnano a guidare di tutto (monoposto, endurance, rally, turismo...). Grazie a questa fantastico training, ai soldi della ELF che investe sui giovani transalpini e ad un talento non comune, ben presto Depailler comincia vincere. Tra il ’70 e il ’74 conquista un Tour de France Auto navigato da un tale Jean Todt (uno che avrebbe fatto carriera), il campionato francese di Formula 3 e l’europeo di Formula 2 che gli apre le porte della massima categoria. Patrick è veloce, terribilmente spettacolare e sa mettere a punto le macchine. E’ certamente un po' matto, ma con un piede pesantissimo. Va forte Depailler, molto forte. Il problema è che lo fa con tutto: auto, moto (pista o fuoristrada che sia), deltaplano... Depailler entra stabilmente nel Circus dal '74 (rinuncia alle ultime gare del ‘73 per le fratture rimediate con la moto da fuoristrada) e corre in tutto 95 GP. Fino al ’78 anni si cala nell’abitacolo del boscaiolo Ken Tyrrell (orfano del divino Stewart e del povero suo erede designato Cevert). Passa poi con Guy Ligier in un team tutto francese (i due avevano già corso assieme a Le Mans). Il palmares di Depailler non è ricco considerando i soli numeri, ma lo spettacolo offerto alla guida è di primissimo livello. 19 podi in totale con 2 vittorie: la danza di Monaco ‘78 con la Tyrrell 008 e poi Spagna ’79 a Jarama con la Ligier Js11. L’anno buono per il mondiale sembra essere il 1979. La Ligier va forte e Depailler con il compagno Lafitte vola. Il problema del trentacinquenne di Clermont è proprio il volo, ma quello con il deltaplano. La sua grande passione (assieme al motocross) gli costa uno schianto tremendo contro una parete rocciosa e mesi di ospedale per le fratture multiple alle gambe. Ovviamente il mondiale del ‘79 è perso (saranno Scheckter e Gilles a giocarselo) e come se non bastasse Guy Ligier lo licenzia per giusta causa: i suoi piloti da contratto non possono praticare sport pericolosi (come se la F1, negli anni 70 per giunta, fosse il Burraco). Un sedile per il 1980 al claudicante Depailler lo offre l’ing. Chiti che ha bisogno di un pilota forte e che sappia collaudare una macchina, tutta da sviluppare, come l’Alfa Romeo 179 con la quale la casa del Portello spera di ritornare ai fasti delle Alfetta bi-campioni del mondo nel 50/51. La 179 ha del potenziale ma sembra pericolosamente incline alle rotture meccaniche e con l’effettuo suolo non si scherza. Il 1° agosto 1980 il team si presenta ai test privati sul velocissimo (allora) Hockenheimring. L’Autodelta deve far progredire la macchina. Alle 11:53 però qualcosa va storto, forse cede una sospensione o una minigonna. L’Alfa 179 vola fuori alla Ostkurve a oltre 250. La vettura si accartoccia sul rail tranciandosi in due. Nulla da fare per Depailler, troppo gravi le ferite riportate. Questa volta il deltaplanista di Clermont non ce la fa.
  16. Andrea Gardenal

    Chris Amon

    Brutta notizia http://www.radionz.co.nz/news/sport/310079/nz-motorsport-legend-chris-amon-dead-aged-73
  17. leopnd

