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Visto il suo 65° compleanno, la serie 2020 degli speciali AutoSprint Gold collection è in edicola col primo fascicolo dedicato proprio a Prost, insieme al raccoglitore per conservare tutte le 12 uscite mensili.

https://autosprint.corrieredellosport.it/news/edicola/2020/02/21-2768161/inizia_una_nuova_stagione_autosprint_gold_collection_alain_prost_65_anni_nel_mito/

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  • 4 months later...

8 luglio 1990: 30 anni fa esatti, Prost ottenne la sua 42ma vittoria in un Gran Premio.

Quella del GP di Francia fu anche la centesima vittoria della Ferrari.

Prost aveva vinto a inizio stagione in Brasile, poi tre gare negative fino al trionfo in Messico. Con la vittoria in Francia, ottenuta con un sorpasso a due giri dalla fine ai danni del sorpredente Ivan Capelli su Leyton House, Alain arrivò a 3 punti dal leader del mondiale Ayrton Senna. E nel GP successivo, Prost vinse ancora, andando al comando della classifica:

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  • 3 months later...
  • 4 months later...
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"Per quanto sembri paradossale può accadere che un pilota si trovi in testa un casco iridato senza capire bene come ha fatto a  procurarselo. E' accaduto nel ‘58 ad Hawthorn, nel '61 a Phil Hill, nell'82 a Rosberg, primi senza aver dominato la stagione, o addirittura per la tragica scomparsa di uno o più avversari.

 

Ma due volte no, non può capitare per caso: anche senza entrare in un'analisi pignola dei gran premi su

cui è stato costruito il titolo conquistato, bisogna riconoscere al vincitore qualcosa di più della sua buona sorte e del valore della vettura che ha guidato.

 

Questo qualcosa, che potremmo sbrigativamente definire talento, nessuno ora potrà fare a meno di riconoscerlo ad Alain Prost. Ma perché un pilota conta, agli occhi dei colleghi, del suo ambiente, della stampa e del pubblico, e un altro no? Perché, ad esempio, tanta sufficienza nei confronti di Watson, alla fine appiedato e pensionato all'unanimità, e tanta considerazione per Rosberg, definito funambolo, indomabile combattente e via lodando, se i due piloti hanno vinto cinque GP a testa? Che cosa, in definitiva, costituisce il carisma di un conduttore di F. 1?

 

Per prima cosa, è ovvio, le sue prestazioni. Vittorie e titoli mondiali sono i galloni del comando: Fangio, Stewart, Fittipaldi e Lauda lo hanno dimostrato. Ma ciò non è valso per Prost, che perdendo per mezzo punto, tre anni fa, il confronto con il compagno di squadra Lauda, suscitava spallucciate di compatimento e sorrisi distratti. E aveva al suo attivo già 16 vittorie...

 

La seconda cosa è una grande squadra: solo un grosso partito può esprimere un uomo ciò ricordiamo Riccardo Patrese che ha subìto la squalifica dopo l'incidente di Monza solo perché guidava un'Arrows. Chi avrebbe osato sfiorare un pilota Lotus, o Ferrari, o Brabham? Comunque, neanche questo caso può applicarsi a Prost, che da quando è approdato alla massima formula ha gareggiato solo per la McLaren e per la Renault, due colossi della politica sportiva.

 

La personalità, allora, l'intelligenza, la «testa». E qui è ben difficile giudicare. Moss, dicono, testa ne aveva poca, gli interessava «solo» correre e vincere. Clark parlava pochissimo ed era l'ombra di Chapman. Piquet,

quand'è ai box, organizza ed esercita scherzi micidiali e quand'è in pista sbaglia e si gira con allarmante frequenza. Eppure tutti e tre hanno goduto (e godono) di un grande prestigio.

