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sundance76

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  1. Intervista di Danilo Castellarin a Walter Rohrl apparsa nell'aprile del 2006 su Auto d'Epoca:

     

    L’anno prossimo lei compirà sessant’anni, un traguardo importante nella vita di un uomo. Voltandosi indietro, quali sono i ricordi più importanti, belli o brutti che siano?


    Ce ne sono due che ogni tanto affiorano nella memoria. Il primo mi vede ancora bambinetto di sei anni. Siamo nel 1953 e sono nel cortile dell’azienda di mio padre Michel, che si occupava di lavorazione della pietra. In un angolo è parcheggiata la grossa Fiat 1400 di papà che è in ufficio con un cliente. Io apro la porta, salgo sull’auto e mi siedo in equilibrio sul bordo del divanetto anteriore. Poi ripasso con la mente tutti i movimenti che avevo visto fare decine di volte. Giro la chiavetta, tiro il pulsante d’accensione, metto in moto. Schiaccio il pedale della frizione e tiro verso di me la grossa leva del cambio. Poi la spingo in su, verso lo specchietto, accelero piano piano e lascio con delicatezza la frizione, miracolo, la macchina si muove.


    E suo padre non si accorge di nulla?


    No, si accorge di tutto perché esce dall’ufficio con il cliente e vede la 1400 che gira piano. Io accosto, metto la frizione, freno, giro la chiavetta e mio padre, invece di sgridarmi, mi dice ‘Bravo Walter, sai già guidare’. Fui molto orgoglioso di quel riconoscimento.


    E il secondo ricordo?


    Riguarda Michael, il mio fratello più grande, che aveva lo stesso nome di papà. Negli anni Sessanta aveva una Porsche e mi portava a sciare con la sua ragazza. Lo ammiravo moltissimo.


    Che cosa accadde?


    Una sera d’estate del 1965 Michael ebbe un grave incidente e si uccise appena fuori Regensburg. In una lunga curva che piegava a destra si trovò davanti un anziano con una piccola Goggomobil, appena 400 cc. Lui si buttò fuori, sulla sinistra, per tentare di superarla, ma la Porsche sbandò e finì contro un camion che proveniva in senso opposto. Michael morì subito dopo il ricovero in ospedale.


    Oggi, dopo molti anni dalle sue straordinarie vittorie, la folla l’accoglie sempre con molto affetto e calore. Che effetto le fa?


    Conoscono più loro la mia carriera agonistica, anche nelle minime cose, di quanto la conosca io stesso. Questo abbraccio tenero di ricordi, di entusiasmo e affetto mi tocca il cuore e mi scalda dentro. Sono davvero grato a tutti gli appassionati e a volte mi sembra perfino di non meritare un’accoglienza così festosa perché mi sento un uomo maledettamente normale, per giunta da vent’anni non corro più..


    Per lei i rally sono stati anche scuola di vita?


    Certamente sì. I rally mi hanno insegnato la disciplina perché a un certo punto della mia gioventù mi sono detto ‘Voglio diventare il numero uno dei rally mondiali’. E per arrivare a questo risultato ho dovuto sacrificare tutto il resto, osservando una ferrea disciplina. Ho capito fin dalle prime gare che il successo non cadeva da cielo per magia ma invece il risultato di una serie di elementi complessi: uno di questi era il rigore.


    Che cosa provava quando, nonostante l’impegno, i direttori sportivi penalizzavano il suo risultato per, chiamiamole così, esigenze di scuderia?


    Quando ho corso per la Fiat ho avuto una grande fortuna perché ancora non capivo una parola d’italiano e dunque, anche se ci fossero degli intrighi, non li avrei capiti.


    Sicuro di ricordare bene? A me risulta che, a volte, la convivenza con Markku Alen non fu sempre stata serafica….


    Alla Fiat arrivai quasi per caso al Rally San Martino di Castrozza 1977. Poi rimasi per lungo tempo conquistando il mio primo titolo mondiale (1980), dunque non posso che serbare un ottimo ricordo.


    Tuttavia..


    Tuttavia a volte nei rally non sempre vince il pilota più veloce perché, effettivamente, la direzione sportiva poteva decidere che in un certo anno doveva vincere un certo pilota e questo per la strategia del gruppo.


