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  1. leopnd

    Alex Caffi

    Alessandro Alex Caffi nasce il 18 marzo 1964 a Rovato (Brescia). Appassionato di moto, inizia la propria carriera nel motocross prima di passare alle quattro ruote. Vince la sua prima corsa - con i kart - nel 1980 e l’anno seguente si cimenta con le Formula 4. Alex inizia a farsi notare tra gli addetti ai lavori nel 1983 quando, al secondo anno di Formula Abarth, vince il titolo Under 23. Questo successo gli apre le porte della Formula 3: nel 1984 diventa vicecampione italiano e l’anno successivo conquista addirittura il titolo europeo sul circuito Paul Ricard di Le Castellet (Francia). Alex Caffi debutta in F1 nel 1986 quando al volante di una Osella prende parte al GP d’Italia. L’anno seguente affronta l’intera stagione con una vettura tutt’altro che affidabile (13 ritiri in 14 GP, 12° a San Marino in una gara in cui rimane senza benzina) ma si rivela costantemente più veloce dei propri compagni di squadra - lo svizzero Franco Forini e il nostro Gabriele Tarquini - nelle occasioni in cui la scuderia piemontese decide di schierare una seconda monoposto. La situazione migliora nel 1988 con il trasferimento alla Dallara, vettura che gli consente di ottenere come miglior piazzamento un 7° posto in Portogallo. L’anno successivo ottiene risultati peggiori del compagno Andrea de Cesaris ma riesce comunque a realizzare due exploit: il quarto posto a Monte Carlo e il sesto in Canada. La migliore stagione di Alex Caffi in F1 è quella del 1990 con la Arrows: il suo miglior piazzamento è un quinto posto (sempre a Monte Carlo) ma conquista il 16° posto nel Mondiale Costruttori e, soprattutto, è più veloce del coéquipier, un certo Michele Alboreto. Più deludente l’annata seguente, quando il team viene ufficialmente ribattezzato Footwork: resta più veloce di Alboreto e del nuovo compagno Stefan Johansson ma si deve accontentare di un 10° posto in Giappone. Nel 1992 Alex Caffi viene ingaggiato dalla Andrea Moda ma non riesce a correre: nel primo GP, in Sudafrica, viene rifiutata l’iscrizione alla scuderia mentre nella seconda, in Messico, la vettura non è pronta per gareggiare. Alex abbandona la F1 ma non il motorsport: nel 1993 partecipa al Mondiale Sport Prototipi con la Mazda mentre nel 1995 affronta il campionato turismo spagnolo al volante di una Opel Vectra. Nella seconda metà degli anni Novanta Alex Caffi si concentra sulle gare di durata: nel 1996 (anno in cui si aggiudica la 6 Ore di Vallelunga nel Gruppo N con una BMW M3) e nel 1997 prende parte alla serie nordamericana IMSA mentre l’anno successivo si cimenta nel campionato ISRS. Nel 1999 corre nella American Le Mans Series con la Ferrari 333 SP e disputa la sua prima 24 Ore di Le Mans (l’unica delle tre terminata, 6° posto assoluto) con i connazionali Andrea Montermini e Domenico Schiattarella mentre l’anno successivo affronta senza brillare particolarmente altre prove endurance. Nel terzo millennio Alex Caffi continua con l’endurance ma le vittorie più importanti arrivano con le storiche: al volante di una Porsche RSR del 1974 porta infatti a casa nel 2004 (anno in cui corre la seconda Le Mans con una Porsche 911 GT3) la 2 Ore del Mugello e sale sul gradino più alto del podio sul circuito Paul Ricard. Il 2005 è l’anno in cui Alex vince una gara in un’altra nuova categoria: con una Lola domina il Trofeo Valle Camonica (6° tappa del Campionato europeo della montagna). Alex Caffi si conferma un pilota versatile anche nel 2006: diventa campione italiano GT2 con una Ferrari F430 in coppia con Denny Zardo e vince il Rally Ronde Camuna con una Peugeot 206 WRC. Nel 2007 corre l’ultima Le Mans con una Spyker C8 e due anni più tardi sale nuovamente sul gradino più alto del podio di un rally aggiudicandosi il Benacus nella classe R3C con una Renault Clio R3. Gli ultimi exploit di Alex Caffi - in attesa di vederlo trionfare ancora in futuro - sono il successo nella classe GT del Driver Rally Show nel 2010 con una Porsche GT3 RS, la seconda vittoria al Trofeo Valle Camonica (non più valido, però, per il campionato europeo della montagna) e - nei rally raid - il trionfo di classe alla Baja Espana Aragon del 2012 con un Unimog...
  2. until
  3. leopnd