 

E il piccolo Alain? A una presunta incapacità di correre con la testa è stata attribuita la fama di perdente e di sciupone di cui ha goduto, si fa per dire, in questi anni. Fama immeritata, se si pensa che ha esordito 105

gran premi fa in Argentina, su una McLaren, facendo meglio del compagno di squadra Watson sia in prova sia in gara e finendo sesto dopo una corsa perfetta; e se si pensa a come ha finito (per quest'anno, almeno)

dopo 105 gran premi in Australia, con una condotta magistrale, Argo dai cento occhi, uno alle gomme, uno ai consumi, uno ad ogni avversario...

 

Fra il primo e l'ultimo GP ha corso, ha vinto, ha perso e naturalmente ha sbagliato, ma non più degli altri. Solo che sempre i suoi errori hanno avuto una risonanza sempre negata alle sue imprese.

 

Un esempio per tutti è la stagione '84.

 

Lauda si gira e si ritira a Montecarlo, pedala per decine di giri all'Estoril prima di superare la Toleman di Johansson e poi si gira nel doppiaggio di Baldi. Inoltre sbaglia (per propria ammissione) la scelta delle gomme in un paio di gare. Ma nessuno sembra accorgersi di nulla.

 

Prost, al contrario, va in testacoda solo a Zeltweg, per l'olio in pista secondo alcuni, per l'uscita di una marcia secondo lui. Ma è un massacro, sulla stampa: è «il solito Prost» arruffone e maldestro, e sul podio fa

persine pena mentre Marlene Lauda gli concede un bacio di consolazione. L'eterno secondo conosce quel giorno la sua apoteosi (ma sarebbe meglio dire ipoteosi: il suo naso è più triste che mai).

 

No, non sono gli errori o le condotte di gara scellerate a determinare la credibilità di un pilota, né sicuramente la sua popolarità. Attacchiamoci allora all'ultimo appiglio: la fisicità, la presenza, cioè tutto quello che va da uno sguardo magnetico a una camminata maschia, da una dentatura lupesca a un

torace significativo.

 

Certo, di uomini irresistibili fra i ventuno campioni del mondo fin qui incoronati non ce ne sono tanti, né la lista si allarga frugando tra gli assi non titolati. Reutemann senz'altro, poi forse Ickx, il

primo Lauda e pochi altri.

 

Il piccolo Alain è decisamente bruttino, e nemmeno il suo look è migliorato con le vittorie e i miliardi. Che sia questa la chiave del suo insuccesso? Macché: fra le cronache rosa dei paddock c'è sempre lui. Si dice che

il divorzio di un collega dopo un paio di mesi di matrimonio sia colpa sua, e anche la separazione dalla Renault ha un'origine simile. Per non parlare dei concreti pettegolezzi che hanno legato il suo nome a quello di Stefania di Monaco, senza contare alcune storie minori, che le cronache non si attardano

a riportare. Se tutto ciò è vero, Prost il turbo non ce l'ha solo nel motore.

 

In definitiva, nessuna di queste ipotesi riesce a spiegare perché Naso Triste non ha convinto e soprattutto non è piaciuto in sette anni di F. 1. Nessuno dei motivi esaminati è convincente perché nessuno di essi è esatto.

 

In realtà Alain Prost ha pagato lo scotto di essere francese e di aver pilotato la prima macchina dotata di turbocompressore. I francesi in Europa non sono popolari: arroganza, sciovinismo, grandeur, provincialismo

sono luoghi comuni che trovano spesso conferma nella realtà. Chi ha conosciuto bene il Prost di qualche anno fa lo ha definito musone, brontolone, sospettoso, chiuso, anche un po’ meschino, diverso comunque

dall'uomo che è oggi, rasserenato dal successo più aperto e disponibile. Soprattutto un uomo che non deve più dimostrare niente a nessuno. A cominciare da sé stesso.

 

Quanto alla Renault, è necessario riconoscere il coraggio dimostrato inserendosi nella F. 1 con un motore rivoluzionario e la frustata tecnologica che questo ha dato all'ambiente e successivamente anche alla produzione di serie. Ma le monoposto bianco-gialle che si rompevano sempre o stracciavano gli avversari con cento cavalli in più costituivano uno spettacolo nuovo ed elettrizzante, ma non predicevano buona immagine.