    E gli altri?


    Dovevano aiutare.


    Lei lo ha sempre fatto?


    Beh, Giorgio Pianta a volte mi diceva che Markku Alen spingeva per avere i motori più potenti. Ma mi trovavo bene con Daniele Audetto, il nostro ds, perché con lui il rapporto era sincero e diretto. Non fu la stessa cosa, almeno all’inizio, con Cesare Fiorio.


    Anche lei era un pilota molto sincero. Ricordo che al Rally di Sanremo 1978, lei uscì di strada con la 131 Abarth, mentre era davanti alla Stratos di Alen, e atterrò sul tetto di una casa. Audetto le propose una via d’uscita diplomatica, come aveva fatto Mauro Forghieri al Fuji due anni prima con Lauda.


    Daniele mi suggerì di raccontare ai giornalisti che l’uscita di strada era dipesa dalla sabbia sulla curva. Io lo guardai e gli dissi che per pretendere il rigore dagli altri bisognava essere rigorosi prima di tutto con se stessi. E dissi ai giornalisti di tutto il mondo che io avevo osato troppo, che io avevo guidato male, che io avevo sbagliato e dunque, io, solo io, mi ero giocato la gara, dannazione!


    Molto tedesco, devo dire.


    Anche al Montecarlo 1979 cercai di essere coerente e tedesco, come dice lei. Al via dell’ultima speciale c’era Waldegard in testa su Ford, a sei secondi Darniche su Stratos e ad altri sei secondi c’ero io su Fiat 131 Abarth. Pianta mi viene vicino e mi dice ‘Dai Walter, dobbiamo rischiare il tutto per tutto, meglio togliere il limitatore bloccato a 8000 giri e giocare l’ultima chance’. Io lo guardo dritto negli occhi e gli dico ‘Non farlo, il motore esplode, non può reggere’. I meccanici obbediscono a Pianta e tolgono il limitatore. Dopo cinque chilometri la 131 si ferma con il motore in briciole.


    Comunque l’anno dopo vinse lei, battendo tutti i suoi compagni dello squadrone Fiat con piloti del calibro di Andruet, Waldegard, Alen


    Ricordo che alla vigilia di Natale Audetto insisteva per restare al Turini e provare le nuove Pirelli. Io gli dissi ‘Daniele, tu resta con chi vuoi ma io il Natale lo trascorro a casa mia, a Regensburg’. Lui mi guardò pallido e allucinato e io aggiungi ‘Tanto questo Montecarlo, prove o non prove, lo vinco io’. E così fu.


    Due anni dopo, nel 1982, con la Opel Ascona 400, sul Col de la Madone, rifilò addirittura mezzo minuto di distacco all’Audi Integrale di Mikkola


    Audi teneva molto a quella vittoria. Evidentemente non poteva contare sul pilota migliore….

     

    Perché non ha mai amato il Safari africano?


    Poichè temevo gli insetti e le malattie tropicali e poi perché ritengo che quelle marce lunghissime, estenuanti, non c’entravano molto con un vero rally di velocità. Il Safari non era un rally ma una maratona, un raid, insomma un’altra cosa. In una edizione io e Geistorfer restammo letteralmente prigionieri delle sabbie mobili e della melma. I meccanici urlavano, ci imploravano di venire fuori. Ma io tenni le porte ben chiuse mentre l’auto sprofondava lentamente e dissi alla radio che non sarei mai uscito dall’auto se prima non mi tiravano fuori da quella merda.


    Un’altra avventura le capitò al Rally Costa d’Avorio 1982


    Stavamo rimontando alla grande sull’Audi di Michelle Mouton al comando della gara, quando, nel bel mezzo di una marcia di 600 km in una foresta, troviamo la strada sbarrata da un tronco. Freno di colpo e il motore si spegne. Un guaio perché il motorino di avviamento era k.o. Allora spingiamo l’Opel e in qualche modo riusciamo a riavviarla, in retromarcia. Ma restava il tronco da superare.


    In che modo?