    Edoardo Mortara

    Edoardo Mortara (Ginevra, 12 gennaio 1987) è un pilota automobilistico italiano e svizzero, ex campione della F3 Euro Series. Ora impegnato nel campionato di Formula E. Mortara cominciò la sua carriera nel 2006 in Formula Renault italiana, dove risultò il miglior debuttante dell'anno, concludendo quarto in campionato, e contemporaneamente gareggiò in Eurocup Formula Renault. Nei due anni seguenti, invece, corse in F3 Euro Series. Nel primo anno di permanenza ottenne il riconoscimento, ancora una volta, di miglior debuttante, con due vittorie all'attivo, mentre nel secondo anno riuscì a dominare la classifica per la prima parte dell'anno, cedendo nel finale di campionato e concludendo secondo. A fine 2008 Mortara debuttò in GP2 Asia con la scuderia Arden International, cogliendo un terzo posto al debutto. Sempre con la Arden il pilota ha preso parte alla GP2 nella stagione 2009, in cui ha colto una vittoria. Nel finale di stagione 2009, fa un passo indietro e corre il F3 Grand Prix di Macao, una sorta di mondiale per la terza categoria dell'automobilismo sportivo. Dopo il quarto tempo nelle prove ufficiali, guadagna una posizione nella corsa di qualifica, partendo terzo nella finale. Già alla prima tornata alla famosa curva Lisboa Mortara transita primo e mantiene la posizione fino alla fine della gara vincendo il 56th Macau Grand Prix dopo il secondo posto dell'anno prima. Diventa così il terzo italiano dopo Riccardo Patrese ed Enrico Bertaggia a vincere la prestigiosa manifestazione. Nel 2010, ripete l'impresa, diventando l'unico pilota nella storia del GP di Macao (in cui vinsero anche campioni come Ayrton Senna e Michael Schumacher) ad aggiudicarsi in due occasioni quello che è di fatto il titolo iridato di categoria. Nel 2011 e nel 2012 partecipa alla Macao GT Cup, gara riservate alle vetture Gt che si corre nel circuito di Macao, alla guida di una Audi R8 LMS. Dopo aver dominato le qualifica, vince la gara partendo dalla pole position e imponendosi per il terzo e il quarto anno di fila sullo stretto tracciato di Macao. Per il 2011, Mortara viene ingaggiato dalla Audi per la propria squadra nel DTM. In questa stagione ottiene due terzi posti, nella gara di Brands Hatch e Oschersleben. Inoltre vince la gara d'esibizione del sabato nel week end evento all'Olympiastadion di Monaco. Gli venne quindi rinnovato il contratto anche per la stagione seguente e, all'appuntamento austriaco sul circuito del Red Bull Ring, ottiene la sua prima vittoria valida per il campionato. Nella stagione 2012 Edoardo Mortara vince due gare e conquista un pole position, risultando a fine stagione il miglior pilota Audi nella classifica di campionato con il suo quinto posto assoluto. Nella stagione 2016 arriva secondo nella classifica piloti con 5 vittorie e 2 pole position. Il 20 ottobre viene ufficializzato il suo ingaggio da parte della Venturi Grand Prix per la stagione 2017-2018 di Formula E.
  4. Ayrton4ever

    Luca Filippi

    Apriamo questo spazio dedicato a Luca Filippi con questa notizia sul suo ritorno: http://www.gazzetta.it/Auto/12-06-2014/filippi-indycar-80908283895.shtml
  5. https://www.p300.it/f1-gp-italia-2020-anteprima-statistiche-record-ed-orari-di-monza/
  6. leopnd

    Paolo Barilla

    Paolo Barilla (Milano, 20 aprile 1961) è un imprenditore e pilota automobilistico italiano, attualmente vicepresidente dell'azienda di famiglia Barilla G. e R. F.lli S.p.A. precedentemente guidata dal padre Pietro. Inizia a gareggiare nel 1975 e, l’anno seguente, trionfa nel campionato italiano Karting 100cc. Nel 1980 partecipa al campionato Formula Fiat Abarth, preludio all’ingresso nel 1981 al campionato italiano di Formula 3, nel quale ben figura vincendo qualche gara e finendo 3° nella classifica generale. Nel 1982 disputa la stagione europea di F2 con una Minardi M282; successivamente, dal 1983 all’86, disputa il campionato mondiale Sportscar mettendosi in mostra con alcune belle prestazioni (come la vittoria alla 24 Ore di le Mans del 1985, in coppia con Klaus Ludwig e John Winter, su Porsche 956 della Joest Racing). Dopo una breve parentesi nel campionato di Formula 3000 giapponese, effettua alcuni test con la Minardi. Queste prove private gli danno l’opportunità di debuttare in F1 sostituendo l’infortunato Martini al GP del Giappone 1989 e di accaparrarsi uno dei due sedili della scuderia di Faenza per il successivo 1990. Purtroppo però la M190 non si dimostra essere altrettanto performante della monoposto dell’anno precedente e questo, unito alle difficoltà di Barilla nel trovare spazio all’interno dell’angusto abitacolo, contribuisce a ledere il rendimento in campionato dell’italiano. Non riuscendo ad essere veloce almeno quanto il compagno di squadra, e mancando spesso la qualificazione, viene rimpiazzato per le ultime due gare da Gianni Morbidelli. Abbandonata l’attività agonistica si è dedicato all’azienda di famiglia Barilla Alimentare SpA di cui è vice-presidente.
  7. leopnd