 

Qualcosa di simile era accaduto anni prima, con l'arrivo in forze della Ford sulle piste europee: grande marchio, grande organizzazione, grandi cilindrate. Ammirazione, rispetto, sì, ma simpatia poca. La Ford però aveva allora avversari meno agguerriti e soprattutto meno ricchi, mentre la Renault stentava ad affermarsi.

 

Così, quando le vetture francesi vincevano, il merito era ovvio: la potenza e solo la potenza.

Briciole ai piloti, anche se avevano lottato con un peso maggiore, una risposta ancora lenta, l'incubo della rottura meccanica, l'inguidabilità sul bagnato e nelle curve lente. E quando perdevano era perché i piloti

non avevano saputo sfruttarne la superiorità.

 

Così è nata l'indifferenza per le vittorie che Alain Prost cominciava ad accumulare. Valevano poco, mentre valeva moltissimo il secondo posto di Villeneuve a Digione, dopo una breve, epica battaglia. Perché, al di

là della popolarità immensa del piccolo canadese, quello scontro era l'allegoria di Davide che col coraggio balle la forza bruta di Golia.

 

E ricordate i fischi di Monza nell'anno in cui la Renault ingaggiò un paio di gorilla per «proteggere» il suo pilota? Prost era solo il parafulmine, ma tutti i fulmini diretti contro la Renault, i francesi, i nemici della Ferrari, il turbocompressore e chissà cos'altro, si conficcava su di lui. Poi, si sa, quando un

attore sfonda con un personaggio, la parte gli resta addosso per tutta la vita: Bogart il duro, anche se i biografi lo descrivono fragile e timoroso; Lauda il computer, anche se sbaglia e brucia al Nuerburgring; Prost il perdente, anche se...

 

Oggi, con il suo secondo titolo mondiale, tutto questo dovrebbe essere finito e forse all'apertura della prossima stagione scopriremo un naso meno triste di quello che ricordavamo.

 

Oggi anche i più distratti meditano sul bottino imponente raccolto da Prost in sette anni di F.1: 16 pole positions, 25 vittorie, 18 giri più veloci, 359.5 punti, 60 volte arrivato al traguardo tra i primi sei e si queste

48 sul podio: non c'è pilota che non sia stato innaffiato dal suo champagne.

 

Questi sono i numeri, che nel corso dell'attuale stagione hanno acquisito una consistenza minacciosa. Ma dietro i numeri, proprio quest'anno ha cominciato a far capolino un uomo abbastanza diverso dallo stereotipo fin troppo noto. La sua sicurezza delle ultime fasi del campionato, che non era spocchia, ma piuttosto allegra serenità e persine un certo distacco («Comunque finisca, mi aspettano tre mesi di vacanza»). E poi la rabbia di Hockenheim, con quella spinte prolungata, inutile e vietala dai regolamenti,

e la commozione dopo il traguardo del GP d'Australia, corso negli ultimi giri con uno spirito («al diavolo il computer») davvero inconsueto per lui. E, tra le noie amare, le reiterate, quasi comiche sfortune

di Monza: fermo al via, poi squalificato e contemporaneamente ritirato col motore rotto; soprattutto la scomparsa del fratello, legato a lui come solo certe persone ammalate e condannate possono legarsi.

Basta così.

 

 Abbiamo un campione che nessuno può più fare a meno di stimare, almeno come pilota. Forse gli farebbe piacere sentirsi un po’ più amato dal suo pubblico e da quello degli altri paesi, anche se dicono

che ai grossi divi della Formula Uno importa poco l'affetto del pubblico e qualche volta ne sono persine infastiditi. Lo dicono in tanti e probabilmente è vero. Ma io non ci credo".

(Enzo Russo, Rombo n.46 del 1986)

 

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“Se non potrò diventare campione del mondo quest'anno, mi piacerebbe vedere Piquet vittorioso, in primo luogo perché ciò significherebbe potere ancora essere il primo francese a vincere il titolo, e poi non vorrei che questa fortuna possa capitare ad Arnoux”.