    Semplice. Pensai che se Christian Geistdorfer, il mio navigatore, fosse saltato sul tronco proprio nel momento in cui ci passavo sopra con la Opel, dopo essermi lanciato con una breve rincorsa, forse l’ostacolo si sarebbe un po’ appiattito verso il terreno fangoso, abbassando la barriera. Concordammo la manovra e partii con Christian appostato sull’albero. Ma le cose andarono diversamente. Non avevamo previsto che il peso dell’Ascona avrebbe potuto trasformare il tronco in una catapulta. Cosa che realmente accadde, sparando Christian a tre metri di altezza, fortunatamente senza conseguenze….


    Nel 1983, col titolo di campione del mondo 1982 in tasca, lei tornò a Torino, chiamato da Cesare Fiorio a guidare la Lancia Rally 037 a trazione posteriore


    Fu una splendida stagione con tre vittorie, Montecarlo, Grecia e Nuova Zelanda, ma soprattutto senza nessuna ambizione di titolo mondiale, la qual cosa mi permise di correre in modo rilassato. Unico neo, il Sanremo, dove Fiorio convinse i commissari a rifilarmi due minuti di penalità per togliermi ogni velleità di vittoria contro Alen, vincitore designato. Ecco, non c’era bisogno di fare così. Io le consegne le avrei rispettate lo stesso, anche se il più veloce ero io.


    Fu per questo che l’anno dopo disse ‘Signori, è stato bello grazie, ma io me ne vado all’Audi’?


    L’Audi era una Casa tedesca e voleva un bravo pilota tedesco. Venne a chiedermelo il mio vecchio amico Dieter Scharnagl, capo della comunicazione del gruppo. Mi disse: ‘In azienda ci sono ventottomila dipendenti che lavorano per la vittoria e tu, che sei bavarese e sei pure il miglior pilota da rally del mondo, guidi per la Lancia, così non va’. Potevo tirarmi indietro?


    Certamente no. Però non fu cosa facile adattarsi alla guida della trazione integrale Audi. O sbaglio?


    Effettivamente ne distrussi qualcuna prima di prenderci la mano. Poi capii, osservando Stig Blomqvist, che bisognava tenere il piede sinistro ben piantato sul pedale del freno e modulare la pressione del destro sull’acceleratore.


    Imparò bene perché nel 1984 portò all’Audi la prima vittoria al Rally di Montecarlo, la quarta per lei, e sempre con auto diverse, un record


    Purtroppo non ho avuto fortuna con il direttore sportivo Roland Gumpert che non mi dava le stesse gomme che dava a Blomqvist e Mikkola. E’ paradossale che i problemi maggiori della mia carriera li abbia avuti con una Casa tedesca. Probabilmente volevano farmi pagare il conto dei campionati del mondo che avevo vinto per la concorrenza negli anni precedenti. A Montecarlo 1984 partii con il numero 1, Blomqvist con il 7, Mikkola con il 12, mi pare. Mi assicurarono che avevamo tutti e tre le stesse gomme. Invece le mie erano diverse da quelle dei miei due compagni, solo che io non lo potevo sapere perché loro due partivano dopo di me.


    Risultato?


    Nelle prime due prove speciali del ‘Monte’ beccai distacchi abissali: 38 secondi alla prima PS e un minuto e mezzo nella seconda. Ero letteralmente a terra, molto demoralizzato. Ma fui fortunato perché un mio caro amico mi venne a trovare al punto di assistenza e mi disse che mi aveva visto passare in prova e si era entusiasmato. ‘Sei sempre il più grande Walter’. Io ripresi fiducia e affrontai un meccanico Audi. Andai da lui perché mi sembrava più sincero degli altri e gli dissi ‘Voglio la verità’. E lui dopo molte titubanze mi raccontò che Gumpert aveva ordinato di montare sulle altre Audi ufficiali, che partivano dopo di me, pneumatici diversi da quello che avevano montato sulla mia. Lo facevano non appena ero partito, così non potevo neppure accorgermene, avendo il numero 1.


    Chi volevano favorire?


    Credo soprattutto non volessero favorire me.


    Come andò a finire?


    Feci una scenata magistrale. Andai dai dirigenti Audi e dissi chiaramente che del titolo non mi importava granché e quello potevano farlo vincere a chi volevano, ma il Monte lo volevo io.


    E loro?