    Mike Hailwood

    Poteva andare comodamente anche nella sezione Drivers del automobilismo, ma tant'e'... Stanley Michael Bailey Hailwood (Great Milton, 2 aprile 1940 – Birmingham, 23 marzo 1981) è stato un pilota motociclistico e pilota automobilistico britannico. Soprannominato "Mike the Bike" per la sua innata predisposizione alla guida di motoveicoli è annoverato tra i più grandi campioni del motociclismo sportivo di tutti i tempi. Successivamente è passato alle quattro ruote disputando 49 Gran Premi in Formula 1, diventando uno dei pochi uomini in grado di competere nelle serie maggiori sia su moto che in auto. Figlio di Stan Hailwood, il più importante commerciante inglese di motociclette dell'epoca, imparò a guidare in un campo di 8 acri vicino a casa e tracciò una pista ovale causata dal continuo girare. Frequentò il Pangbourne College, ma lo lasciò presto e lavorò per breve tempo nell'azienda di famiglia prima che suo padre lo mandasse a lavorare presso la Triumph Motorcycles. Sposò la coetanea attrice e modella Pauline Barbara Nash, l'11 giugno del 1975, con la quale ebbe due figli. Morì, pochi giorni prima di compiere il quarantunesimo anno di età, a causa di un incidente stradale che coinvolse la sua Rover 3500 e un camion, mentre si recava con i figli a comprare fish and chips per cena. Nel sinistro perse la vita sua figlia Michelle, mentre il figlio David riportò solo lievi ferite. Hailwood spirò 40 ore dopo al Birmingham Accident Hospital e dopo i funerali venne sepolto, con la figlia, nel cimitero parrocchiale di Santa Maria Maddalena a Tanworth-in-Arden, nel Warwickshire. Al suo attivo conta 76 vittorie in motomondiale che lo collocano ai primissimi posti nella classifica dei piloti più vittoriosi. Vinse 9 titoli mondiali: 4 nella classe 500, 2 nella 350 e 3 nella 250. Hailwood corse la sua prima gara il 22 aprile 1957, a Oulton Park, in sella ad una MV Agusta 125 Monoalbero Corsa. Appena diciassettenne, si piazzò all'11º posto, ma cominciò presto a vincere. Così nel 1961, Hailwood iniziò a correre per una poco conosciuta casa giapponese, la Honda. Correndo con una Honda quadricilindrica a quattro tempi da 250 cm³, Hailwood vinse il mondiale classe 250 del 1961. L'anno successivo, Hailwood si legò alla MV Agusta e divenne il primo motociclista a vincere 4 campionati consecutivi del mondiale classe 500. Dopo questi successi con la MV Agusta, Hailwood tornò alla Honda e vinse 4 titoli mondiali nel 1966 e nel 1967 nelle categorie 250 cm³ e 350 cm³. Ma Hailwood è forse più noto per le sue prestazioni al rinomato Tourist Trophy dell'Isola di Man. Dal 1967 ha trionfato 14 volte sul circuito del Mountain, considerata la gara motociclistica più celebre e pericolosa del mondo, dove ingaggiò epiche sfide con l'acerrimo rivale Giacomo Agostini, scrivendo tra le più belle pagine nella storia del motociclismo sportivo. Nel 1968 la Honda si ritirò dai Grand Prix, ma pagò Hailwood per rimanere in aspettativa nell'attesa che la Honda ritornasse alle corse. Ma Hailwood non tornò più alle gare motociclistiche a tempo pieno, avendo scelto di proseguire la sua carriera sportiva nell'automobilismo, fino al 1978, quando tornò al Tourist Trophy. Vinse la TT F1 in sella ad una Ducati e si ripeté nel 1979 vincendo il Senior TT con una Suzuki. La carriera di Hailwood sulle quattro ruote non ebbe gli stessi successi di quella motociclistica, ma fu comunque caratterizzata da alcuni risultati di tutto rilievo. Oltre alla Formula 1, la sua attività cominciò con le formule minori, dove vinse il Titolo Europeo di Formula 2 nel 1972, e si estese alle gare di vetture sport, ottenendo un podio alla 24 Ore di Le Mans. Disputò 50 Gran Premi nella massima serie, a partire dal Gran Premio di Gran Bretagna del 1963. La sua carriera automobilistica terminò in seguito alle ferite riportate in un incidente sul circuito del Nürburgring, al Gran Premio di Germania del 1974. Negli anni sessanta la sua partecipazione fu sporadica, tranne un impegno continuato nel 1964, ma fu a partire dalla fine della stagione 1971 che cominciò la partecipazione in pianta stabile, con la Surtees. Nel 1972, sempre con la Surtees, ottenne il secondo posto al Gran Premio d'Italia, che rimase il suo miglior risultato in carriera, e giunse ottavo in campionato. Dopo un 1973 avaro di risultati, passò alla McLaren per il 1974, andando a punti quattro volte, compreso un podio, fino al momento dell'incidente che lo costrinse al ritiro. Il momento probabilmente più significativo della sua carriera automobilistica rimase comunque legato ad un incidente: nel corso del Gran Premio del Sud Africa 1973, entrò in collisione con Clay Regazzoni, e le due vetture finirono fuori pista, incendiandosi. Mentre Hailwood riuscì ad uscire dalla sua vettura, Regazzoni rimase all'interno della propria, svenuto e bloccato dalle cinture. Il pilota inglese quindi tornò tra i rottami incendiati per liberare il collega dalle cinture di sicurezza e portarlo al sicuro fuori dalla vettura. Per il coraggio dimostrato, gli venne attribuita la medaglia di Re Giorgio, la seconda più importante decorazione al valore civile del Regno Unito e del Commonwealth.
  18. leopnd