“Quando penso al prestigio dello sport motoristico, mi pare possa essere un peccato vedere Arnoux campione del mondo. Sarebbe un segnale negativo per l'immagine dello sport, credimi”.

“Sarebbe un disastro e sbagliato. So di essere molto impopolare agli occhi del pubblico, ma dal lato umano Arnoux è sopravvalutato. Vederlo campione del mondo mi farebbe stare male: sarebbe un esito inviso anche all'ottanta per cento dei francesi che lavorano in questo ambiente”.

“Sono meno apprezzato agli occhi della pubblica opinione rispetto ad Arnoux perché non mi vendo facilmente. Rifiuto di prostituirmi. Voglio essere me stesso. Un giorno le persone lo capiranno. Quando accadrà, sarò io la celebrità”.

“Se Arnoux agguanta il titolo, mi tapperò la bocca. Lui si sentirà tronfio, ma io, di sicuro, non mi mostrerò invidioso. Ripeto, sarà un disastro se riuscirà a divenire campione del mondo, perché Arnoux è una nullità, davvero. Vai e chiedi alle persone che ne sanno di motori e di corse, e ne avrai la riprova.”

Queste erano alcune dichiarazioni pubblicate sull'Equipe il 20 settembre 1983, nell'articolo "Arnoux non vale niente", a firma del giornalista Bernard Dolet. Il problema è che facevano parte di una conversazione strettamente confidenziale tra il giornalista e il Prost, pronunciate al di fuori dell'intervista "ufficiale" concordata.

Modificato da Elio11
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  • 6 months later...

Si è sempre detto che nel 1990 Prost con la Ferrari perse punti fondamentali in Belgio, finendo dietro a Senna (vincitore) per "indecisione nei doppiaggi" non sapendo sfruttare la presunta superiorità della rossa.

Eppure, c'è un episodio rivelatore narrato dall'ingegner Mazzola, tecnico di pista di Prost, che secondo me potrebbe spiegare moltissimo di quella sconfitta. Ecco il breve passo in questione:

"Tra il Gran Premio di Spa in Belgio e quello di Monza accadde un episodio incredibile. La Goodyear per la gara di Spa aveva cambiato la costruzione delle gomme, cioé la struttura della carcassa degli pneumatici, sia per le anteriori che per le posteriori. Ad Alain dopo una prova non erano piaciute perché sbilanciavano molto la vettura, specialmente al posteriore. Eravamo abbastanza arrabbiati e all'insaputa dei miei capi mi ero portato a Spa dieci set di gomme da Maranello di compound tipo A, il più duro, con le vecchie costruzioni.

La Goodyear per quella gara aveva portato invece delle gomme di tipo B, cioé uno step più morbido, con le nuove costruzioni. Durante il weekend di gara ci fu un gran caldo e le B si rivelarono troppo morbide, specialmente per le nuove costruzioni. Quando i tecnici, capeggiati dal mitico Tony Shakspeare, videro le nostre gomme nei box ebbero un sussulto e iniziarono a preoccuparsi.

Io e Alain eravamo già convinti e sicuri che avremmo utilizzato quelle gomme e la Goodyear non voleva permetterlo, anche se non c'era una regola ben precisa che ne impedisse l'utilizzo. Seguì un diverbio politico ad altissimo livello tra Maranello e gli USA e alla fine si arrivò a un compromesso: noi non avremmo utilizzato quelle gomme, ma nel test successivo a Monza avremmo fatto una comparazione, dove Alain avrebbe potuto riprovare tutte le costruzioni e decidere quali scegliere dal Gran Premio d'Italia in avanti.

Arrivammo al test e la Goodyear portò una serie di set di gomme senza numeri e codici di identificazione, in modo che Prost non sapesse quale fosse la versione che stava provando. Alain accettò il blind test e si mise in macchina. Provò sei set di gomme e terminato il lavoro ci riunimmo nel motorhome per il debriefing. Prost prese carta e penna e cominciò a scrivere tutte le caratteristiche di ciascun set e il comportamento nelle varie curve. Non si fermò lì, scrisse anche quali costruzioni erano state utilizzate per ogni set, sia all'anteriore che al posteriore. Tony, come i suoi collaboratori, rimase sbalordito e stentava a credere ai suoi occhi. Alain potè così decidere quali costruzioni usare fino alla fine del campionato. Ovviamente quelle di Senna erano diverse.