    Montarono le gomme giuste e in ogni prova speciale iniziai a guadagnare prima un minuto e poi un minuto e mezzo sui miei diretti avversari, a parità di macchina e di gomme. La gara la vinsi io. E serbo ancora oggi molta amarezza per quella condotta davvero poco trasparente. A fine anno, il titolo marche andò all’Audi e Blomqvist fu campione del mondo.


    Quando capitano episodi del genere è possibile vivere serenamente con la squadra per la quale di corre rischiando la vita?


    E’ difficile. Ma fa parte della freddezza che un vero professionista non deve perdere mai. Credo capiti in tutti i lavori. Certamente il rally visto dalle curve, cioè da parte degli spettatori, è più pulito e più magico di quanto a volte non sia dalla parte del pilota che, per una ragione o per l’altra, deve subire ordini e adattarsi a circostanze imposte dall’alto.


    E con Blomqvist, restò separato in casa oppure ricucì la ferita?


    Ai miei compagni Blomqvist e Mikkola io non ho mai lesinato una sincera collaborazione. A Sanremo, per esempio, c’era un solo treno di gomme buone ed io, pur essendo in testa, lo cedetti a lui, a Stig, anche se avevamo concordato prima di partire che le gomme migliori sarebbero spettate a chi conduceva la gara. ‘Per me è lo stesso’, dissi io. ‘Lui è il campione designato, dategli pure le gomme migliori’, dissi ai meccanici. E riuscii comunque a rifilargli un minuto. Insomma, la mia rabbia l’ho trasformata in energia.


    Che cosa provava quando vedeva morire in gara qualche amico?


    Mi ricordo quando morì Attilio Bettega. Mi ritrovai a pensare seriamente ai rischi delle gare su auto esasperate come le Gruppo B. Conclusi che l’unica strada per venirne fuori era restarci dentro. Affrontare la nuova sfida con grande professionalità, metodo, preparazione e cercando di avere una condotta di gara e una preparazione sportiva che contribuisse a contenere quanto più possibile i rischi e le conseguenze negative di ogni mia azione.


    Molto scientifico e razionale


    Non si vince mai solo con il cuore. Nemmeno si sopravvive.


    E’ mai stato condizionato dalla folla che sfiorava la sua macchina che lei era in controsterzo? Ha mai alzato il piede pensando alla carneficina che avrebbe potuto provocare?


    Il primo anno, davanti al muro di folla, effettivamente alzavo il piede. E beccavo molti secondi dai miei avversari. Una notte il DS Opel si avvicinò e mi disse ‘Walter che succede?’. Io lo guardai negli occhi e risposi che non potevo mettere a repentaglio la vita di tanti ragazzi. Lui mi chiuse la bocca con la mano e replicò che ero pagato per vincere e non per preoccuparmi degli idioti che c’erano in giro. ‘La vita è loro’, disse, ‘Se la giochino come meglio credono’.


    Quando è stato il momento preciso in cui lei ha detto a se stesso ‘Voglio diventare campione del mondo’?


    All’inizio della carriera il titolo non esisteva ancora. Ma devo onestamente ammettere che a me è sempre importata soprattutto una gara, molto più del titolo, il Rally di Montecarlo.


    Quali sono le qualità più importanti per un rallyman? 


    Freddezza per calcolare esattamente il rischio, sacrificio per resistere alla fatica, prudenza per difendere la propria vita, paura per non superare mai il limite e motivazione per dare il meglio di se stessi. Vede, molte volte correre in auto può dare sensazioni travolgenti e eccitanti, paragonabili a una trance, che impedisce di restare lucidi. Il rumore del motore, i colori, il senso di velocità, la competizione, l’impegno di una intera squadra che lavora per te, ecco tutto questo può intaccare la tua lucidità analitica, la tua capacità di autodeterminazione.


    Con quali conseguenze?


    Questo è il rischio maggiore per una pilota da corsa: perdere il completo controllo di se stessi. Intendiamoci, si può vincere anche così, credendo sempre di poter andare oltre, di venirne fuori, in qualche modo. E’ capitato nei rally e anche in Formula 1. Ma è un modo di correre e di vincere dannatamente rischioso.


    Che cosa hanno perduto i rally moderni rispetto a quelli della sua stagione sportiva?