    John Love

    John Maxwell Lineham Love, nato a Bulawayo il 7 dicembre 1924. è stato un pilota automobilistico zimbabwese. Dopo aver cominciato a correre nella natia Rhodesia, Love si trasferì in Europa nei primi anni sessanta a correre per la squadra di Formula Junior di Ken Tyrrell, ma per vari motivi (tra cui un incidente) non riuscì ad ottenere grandi risultati nelle gare di Formula 1. Si impose però nel 1962 nel campionato turismo britannico. Ritornò allora in Sudafrica dove si dedicò alle gare di Formula 1 locali, allora frequenti, che si alternavano a gare internazionali quando le principali scuderie si spostavano in Africa per il Gran Premio del Sud Africa o le gare di contorno non valide per il campionato mondiale. Vinse per ben sei volte il Campionato sudafricano di Formula 1. Nel Gran Premio del Sud Africa 1967 Love si trovò a guidare una Cooper di due anni prima modificata con un motore "Tasman" Climax FPF da 2700 cc, vettura adatta per gare locali ma non all'altezza dei migliori piloti della Formula 1 al volante di monoposto da 3000 cc. Ciò nonostante, e a 42 anni, Love si qualificò quinto e in gara si ritrovò in testa quando al 61º giro sia Jack Brabham che Denny Hulme si ritirarono a causa delle condizioni torride del circuito di Kyalami. Love dovette però fermarsi ai box per un rifornimento di carburante (la sua vettura non aveva l'autonomia di un intero Gran Premio) e così terminò al secondo posto dietro Pedro Rodríguez in una Cooper ufficiale a motore Maserati, un grosso risultato per un privato in una vettura antiquata. L'anno successivo Love salì di nuovo all'onore della cronaca per aver corso in una Brabham colorata con le insegne della marca di sigarette Gunston, il primo esempio di sponsorizzazione professionale nella Formula 1. A carriera finita era proprietario di una concessionaria Jaguar a Bulawayo durante gli anni 80. Mori' di cancro nel 2005. quando aveva 80 anni...
  19. leopnd