Questa era la forza di Prost, non ho conosciuto altri piloti in grado di fare questo [..]".

(Da "Avanti tutta" di Luigi Mazzola)

La Ferrari andò forte nel finale di campionato, e anche a Suzuka era superiore in assetto-gara, ma le cose andarono come sappiamo.

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3 ore fa, sundance76 ha scritto:

Si è sempre detto che nel 1990 Prost con la Ferrari perse punti fondamentali in Belgio, finendo dietro a Senna (vincitore) per "indecisione nei doppiaggi" non sapendo sfruttare la presunta superiorità della rossa.

Eppure, c'è un episodio rivelatore narrato dall'ingegner Mazzola, tecnico di pista di Prost, che secondo me potrebbe spiegare moltissimo di quella sconfitta. Ecco il breve passo in questione:

"Tra il Gran Premio di Spa in Belgio e quello di Monza accadde un episodio incredibile. La Goodyear per la gara di Spa aveva cambiato la costruzione delle gomme, cioé la struttura della carcassa degli pneumatici, sia per le anteriori che per le posteriori. Ad Alain dopo una prova non erano piaciute perché sbilanciavano molto la vettura, specialmente al posteriore. Eravamo abbastanza arrabbiati e all'insaputa dei miei capi mi ero portato a Spa dieci set di gomme da Maranello di compound tipo A, il più duro, con le vecchie costruzioni.

La Goodyear per quella gara aveva portato invece delle gomme di tipo B, cioé uno step più morbido, con le nuove costruzioni. Durante il weekend di gara ci fu un gran caldo e le B si rivelarono troppo morbide, specialmente per le nuove costruzioni. Quando i tecnici, capeggiati dal mitico Tony Shakspeare, videro le nostre gomme nei box ebbero un sussulto e iniziarono a preoccuparsi.

Io e Alain eravamo già convinti e sicuri che avremmo utilizzato quelle gomme e la Goodyear non voleva permetterlo, anche se non c'era una regola ben precisa che ne impedisse l'utilizzo. Seguì un diverbio politico ad altissimo livello tra Maranello e gli USA e alla fine si arrivò a un compromesso: noi non avremmo utilizzato quelle gomme, ma nel test successivo a Monza avremmo fatto una comparazione, dove Alain avrebbe potuto riprovare tutte le costruzioni e decidere quali scegliere dal Gran Premio d'Italia in avanti.

Arrivammo al test e la Goodyear portò una serie di set di gomme senza numeri e codici di identificazione, in modo che Prost non sapesse quale fosse la versione che stava provando. Alain accettò il blind test e si mise in macchina. Provò sei set di gomme e terminato il lavoro ci riunimmo nel motorhome per il debriefing. Prost prese carta e penna e cominciò a scrivere tutte le caratteristiche di ciascun set e il comportamento nelle varie curve. Non si fermò lì, scrisse anche quali costruzioni erano state utilizzate per ogni set, sia all'anteriore che al posteriore. Tony, come i suoi collaboratori, rimase sbalordito e stentava a credere ai suoi occhi. Alain potè così decidere quali costruzioni usare fino alla fine del campionato. Ovviamente quelle di Senna erano diverse.

Questa era la forza di Prost, non ho conosciuto altri piloti in grado di fare questo [..]".

(Da "Avanti tutta" di Luigi Mazzola)

La Ferrari andò forte nel finale di campionato, e anche a Suzuka era superiore in assetto-gara, ma le cose andarono come sappiamo.

 

Non ho capito quale sarebbe stato il vantaggio della Goodyear a far usare obbligatoriamente delle gomme non efficaci alla Scuderia più famosa del mondo che non vinceva un titolo da 11 anni

Fossi stato loro avrei quantomeno non ostacolato la Ferrari

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