    Giuseppe Farina

    Giuseppe Emilio "Nino" Farina: Torino 30 ottobre 1906., Chambéry (Francia) 30 giugno 1966. Pilota. Sarà storicamente ricordato come il pilota che per primo si è fregiato del titolo mondiale quando, nel 1950., fu istituito il Campionato del mondo di Formula 1. Figlio di un fratello del celebre carrozziere Battista “Pinin” Farina, stile di guida «temerario e rischioso fino all’inverosimile», «si vantò sempre di essere stato l’unico allievo di Tazio Nuvolari». Debutto nel 1930. alla Aosta-Gran San Bernardo, finì fuori strada (prima frattura). Ritornato alle corse dopo tre anni, nel ’36 entrò nella Scuderia Ferrari (al seguito del rientrante Nuvolari). Secondo alla Mille Miglia nel ’36, ’37, ’40, al GP d’Italia nel ’38, raggiunse la completa maturità nel dopoguerra: noto per il vezzo di correre sempre con un grosso sigaro cubano stretto tra i denti, nel ’50 conquistò il primo mondiale di Formula 1 grazie ai successi nei GP di Gran Bretagna (Silverstone), Svizzera (Bremgarten), Italia (Monza), precededendo nella classifica finale l’argentino Juan Manuel Fangio, suo compagno di squadra (30-27). Nel ’51 dovette accontentarsi del successo nel GP del Belgio (Spa-Francorchamps), quarto nella classifica finale; nel ’52 non vinse alcun GP ma fu secondo in classifica, battuto solo dal ferrarista Alberto Ascari; nel ’53 vinse il suo ultimo GP, in Germania (Nürburgring), fu terzo in classifica e fu protagonista del primo grave incidente nella storia della Formula 1: «In Argentina, la Ferrari di Nino Farina, per evitare un bambino che attraversava la pista, piomba tra la folla uccidendo dieci persone, alle quali se ne aggiungono altre due, travolte da un’autoambulanza giunta ad alta velocità». Nel 1954. il mondiale riapre le porte alle vere Formula 1. Farina prende parte, alla guida di una Ferrari, a due soli gran premi, giungendo secondo in quello inaugurale di Argentina. Proprio questo evento è il primo caso di ricorso post-gara respinto: per un cambio gomme Fangio, vincitore della gara su Maserati, utilizza ben cinque meccanici al posto dei tre previsti dal regolamento. La Ferrari, certa della vittoria a tavolino, suggerisce a Farina e Gonzalez di non forzare. Il reclamo di Maranello è però respinto sia dagli organizzatori che, più tardi, dalla FIA. Nell'altro gran premio stagionale, Farina guida con un tutore di cuoio al braccio destro, fratturato in occasione della Mille Miglia. Nella stagione 1955. Farina disputa tre gran premi conquistando un curioso record. Il gran premio di Argentina, gara inaugurale del campionato, verrà ricordato per il grande numero di cambi di pilota, ben 15, dovuti sia alle particolari condizioni climatiche (35 gradi all'ombra e 55 sul circuito), che alla conseguente stanchezza: Farina, per il gioco dei cambi, finisce quindi al secondo posto (con Gonzalez e Trintignant) e al terzo (con Maglioli e Trintignant). La vettura è una Ferrari 625, la stessa con cui Farina si aggiudicherà il gradino più basso del podio in occasione del gran premio del Belgio. L'ultima presenza di Farina in Formula 1 è il gran premio d'Italia: schierato dalla Ferrari con le vetture rilevate dalla Lancia in seguito all'incidente mortale di Ascari, non riesce a prendere parte alla gara per problemi alle gomme. L'anno successivo volle partecipare alla 500 Miglia di Indianapolis con la Bardahl Ferrari Experimental, una monoposto assemblata dalla OSCA, impiantando un motore Ferrari tipo 446 su un telaio Kurtis Kraft. Il tentativo di qualificazione fallì a causa di non superate difficoltà nella messa a punto dell'impianto di iniezione meccanica Hilborn. Morì in un incidente stradale mentre si recava a Reims per assistere all’imminente GP di Francia.
  8. v6dino

    Nanni Galli

    Ieri ci ha lasciati Nanni Galli. Qui è ripreso in una rievocazione della Targa Florio con l'Alfa Romeo 33/2 con cui nel 1968 arrivò secondo assoluto in copia con Ignazio Giunti. Alcune F1 pilotate da Nanni ma anche Ferrari....
  9. sundance76

    Lele Pinto

    Oltre al grandissimo "Drago" Sandro Munari, maestro indiscusso di statura mondiale, i rallyes in Italia hanno avuto diversi autorevoli esponenti, anche nell'epoca di esplosione della disciplina, fra gli anni '60 e i '70. Uno di questi è Raffaele "Lele" Pinto che, sulle orme del fratello Enrico, asso della velocità in circuito, comincia a correre a metà anni '60. Con Fiat e Lancia diventa uno dei portabandiera dei colori italiani, tanto da diventare nel 1972 Campione d'Europa dei rallyes (allora il Mondiale Piloti non esisteva ancora) e contemporaneamente vincere anche la Mitropa Cup, altro campionato continentale con gare tra Italia, Germania, Austria e Jugoslavia, a bordo della magnifica Fiat 124 Abarth, vincendo diversi rally in serie. Nel 1974 vince, sempre con la 124, il rally del Portogallo valido per il Mondiale Marche rallyes. Sfortunatamente, quella fu l'unica vittoria nel Mondiale per Pinto che tornò alla Lancia dove colse alcuni ottimi piazzamenti con la mitica Stratos, ma in squadra era "chiuso" da due superassi come Munari e Waldegard. E' stato superbo collaudatore del Gruppo Fiat-Lancia-Abarth fino agli anni '90, svezzando e sviluppando anche le varie Delta dominatrici del Mondiale per ben sei anni consecutivi.
  10. leopnd