    Luigi Musso

    Luigi Musso è stato un personaggio eclettico. Difficile da interpretare, oscuro nelle sue imprevedibili reazioni, impavido se si svegliava con l'umore giusto, infantile e poco affidabile nelle giornate no. Si poteva definirlo "leone" perché in pista sapeva essere davvero un re, agguerrito e coraggioso, e perché nella quotidianità era indolente, come il dominatore della savana, e dipendeva dalle donne che gli stavano accanto. Era purtroppo vittima dei suoi vizi: fumava fino all'ultimo secondo disponibile prima della partenza di ogni gara, dilapidava il denaro nei casinò, non sapeva mai accontentarsi. Ma la velocità gli scorreva nelle vene, e i suoi avversari lo sapevano. Luigi Musso nacque a Roma nel 1924 da una famiglia estremamente benestante: il padre Giuseppe era un intraprendente diplomatico e uomo d'affari, che aveva costruito la sua fortuna in Cina, e, al rientro, aveva fondato la ICI, una casa di produzione cinematografica di successo. Luigi era l'ultimo genito, il più coccolato, cresciuto in una meravigliosa villa vicino a Via Veneto, tra lusso e sfarzi, riverito da camerieri e maggiordomi. Purtroppo a 16 anni rimase orfano di padre, perdendo non solo un importante figura genitoriale, ma anche una guida che gli facesse comprendere il valore del denaro, del sacrificio e l'importanza del lavoro. Aveva due fratelli, Luciano e Giuseppe, e due sorelle Elena e Matilde. Nel 1945 si comprò la sua prima auto, una Fiat Topolino, nonostante ancora non avesse la patente. Nel 1947 suo fratello Giuseppe iniziò a correre con l'Alfa Romeo, ma era Luigi ad avere l'automobilismo nel sangue. Alto, magro, sempre elegantissimo, pareva a molti inadatto alla vita di pilota. Troppo lunatico, troppo viziato. Pensavano fosse il solito riccone che voleva togliersi lo sfizio di gareggiare per poi finire sui rotocalchi e crogiolarsi nel suo effimero successo. Luigi invece voleva davvero correre. Iniziò a prepararsi alla sua futura carriera studiando, analizzava i circuiti, le traiettorie, cercava di comprendere le leggi fisiche fondamentali, insomma, un approccio davvero teorico, ma che gli permetterà poi di diventare un pilota preciso e attentissimo. Non era uno spericolato: sapeva benissimo che con quelle monoposto si moriva, e lui era intenzionato a vincere senza troppi rischi. Non era uno che si risparmiava, ma preferiva calcolare piuttosto che azzardare. Sarà infatti un azzardo a portarselo via. Nella vita di tutti i giorni invece erano continui i colpi di testa: i casinò furono il suo tallone d'Achille. Si giocò cifre incredibili e perse, perse davvero tanto, ma sempre con signorilità. Non rinunciò mai a nulla, il lusso gli era necessario... D'altro canto vi era nato nel lusso, era nel suo dna. Investiva spesso in affari sbagliati, ma non si soffermava mai troppo a rifletterci. Le cose gli scivolavano addosso. Quando iniziò seriamente a correre inanellò un successo dietro l'altro. Gli esordi furono a bordo di una Maserati (l'unico investimento davvero redditizio), corse in tutte le occasioni più importanti vincendo spesso ricchi premi e facendosi pian piano un nome nel mondo delle corse. Vinse nel 1953 il titolo di Campione Italiano Assoluto Sport. Nel 1954 arrivò secondo alla Targa Florio su Maserati A6GCS e terzo alla Mille Miglia su Maserati A6GCS numero 500 con Augusta Zocca, nel 1954 fu primo al Gp di Pescara (Non titolato), nel 1953 divenne Campione Italiano Sport classe 2000 e due anni dopo Campione Italiano Sport classe oltre 2000. La Formula 1 era comunque il suo vero obiettivo. Voleva arrivare in alto. E nel 1954 incominciò la sua breve, ma incisiva, avventura nel circus di F1, come pilota ufficiale della scuderia Maserati. Nonostante alcuni importanti successi (nel 1955 arriva terzo al Gp d'Olanda, dietro Fangio e Moss e battendo quello che sarà il suo amico-nemico più agguerrito: Eugenio Castellotti, che correva per la Scuderia di Maranello), ma sapeva che per raggiungere i suoi scopi la Scuderia giusta era solo una: la Rossa di Enzo. Il 30 aprile 1955 partecipò alla Mille Miglia con la Maserati A6GCS numero 651 ma non riuscì a portare a termine la gara. Con il Drake i rapporti non furono mai totalmente sereni, Musso spesso si sentì trascurato a vantaggio dei suoi compagni di squadra, ed Enzo non amava del romano quei vizi e quelle manie di grandezza... Comunque il suo esordio con la Ferrari è datato 1956, anno in cui ottenne la sua più bella vittoria al Gp d'Argentina. Sempre nel 1956 Musso corse la Mille Miglia su una Ferrari 850 Monza numero 556 classificandosi 3°. Alla fine dello stesso anno furono presentati i piloti della scuderia: Luigi Musso, Eugenio Castellotti, Alfonso Portago, Mike Hawthorn e Peter Collins. Una schiera di campioni con un triste destino già segnato. Musso sapeva che, oltre a competere con gli avversari, i primi da battere erano proprio i suoi compagni di squadra. Nel 1957 vinse la 1000 miglia di Buenos Aires. La sua notorietà era ai massimi livelli, e il pubblico italiano lo osannava. La morte di Castellotti (Modena 14 marzo 1957) però lo segnò profondamente, e fu tanto colpito da cambiare anche nel carattere. A maggio morì anche Alfonso de Portago. Nel 1958, nonostante fosse l'unico italiano a competere per il titolo mondiale, venne retrocesso a terza guida dietro Hawthorn e Collins, perchè, l'anno precedente al Gp di Monza, si era rifiutato di cedere la sua monoposto a Fangio. Grande la sua voglia di riscatto. E l'occasione migliore per lui era conquistare il gradino più alto del podio a Reims. La vittoria inoltre significava un premio di 15 milioni, una cifra a lui necessaria per risolvere i suoi enormi problemi finanziari. Purtroppo non aveva fatto i conti con quella maledetta curva che tutti chiamavano il Calvaire. Il 6 luglio 1958 Luigi al decimo giro é secondo dietro Hawthorn. Al Calvaire Luigi decide di non alzare il piede dall'acceleratore per passare l'avversario all'uscita dalla curva. Ma nessuno poteva fare il Calvaire in piena, lo sapevano tutti. Per Luigi è la fine. Muore a soli 34 anni e raggiunge l'amico Eugenio. Quel giorno per la prima volta non aveva rispettato il suo rito scaramantico: l'ultima persona a parlargli prima della gara non era stata la sua compagna Fiamma. Un mese dopo morì anche Collins. E nel 1959 toccò a Hawthorn. Due anni di lutti che segnarono profondamente la storia della F1...
  20. Allora guys, ieri sera ho contattato GianCarlo Minardi per chiedergli disponibilità a rilasciarmi un intervista. Questa mattina ho ricevuto una risposta positiva e quindi dovrò inviargli le domande. Io ne farei tra le 10/15 non di più, e ho già contattato @gio66 per chiedergli qualche info e lo farò anche nelle prossime ore. Ho già in mente qualche domanda personalmente ma se avete suggerimenti potete farli tranquillamente grazie.
  21. leopnd