    Quattro cose: la neve, la notte, la lunghezza e la fatica. Oggi sono gare sprint. Io ho guidato anche per quaranta ore consecutive. Inoltre venti o trenta anni fa le auto non erano affidabili come quelle di oggi. E in quelle gare massacranti bisognava preoccuparsi sempre dell’auto per portarla a casa.


    Quali piloti ricorda con maggiore affetto?


    Markku Alen, Sandro Munari e Attilio Bettega.
     

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  2. 6 minuti fa, duvel ha scritto:

    Effettivamente non c'è la sicurezza che il vecchio sistema fosse decaduto ma la volontà di farlo decadere con nuovi punteggi però, ovviamente sempre a mio avviso, non è stato neppure automatico che in mancanza di approvazione del sistema nuovo valesse ancora il vecchio altrimenti la discussione non si protrarrebbe da quasi ottant'anni.

    Come avete già detto l'assurdo è stato proseguire la stagione senza regole e chissà che non fosse neppure così importante, ricordiamoci che all'epoca un singolo Grand Prix aveva un' importanza eccezionale e vincerlo aveva tutt'altra valenza rispetto alle epoche successive.  Quasi un campionato a sè, come da sempre è arrivare primi a Le Mans

    Proprio così.

    E' il modo di intendere la competizione che è cambiato. Oggi conta soprattutto il Campionato, e le gare (con la g minuscola) sono tappe viste esclusivamente "in funzione di". 

    Invece all'epoca il Campionato era un "di più", una prestigiosa medaglia di fine stagione. Ma contava innanzitutto correre e vincere i Grand Prix. Poi, che la Federazione assegnasse un determinato punteggio a GP selezionati, poco cambiava.

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  3. 36 minuti fa, Ferrari F1 ha scritto:

    Vedi invece com'è attrezzata la Honda. Avranno 18 PU per 4 giorni 

     

    Mi fa venire in mente il Safari '82, quando la squadra ufficiale Datsun (Nissan) per vincere il rally con Mehta (alla sua quinta vittoria, quarta consecutiva, sulle strade per lui casalinghe) portò una bestiale scorta di ponti posteriori, che si rompevano in continuazione dopo qualche centinaio di km. Si perse il conto dei cambi fatti....

    (N.B. la gara era di 5012 km cronometrati. In pratica, una dozzina di Montecarlo attuali....)

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  4. 31 minuti fa, znarfdellago ha scritto:

    Salve a tutti

    è chiaramente un busillis destinato a far arrovellare chi ha curiosità per quel periodo e piacere per discussioni puramente accademiche (appartengo ad entrambe le categorie) ma al di là di questo resta che qualsiasi proposta di "un" Automobil Club (nello specifico quello Belga ) ha valenza 0 in assenza di ratifica ufficiale, che non c'è stata, e anche il notificare che si sarebbe stabilito un nuovo regolamento, rimandando di fatto la definizione dello stesso non fa decadere il precedente, sempre per la mancanza di quell'ufficialità che sancisce "de facto" il nuovo che avanza. Quindi a mio parere (franzpensiero come sempre) Müller campione perché con quelle regole è quello che ha fatto meglio, anche del "mitizzato" Lang e quindi .... se lo scopo è riassegnare i titoli in base alle prestazioni mi vengono subito in mente quei campionato in cui il pilota più vincente non abbia colto il risultato massimo o i viceversa (ritornato alla memoria proprio di recente) ma di cosa staremmo in effetti discutendo? Quell'assenza di regole in realtà a mio avviso è una sospensione in attesa del cambiamento, che non essendoci stato ne ha di fatto prolungato la validità con relativa applicazione; si parla infatti di rinvio della decisione del sistema da utilizzare manifestando la reale volontà di un cambiamento ma niente più ... 

    Ma seguirò ancora la discussione perché sono comunque intrigato dall'eventualità che appaia da chissà dove un documento che chiarisca, o più semplicemente ci provi, la querelle ...

    alla prossima

    Franz

    Franz, ma è proprio come dici tu: è sicuramente un divertissement per i (pochissimi) appassionati di storia automobilistica, infatti la parola "mistero" l'ho messa tra virgolette, per indicare che si tratta di una curiosa circostanza storica, che ha lasciato "incompiuta" una stagione, e di riflesso un'intera epoca che con la guerra tramontò definitivamente.