    Formula Regional - Imola

    until
    ACI Racing Weekend www.autodromoimola.it
  11. leopnd

    Andrea Dovizioso

    Andrea Dovizioso nasce il 23 marzo del 1986 a Forlimpopoli, in Romagna. Nel 2000, ad appena quattordici anni, diventa campione nazionale di motociclismo, mentre l'anno seguente si aggiudica il Campionato Europeo di Velocità nella classe 125. Nel 2001, così, è già pronto per l'esordio nel Motomondiale, sempre in 125. Andrea Dovizioso debutta in occasione del Gran Premio del Mugello, anche se non riesce a concludere la gara essendo costretto al ritiro prima del traguardo. Nel 2002, ancora in 125, è in sella a una Honda, facendo coppia con Mirko Giansanti nel team Scot Racing. In sedici gare raccoglie quarantadue punti, classificandosi al sedicesimo posto nella classifica finale. Giunge per due volte in top ten. Nel 2003 è compagno di squadra di Simone Corsi e sale per la prima volta sul podio: Dovizioso chiude la stagione in quinta posizione in graduatoria, dopo aver ottenuto due secondi posti, due terzi posti e una pole position. L'anno successivo è quello della svolta e del titolo mondiale: vincitore di cinque gran premi, Andrea Dovizioso condisce la stagione con altri sei podi e otto pole position. Sconfigge la concorrenza dello spagnolo Hector Barbera e del bergamasco Roberto Locatelli. Così, nel 2005 il pilota forlivese passa in 250, sempre rimanendo in sella a una Honda, con il solito numero in carena (il 34 di Kevin Schwantz) e con Yuki Takahashi come compagno di squadra. Al debutto nella nuova categoria, conclude l'anno al terzo posto, battuto dallo spagnolo Daniel Pedrosa e dall'australiano Casey Stoner. Il suo bottino complessivo è di due secondi e tre terzi posti. Nel 2006 e nel 2007 il suo avversario si chiama Jorge Lorenzo: in entrambi i casi, è lo spagnolo a vincere il titolo mondiale, ma Dovizioso si difende comunque bene, conquistando due pole e due successi sia nel primo che nel secondo anno. Nel 2008 Andrea "sale" di categoria e approda in MotoGp, rimanendo fedele alla Honda: sotto le insegne del JiR Team Scot, nella gara di esordio in Qatar si classifica al quarto posto, addirittura davanti a Valentino Rossi. Il primo podio, tuttavia, arriva solo nel mese di ottobre, in Malesia, dietro allo stesso Rossi e a Pedrosa. L'annata si conclude bene: Andrea Dovizioso è quinto in classifica generale, primo tra i non ufficiali. Ecco perché nel 2009 passa ad Hrc, team ufficiale, trovando come compagno Pedrosa. Andrea Vince la sua prima gara in MotoGp nel gran premio di Gran Bretagna, sotto la pioggia. Ma fa un passo indietro in classifica generale al termine della stagione. Conclude sesto, a un solo punto di distacco dal quinto, Colin Edwards. Alla fine del 2009 (il 14 dicembre), a soli 23 anni, diventa papà di Sara, avuta con la compagna Denisa. Nel 2010 Andrea inizia alla grande, con quattro podi nelle prime cinque gare, lottando fino a pochi gran premi dalla fine per una posizione sul podio nella graduatoria complessiva. Alla fine sarà di nuovo quinto. Nel 2011 non riesce a vincere, pur totalizzando sette podi: è tre volte terzo e quattro volte secondo, così giunge terzo in classifica. L'anno seguente il pilota italiano lascia la Honda per approdare al team Tech 3 Yamaha, insieme con Cal Crutchlow. Non riesce comunque ad arrivare alla sospirata vittoria, fermandosi per ben sei volte sul terzo gradino del podio. Dopo un solo anno, Dovizioso abbandona la Yamaha e si trasferisce alla Ducati, firmando con la casa di Borgo Panigale un contratto della durata di due anni. In sella alla Rossa, però, le cose non vanno come auspicato: la prima stagione da ducatista termina con un mediocre ottavo posto in classifica generale, senza alcun podio. Il riscatto arriva nel 2014, con un secondo posto nei Paesi Bassi e un terzo posto negli Stati Uniti, oltre a una pole position in Giappone: l'ultima volta che era partito dalla prima posizione in un gran premio risale a quattro anni prima. Nel 2015 Dovizioso parte bene con la pole in Qatar, seguita dalla seconda posizione in gara; piazza d'onore anche negli Usa e in Argentina, mentre altri due podi arrivano in Francia e in Gran Bretagna. La vittoria, tuttavia, stenta a palesarsi. Secondo in Qatar anche nel 2016, nella gara successiva - in Argentina - viene travolto da Andrea Iannone mentre sta lottando per la vittoria (la beffa è maggiore, considerando che Iannone è suo compagno di squadra). Stessa cosa avviene nella gara successiva, questa volta per colpa di Daniel Pedrosa. Perseguitato dalla sfortuna, è costretto a ritirarsi a Jerez per un problema alla pompa dell'acqua. Si riscatta con tre podi in Germania, in Austria e in Giappone, che sono il preludio alla vittoria in Malesia: il suo ultimo successo risaliva a ben sette anni prima. Conclusa la stagione al quinto posto, nel 2017 Dovizioso - sempre in sella alla Ducati - viene raggiunto da Jorge Lorenzo, suo nuovo compagno di squadra. Abbonato al secondo posto in Qatar, dove solo Maverick Vinales riesce ad arrivare davanti a lui, si deve ritirare in Argentina dopo essersi toccato con Aleix Espargaro. Vince al Mugello il Gran Premio d'Italia. Pochi giorni dopo fa doppietta, salendo sul gradino più alto del podio anche in Catalogna, mentre dopo il quinto posto di Assen sale al primo posto della classifica generale, per la prima volta nella sua vita. Ottavo in Germania e sesto in Repubblica Ceca, Dovizioso arriva ancora primo in Austria e in Gran Bretagna, candidandosi al successo finale del campionato.
  12. leopnd