    Derek Warwick

    Derek Stanley Harper Warwick è nato il 27 agosto 1954 a Alresford in Gran Bretagna. Inizia a correre con le stock-car e quindi con le monoposto di Formula Ford 1600. Dopo un paio d' anni di Formula 3, nel quale supera piloti del calibro di Nelson Piquet e Chico Serra, passa in F.2 ed al secondo anno, con la Toleman, diventa vice-campione d'Europa di questa categoria. Nel 1981 fa il suo esordio in F1 ma, a causa dell'inesperienza della Toleman, riesce solo a qualificarsi in un GP per poi ritirarsi. Nel 1982, a parte il giro veloce nel GP di Olanda, non riesce ad arrivare mai meglio del 10° posto. Nel 1983 le cose vanno meglio e Warwick, nonostante la poca competitività della sua vettura, va spesso a punti tanto che ottiene un volante in casa Renault. Nel 1984, con la casa francese, Derek arriva due volte terzo (nei GP del Sud Africa e di Germania) e due volte secondo (nei GP del Belgio e di Gran Bretagna). Decide così di restare alla Renault anche nel 1985 ma commette un errore perché la vettura si rivela un disastro e lui non marca che cinque punti. La Renault si ritira dalla F1 e Warwick si ritrova senza un volante. Nel 1986 decide quindi di correre nella categoria Sport e, con la Jaguar, vince a Silverstone. Ha l'occasione di ritornare il F1 lo stesso anno quando va a sostituire lo sfortunato Elio De Angelis alla Brabham. Derek, però, finisce la stagione senza ottenere alcun punto e, per uno soltanto, perde anche il titolo mondiale per vetture Sport. Nel 1987 corre con la Arrows e va a punti in due occasioni e, l'anno seguente arriva quarto in quattro occasioni. Nemmeno nel 1989 arriva la vittoria. Nel 1990 passa alla Lotus. La squadra è allo sbando e Derek riesce ad aggiudicarsi solo tre punti nel mondiale così, nei due anni seguenti, decide di correre solo con le Sport. Vince a Silverstone, a Monza ed al Nurburgring con la TWR Jaguar, poi passa alla Peugot. Con la 905 della casa francese vince ancora a Silverstone, a Suzuka e si aggiudica la prestigiosa 24 ore di Le Mans vincendo anche il titolo mondiale della categoria assieme a Yannick Dalmas. Nel 1993 ritorna in F1 con la scuderia Footwork. La monoposto non è all'altezza ed il miglior piazzamento è un quarto posto in Ungheria. Warwick così lascia definitivamente la massima categoria delle monoposto. Partecipa ancora al campionato turismo britannico con l'Alfa Romeo, ritorna ancora a Le Mans nel 1997 e nel 1998. Oggi è proprietario della concessionaria Honda di Jersey e ha interessi nel mondo dell’edilizia, ma non si è allontanato dal mondo delle competizioni: è orgoglioso Presidente del British Racing Drivers Club, con sede a Silverstone, e Jean Todt lo ha voluto tra i F1 Drivers Stewards.
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