  5. 9 minuti fa, Paolo93 ha scritto:

    Per me non c'è nessun vincitore dichiarato. In base alla scelta dell'AIACR sul sistema di punteggio sarebbe stato dichiarato il vincitore. Certo è che la situazione non era bella visto che poteva essere accusata di favoritismi.

    Pensa che dopo i Campionati Mondiali del 1925, 1926 e 1927 (vinti da Alfa, Bugatti e Delage) l'AIACR continuò a indire il Mondiale per altre tre stagioni, dal 1928 al 1930, ma il titolo venne espressamente dichiarato non assegnato perché in quei tre anni quasi tutte le corse in calendario rifiutarono la formula tecnica vigente, e quindi non si riuscì a soddisfare i requisiti minimi per assegnare il Campionato.

    http://www.kolumbus.fi/leif.snellman/cha.htm

  6. 7 ore fa, sundance76 ha scritto:

    Muller, a quanto testimoniano i suoi conoscenti, rimase amareggiato e rivendicò che le regole da considerarsi valide erano quelle degli anni precedenti, perché non vi era stata alcuna decisione ufficiale dell'AIACR che modificasse i punteggi (lo schema di punteggio elaborato da Langlois non venne mai approvato ufficialmente, a quanto si sa, perché l'Assemblea non poté più riunirsi dopo lo scoppio del sanguinoso conflitto mondiale).

     

    Questo è tutto quello che ho ricavato circa il punto di vista di Muller sulla questione.

    Muller, oltre ad aver vinto il Grand Prix di Francia 1939, era anche un ottimo motociclista, Campione del Mondo 1955 nella 250 cc ed è a tutt'oggi il più anziano vincitore di una gara del Motomondiale, a 46 anni.

    E' morto il 30 dicembre 1975 all'età di 66 anni.

  7. Nel librone "Racing the Silver Arrows - Mercedes Benz versus Auto Union 1934-1939" c'è una lunghissima testimonianza diretta di Hermann Lang (sarebbe morto l'anno successivo alla pubblicazione, 1987) in cui quando il tedesco arriva a raccontare della stagione 1939, dopo la terza delle quattro gare di campionato, dice: "Ormai tra me e il titolo c'era solo un avversario: Caracciola". E comunque in tutte le pagine del lungo racconto, Lang non fa minimamente cenno a Muller, che comunque con entrambi i punteggi era in realtà il suo vero avversario....

  8. 5 minuti fa, Andrea Gardenal ha scritto:

    Interessante come si inserisca la clausola che un pilota, per essere proclamato campione 1939, sarebbe dovuto arrivare almeno una volta primo e una volta secondo, oltre ad ottenere più punti di tutti. Allo stesso modo si sarebbe imposto, a partire dal 1940, che se il campionato avesse contato più di 5 gare un pilota, per vincerlo, avrebbe dovuto conquistare almeno due vittorie.

    Un minimo di senso c'era: almeno evitava con certezza che il titolo andasse a chi non vinceva nemmeno una gara, cosa accaduta nel 1931. Minoia fu dichiarato Campione d'Europa grazie ai piazzamenti:

    http://www.kolumbus.fi/leif.snellman/cha1.htm

    • Like 1
  9. 19 minuti fa, 330tr ha scritto:

    Personalmente mi sembra più ragionevole pensare a Lang come campione '39.

    Io mi son fatto l'idea che fosse un manico eccezionale, credo un gradino sopra il misconosciuto Muller. I risultati continuativi su una pista come Tripoli lo dimostrano apertamente.

    Se poi dobbiamo guardare freddamente a acriticamente le tabelle FORSE Muller potrebbe assurgere a campione...ma sarebbe un titolo "postumo" davvero meritato?

    Inoltre: ha senso dibattere su questo a distanza di eoni? Quando si potrà mai considerare storicizzato il risultato? 

    Badate bene: qui non si tratta di ripristinare un torto subito, ma di "leggere" un risultato a posteriori che pure ai tempi appariva intricato, e si ingarbugliò vieppiù con la guerra e sue conseguenze.

    Insomma: nel dubbio io voto Lang. Titolo strameritato.

    Sì, Lang di fatto fu il dominatore della stagione '39, su questo non si discute.