    24h Series - Mugello

    until
    Hankook 12h Mugello mugellocircuit.com
  13. leopnd

    WRC - Italia

    until
    2020 Rally Italia Sardegna www.rallyitaliasardegna.com
  14. leopnd

    Formula 1 - Monza

    until
    Formula 1 Gran Premio Heineken d’Italia 2020 www.monzanet.it
  15. leopnd

    Bruno Giacomelli

    Bruno Giacomelli nasce il 10 settembre 1952 a Pontecarale, in provincia di Brescia. A 16 anni comincia a correre con le due ruote nel motocross, salvo poi cambiare tre anni più tardi appassionandosi all’automobilismo. Si iscrive quindi nel corso del 1971 alla scuola per piloti di Henry Morrogh e l’anno seguente, non ancora ventenne, esordisce in Formula Ford nella serie italiana guidando per la Tecno, scuderia nostrana fondata dai fratelli Pederzani. Il 1973 é un anno di inattività per Giacomelli, che torna un anno più tardi in pista nel campionato Formula Italia, ottenendo la sua prima vittoria; nel 1975 il titolo di categoria sarà suo. Sempre negli stessi anni lavora in diversi campi: é prima tipografo, poi operaio addetto alle macchine utensili e addetto alle riproduzioni d’arte. Nel corso del 1976 abbandona il proprio impiego trasferendosi in Inghilterra, dove abbondano i campionati automobilistici; per Bruno é l’occasione di concentrarsi sulla propria passione e farsi notare da qualche team importante. Prende parte al campionato britannico di Formula 3 con la March, vincendo il trofeo ShellSport e giungendo secondo nel trofeo BP. Secondo alcune voci ricevette un’offerta da Enzo Ferrari per un sedile in Formula Uno dopo che lo vide in azione durante il Gran Premio di Monaco. Promessa che evidentemente non venne mantenuta, essendo designati come piloti della stagione 1977 Niki Lauda e Carlos Reutemann prima, Gilles Villeneuve dopo in sostituzione dell’austriaco. Giacomelli ripiega quindi sulla Formula 2, sempre su offerta di Ferrari, correndo a bordo della March di cui egli stesso era stato, in un certo senso, padre. Aveva infatti disegnato alcune parti come il cruscotto e la pedaliera, mostrando non solo le proprie capacità alla guida, ma anche un certo acume. Nel 1978 vince il titolo italiano ed europeo, vincendo ben otto delle dodici gare in calendario, un record ineguagliato. Nel frattempo aveva avuto l’occasione di debuttare in Formula Uno nel Gran Premio d’Italia grazie alla McLaren, dovendosi però ritirare. Nel 1978 corre ancora per la casa di Woking, che gli mette a disposizione una M26, vettura mal progettata. Delle cinque gare disputate il miglior piazzamento é un settimo posto nel GP di Gran Bretagna, dove tra l’altro ricevette le accuse infondate di Lauda, ostacolato dall’italiano durante la fase di doppiaggio. Seguono due ritiri nel GP di Francia e d’Olanda. Curiosamente sulla fiancata della propria monoposto porta il soprannome ”Jack O’Malley”, storpiatura data dai meccanici inglesi nel pronunciare il suo cognome. Al termine della stagione viene contattato dalla Alfa Romeo, rientrante come costruttore dopo molti anni d’assenza. Il modello 177 non si rivelò propriamente un fulmine: anche a causa di alcuni chili di troppo la stagione si concluse senza punti. Per la stagione 1980 gli venne affiancato il francese Patrick Depailler, con cui la casa del biscione puntava ad ottenere buoni piazzamenti durante l’arco del campionato. Di fatto Giacomelli ottiene i primi punti nella gara di apertura, in Argentina, grazie ad un quinto posto ed alla competitività della nuova monoposto, denominata 179. Durante alcune prove private presso il circuito di Hockenheim Depailler morì in circostanze tutt’oggi non chiarite; a tal proposito Giacomelli dichiarò: « Depailler fa un giro e poi mi dice: «C’è qualcosa che non va, Bruno, provala tu». Faccio due tornate piano e rientro, senza aver avvertito nulla di strano. Patrick risale in macchina, fa un giro, poi non passa più. Credo ancora all’ipotesi di un cedimento della sospensione ». Quella stessa stagione si concluse comunque positivamente sebbene i risultati non fossero dei migliori: parecchi ritiri, una pole position al GP degli U.S.A. ed un quinto posto in Germania. Ottiene dall’Alfa Romeo un prolungamento di contratto per altri due anni. Il 1981 è senza ombra di dubbio il suo miglior anno nella massima serie: ostacolato da molti problemi di affidabilità e competitività riesce ad agguantare il terzo posto nel Gran Premio di Las Vegas, rimontando dopo un testacoda a metà gara. Si trattò del ritorno sul podio per la casa milanese, non accadeva dal Gran Premio di Spagna del 1951. Purtroppo il 1982 si rivela deludente, con un solo quinto posto all’attivo. Giacomelli passa alla Toleman come secondo pilota, dove non ottiene particolari risultati e l’anno seguente viene sostituito dall’esordiente Ayrton Senna. Abbandonata la Formula Uno, nelle stagioni seguenti “Jack O’Malley” prova la Indy Car, ottenendo un quinto posto come miglior risultato, in coppia con Emerson Fittipaldi. Tra 1986 e 1988 corre nel WTCC e nel campionato interserie con la Lancia, rischiando anche la morte in un brutto incidente. Tornerà in pista solo 5 mesi più tardi, dando segnali di non mollare. Al termine della stagione ’89 ritroverà anche un sedile in Formula Uno come tester per la scuderia Leyton House, team organizzato dall’italiano Cesare Gariboldi (nel 1987 aveva vinto la categoria F3000 con Ivan Capelli). Nel 1990 ritorna ufficialmente a correre nella massima serie con il team Life. La scuderia italiana fondata da Ernesto Vita disponeva di un particolare propulsore W12 che non ebbe particolare fortuna: ad Hockenheim, lungo il rettilineo, la vettura non superava i 240 km/h; per fare un raffronto, la McLaren di Senna andava a 100 chilometri l’ora più veloce in quel tratto. Per ben 12 volte consecutive l’esperto Giacomelli non riuscì a prequalificarsi, con distacchi di oltre dieci secondi dall’ultimo. Dopodiché decise di ritirarsi definitivamente dalla scena mondiale. Pilota onesto, instancabile ed oltremodo intelligente, Bruno Giacomelli ha saputo portare ad ottimi risultati monoposto che in mano ad altri avrebbero avuto un destino assai diverso. Se ai giorni nostri si parla di “fuga di cervelli”, si può dire che egli fu uno dei primi, decidendo di sacrificare vita e lavoro che aveva in Italia, per cercare fortuna all’estero inseguendo il proprio sogno, mettendo in campo le proprie abilità, che sfortunatamente non si espressero mai appieno, ragion in parte dovuta al non aver mai gareggiato con monoposto realmente competitive nella massima serie.
  16. Tuner

    INFO NASCAR

    Salve a tutti, sono da poco nel Forum spero sia la sezione giusta dove inserire la mia domanda xD Praticamente ho comprato una gomma usata da nascar la Michelin Pilot sport 33/70-15 ,perche volevo farci un tavolino, per renderlo piu bello volevo metterci anche un cerchione, ma su internet ho trovato solo che ci va un cerchio da 14", ora io volevo capire se ci va un cerchione da auto classica da 14 che hanno il canale 6J se non erro, o se devo trovare un altro tipo di cerchione con il canale diverso, su internet non ho trovato cerchioni da nascar in vendita ,non saprei nemmeno dove acquistarlo e non vorrei manco spendere una barca di soldi, la gomma l'ho pagata 10€ :D se riuscite ad aiutarmi o ne avete uno adatto anche rovinato che date via ve ne sarei grato :'c
  17. leopnd

    Monza Rally Show

    until
    Monza Rally Show www.monzarallyshow.it
  18. leopnd

    FIA Motorsport Games - Vallelunga

    until
    2019 FIA Motorsport Games www.fiamotorsportgames.com
  19. leopnd

    Formula Regional European Championship - Monza

    until
    ACI Racing Weekend www.monzanet.it
  20. leopnd

    Giuseppe Campari

    L’8 giugno 1892 nasce a Graffignana, comune della Lodigiana, Giuseppe Campari, anima in precario equilibrio e pilota automobilistico. La velocità in quei primi anni del Novecento non era ancora diventata un affare sociale. Correvano tutti, i nobili e i meccanici, gli ingegneri e i garzoni, le donne e gli uomini, i baritoni e i banchieri. Quella smania contagiava cronisti e pittori, artisti e impiegati, pensatori e politici. Si lasciavano stregare dal graffio dell’aria, dall’enorme tensione del volante e da quel pedale rigido e lungo che, quando affondava la sua corsa sino in fondo, faceva urlare il motore al cielo scodando sulla ghiaia in un vortice di breccia, polvere e sassi. Le corse d’auto erano un fenomeno frequentato e popolare, sentito e sognato, più della nobile arte pedatoria, dell’atletica o della marcia. Perché le auto volavano sui selciati e sulle strade, sfioravano il quotidiano, sfidavano apertamente la lentezza di quel mondo antico facendo assaporare e intuire la bellezza furtiva di un futuro che si preannunciava esaltante e ringhioso quanto e più del rumore che si lasciavano in scia. Quell’automobilismo d’assalto e leggendario, al di là dei suoi eroi, non sopravvisse a quella grande stagione. Si spense, al pari delle speranze, in un’Italia tradita da un benessere predicato e mai conseguito, rimanendo per decenni l’ombra di una promessa, un inganno collettivo, dolce, sopito e crudele. Ma quella stagione, tra comparse e comprimari, conobbe anche molti fragili eroi e grandi leggende. Come Borzacchini, Nuvolari, Brilli Peri, Varzi, Ferrari, Ascari e Maserati. Come anche Giuseppe Campari da Graffignana, “el negher” per amici e avversari. A Giuseppe piaceva la vita, il bel canto, i motori, le sfide, la cucina e le strade. Era diventato collaudatore in Alfa dove si era fatto apprezzare per l’innata capacità di domare quei pesanti e instabili siluri d’acciaio su quattro ruote. Non era l’aria che sferzava il volto, che schiacciava gli occhialoni, che spingeva il berretto all’indietro quasi volesse strappare la testa dal collo. Non era nemmeno la pioggia che bruciava la pelle o il sole che accecava e confondeva l’orizzonte. Domare quei pesanti mostri significava mangiare e sputare polvere, come e più di un manovale in un cantiere stradale. Campari, il suo soprannome, lo doveva proprio a questo. Perché quando, dopo una giornata di prove, infine scendeva dalle auto che aveva testato era ricoperto di polvere e sabbia da capo a piedi ed aveva cambiato