    Diciamo che la discussione sviluppatasi negli anni tra gli storici aveva cercato di individuare una "decisione ufficiale" che potesse almeno stabilire quale punteggio fosse in vigore, e finora non è emerso nulla. 

     

  10. Muller, a quanto testimoniano i suoi conoscenti, rimase amareggiato e rivendicò che le regole da considerarsi valide erano quelle degli anni precedenti, perché non vi era stata alcuna decisione ufficiale dell'AIACR che modificasse i punteggi (lo schema di punteggio elaborato da Langlois non venne mai approvato ufficialmente, a quanto si sa, perché l'Assemblea non poté più riunirsi dopo lo scoppio del sanguinoso conflitto mondiale).

    Tuttavia, per gran parte della letteratura sportiva, Lang è rimasto spesso indicato come il Campione '39.
    Anche Lang si è sempre dichiarato Campione d'Europa, ma stranamente lui e alcuni storici ignorano totalmente Muller nelle loro classifiche, forse per coprire il pasticcio.

    Ci sono anche altre teorie.

    Una è quella, di tipo "geopolitico", secondo la quale, in una guerra tra regimi fascisti contro le democrazie parlamentari, proclamare Muller campione sarebbe stato visto come una cosa "ridicola", nel senso che su 8 gare stagionali Lang ottiene 5 vittorie, fa 7 giri veloci e 4 pole position, e nonostante questo poi verrebbe dichiarato campione Muller che ha vinto solo 1 gara... 

    Quindi il regime nazista avrebbe ritenuto più "opportuno" dichiarare Lang vincitore, in quanto effettivo dominatore della stagione e quindi più "presentabile" come Campione d'Europa 1939.

    C'è anche l'ipotesi che la Mercedes (team di Lang) fosse più benvista dai vertici nazisti rispetto all'Auto Union (team di Muller). Molte fonti indicano Hitler come tifoso Mercedes. 

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  11. 3 minuti fa, The Rabbit ha scritto:

    Un mistero che probabilmente non verrà mai risolto. Strano che la FIA non abbia mai voluto chiarire la questione, nemmeno a posteriori magari, confermando campione Müller o chiarendo la questione di Lang.

    Nell'immediato dopoguerra, le questioni che riguardavano la Germania venivano spesso "rimosse". Fra l'altro, ai piloti e alle Case tedesche fu proibito di gareggiare in competizioni internazionali fino al 1950.

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  12. Qui di seguito vi segnalo alcune citazioni dalle riviste dell'epoca che fanno capire la confusione dovuta al fatto che non si sapeva con sicurezza quale era il punteggio in vigore, semplicemente perché la Federazione aveva stoltamente deciso di... decidere in seguito, magari a campionato già concluso (ma poi scoppiò la seconda guerra mondiale). Così alcune riviste affermano che sono ancora in vigore le vecchie norme-penalità (quindi Muller campione), altre invece affermano che vale il nuovo punteggio 10-6-5...(quindi Lang campione), altri ancora ammettono di non sapere proprio quale sistema sia in vigore!!

    The old rules are in use.
    (MOTOR und SPORT No. 30, 23 July 1939, page 31)

    The Italian GP is definitely off.
    Confusion over which rules apply, the magazine shows both tables.
    The Germans prefer the old rules, the French the new ones. 
    (Automobil-Revue No 63, 4 August 1939)

    "Der Meister Unbekannt!" (We don't know who is Champion!) 
    (Automobil-Revue, after the Swiss GP)

    "At the moment it seems that Hermann Lang will be European Champion of 1939. 
    He is leading at present with Muller (which is fairly surprising) next up, ahead of 
    Caracciola." 
    (Motor, 29 August 1939 page 169)

    "Hermann Lang, I suppose, must be adjudged European Champion" 
    (Motor, 12 September 1939 page 239)

    So Lang's 1939 title is strange and doubtful. Obviously AIACR was never able to come to an agreement. Everybody agrees that Lang deserved the title as the best driver that year but, if the rules were not officially changed, rightfully the title should have gone to Muller. The reason Huhnlein suddenly prefered the French system giving the championship to Mercedes-Benz driver Lang over Auto Union driver Muller remains a mystery. It is however notable that 60 years later professional racing book authors and GP historians still seem hesitant to take up the subject. (dal sito "The Golden Era of Grand Prix Racing").

     

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