colore. E allora si ripuliva come poteva con il suo solito fazzoletto color cremisi e si infilava in qualche osteria a cercare compagnia, a rimediare vino e agnoli per fare notte, tra belle arie e romanze. Per Campari la lirica non era soltanto una passione. Era un modo di vivere e guidare. Più del virtuosismo gli apparteneva il respiro agrodolce del melodramma, della tragedia, di quel modo leggero e inquieto di accarezzare dossi e curve, dove peraltro era solito regalare brividi, emozioni e spettacolo. Perché Giuseppe era l’unico a cui riusciva la magia, l’unico in grado di cambiare marcia in frenata senza grattare, spingendo la frizione sino alla fine del mondo per due volte in rapida sequenza, in una sorta di diabolica doppietta. Sfidava la polvere e passava leggero volando sugli sterrati, scodando e fendendo il muro di gente che, trattenuta a stento dalla milizia, si rassegnava ad inseguirne tramortita il profilo sino a scivolare nel suo cono d’ombra. Campari era la velocità e tutto quello che le si poteva chiedere. Giuseppe era naturalmente dotato di una forza poderosa, aveva capelli neri e un corpo ricoperto da una fitta coltre di peluria. Era un baritono prestato al volante. Si portava appresso una voce discreta, un fisico rotondo e imponente, baffi volitivi, occhi scuri e profondi e, soprattutto, un coraggio da leoni. Sposò una cantante e provò anche a salire su di un palco in una notte d’opera al teatro Donizetti di Bergamo, cimentandosi nella «Traviata», il suo cavallo di battaglia, e rimediando ben pochi applausi e, pare, qualche aperta contestazione, perché, si sa, che i loggioni dei teatri mica si lasciano affascinare troppo dai miti. Forse anche per questo Campari divenne un asso del volante. Raccolse i suoi migliori e più esaltanti successi sul finire degli anni venti, quando ormai si cominciava a sentire il sordo e cupo rimbombo di un destino ineluttabile. Per tre anni sbaragliò la concorrenza di Nuvolari, Mazzotti, Strazza, Bornigia, Morandi e Varzi conquistando a ripetizione due edizioni della Mille Miglia, la Coppa Acerbo ed una manciata di Gran Premi, tra cui quello attesissimo di Francia per la “gioia” dei cugini transalpini. Si era ormai avviato ad entrare negli annali, a raccogliere i frutti della sua migliore stagione. Chissà dove sarebbe arrivato se il destino non gli avesse teso un tranello, se non lo avesse attirato nella trappola ordita da quella maledetta macchia d’olio durante il Gran Premio di Monza, nel tempio della velocità. La Duesenberg del conte Trossi rompe infatti il motore e inonda la pista di olio nel punto peggiore del tracciato, alla staccata della curva Sud, dove le monoposto arrivano alla massima velocità. In quel punto il macadam, reso già scivoloso per la pioggia, diventa una lastra di ghiaccio. Campari guida il plotone davanti al temibile e veloce Borzacchini, il pilota che di nome fa Baconin e che ogni volta imbarazza i gerarchi fascisti che lo devono premiare. Sono due compagni di scuderia, due colleghi, due anime inquiete e due strepitosi acrobati. Ma a quella velocità e in quelle condizioni precarie la bravura non serve a niente. Le due Alfa perdono aderenza, i due piloti lottano disperatamente con la gravità, poi scivolano lungo la tangente, si sfiorano e finiscono tragicamente fuori pista terminando la loro corsa nel fossato. Campari muore sul colpo, Borzacchini si spegne di lì a poco in ospedale. Nonostante le sonore proteste degli spettatori la gara continua crudele e feroce senza fermarsi, sino in fondo, come la vita e le inconsapevoli esistenze che la circondano.
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    Riccardo Paletti

    “Mi piacciono i soldi e le donne, sono convinto che con la Formula 1 ci si possa levare questi sfizi“. Una frase da guascone che potrebbe far pensare ai piloti donnaioli e scanzonati in stile James Hunt, invece a pronunciarla fu Riccardo Paletti, giovane milanese di buona famiglia, timido e con l’aria da bravo ragazzo, la folta capigliatura e i caratteristici occhiali da vista che era solito indossare sotto il casco. Riccardo praticò il karate e lo sci prima di essere folgorato dalla passione per le auto da corsa: grazie al padre, noto imprenditore, riuscì a scendere in pista in Formula SuperFord mettendosi in luce prendendo la testa della corsa già al debutto, poi un deludente passaggio in Formula 3 e infine la Formula 2, dove finalmente emersero le sue qualità di pilota concreto e particolarmente attento nella messa a punto delle vetture. Paletti dimostrò maturità quando chiese espressamente di rimanere in F2 per continuare ad apprendere, ma i perversi meccanismi economici da sempre legati al motorsport fecero sì che il suo sponsor principale, poco interessato alla categoria, lo obbligò a salire in Formula 1, dove avrebbe potuto confrontarsi con i suoi miti Alain Prost e Michele Alboreto: venne accolto a braccia aperte dall’Osella, scuderia italiana al terzo campionato nel circus, che nel novembre 1981 gli offrì la possibilità di un primo test di tre giorni con la vettura utilizzata nella stagione appena conclusa da Beppe Gabbiani, occasione in cui Riccardo espresse tutte le proprie incertezze, dichiarando senza mezzi termini: “la vettura è tremenda, rigida, saltella da tutte le parti, se penso che in un circuito del genere si dovrebbero fare novanta giri non so come farò a terminare una gara!“. Riccardo, che sperava di diventare prima di tutto un collaudatore, purtroppo non riuscì mai a terminare una Gran Premio. L’Osella era tra le “piccole” che dovevano lottare ad ogni gara per riuscire a qualificarsi e il milanese si mise subito all’opera, sperando di imparare il più possibile da Jarier, per cui nutriva grande stima, ispirandosi al giovane Cevert quando “seguiva” il campione affermato Stewart per carpirne i segreti e proseguire nel proprio cammino di crescita. Superare le qualifiche era già difficile per il suo esperto compagno di squadra, che al primo appuntamento a Kyalami centrò l’ultimo posto utile per entrare in griglia, mentre Paletti, che provò per la prima volta la vettura nuova, terminò il proprio week end di gara al sabato, poi ad Interlagos andò ancora peggio in quanto l’alto numero di iscritti lo costrinse alle pre-qualifiche e lo scoglio risultò insormontabile. Dopo un’ulteriore mancata qualificazione (a Long Beach) si arrivò a Imola, dove la diserzione dei team legati alla Foca, con conseguente riduzione degli iscritti a sole 14 unità, rappresentò una buona occasione per mettersi in luce: Paletti si qualificò con il tredicesimo tempo ma fu costretto a partire dai box con due giri di ritardo causa noie tecniche, la gara poi durò solamente sette tornate per un guasto alle sospensioni, in un giorno particolarmente felice per la scuderia, che festeggiò il quarto posto di Jarier. A Zolder (teatro della morte di Gilles Villeneuve) e Montecarlo l’avventura di Riccardo terminò ancora con le pre-qualifiche, mentre a Detroit fu autore di un buon giro e si qualificò alle spalle di Jarier, ma durante il warm-up della domenica mattina perse la ruota posteriore destra e finì contro le barriere; ne uscì indenne ma la vettura non poté essere riparata in tempo per la gara e il muletto era già in uso per il compagno di squadra, un destino beffardo rimandò quindi la data del suo debutto in pista a ranghi completi, che avvenne nel successivo Gran Premio del Canada, dove riuscì a qualificarsi e si schierò in griglia in 23esima posizione, davanti agli occhi della madre, giunta a Montreal all’insaputa del figlio, sperando di vederlo tra i protagonisti fino al passaggio sotto la bandiera a scacchi. Il 13 giugno del 1982, giorno della gara, il pole-man Didier Pironi ebbe un inconveniente al via ed il motore della sua Ferrari si spense: il francese iniziò ad agitare le braccia nel tentativo di fermare la corsa, ma la direzione autorizzò comunque la procedura di partenza e all’accensione del semaforo verde Paletti, che partiva dall’ultima fila in griglia e aveva quindi la visuale limitata da chi gli stava davanti, urtò con violenza la Ferrari del francese ad una velocità di circa 180 km/h. Il pilota milanese perse subito conoscenza rimanendo intrappolato nell’auto, Pironi uscì immediatamente dalla propria vettura per aiutare lo sfortunato Paletti insieme ai commissari di gara, ma pochi secondi dopo la benzina che era fuoriuscita dal serbatoio dell’Osella prese fuoco e la monoposto fu avvolta dalle fiamme. L’incendio fu domato in brevissimo tempo e Riccardo miracolosamente non rimase ustionato, anche se non dava segni di vita. Estratto dalla sua macchina e portato in ospedale, morì poco dopo il ricovero causa le ferite riportate nella zona toracica, che resero fatale l’inalazione delle sostanze estinguenti che preclusero ogni possibilità di rianimarlo, aveva inoltre subito la frattura della gamba sinistra e della caviglia destra. In occasione del primo test con l’Osella, Paletti disse: “le F1 sono pericolose, troppo pericolose, ci vuole un nulla per farsi molto male“, purtroppo aveva ragione; oggi riposa nel Cimitero Maggiore di Milano e in suo onore vennero istituiti vari riconoscimenti negli anni seguenti alla sua morte, tra cui il trofeo “Paletti – Italia che vince” di Autosprint, assegnato al pilota o team italiano che avevano ottenuto i migliori risultati a livello internazionale, inoltre è intitolato a suo nome l’Autodromo Riccardo Paletti di Varano de’ Melegari in provincia di Parma. Cavalieri del rischio
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