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Arnaldo Cavallari


sundance76

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Omaggio al primo vero rallysta italiano, 4 titoli italiani assoluti (1962, 1963, 1964, 1968) e 1 di gruppo (1971), 2 titoli internazionali (Mitropa Cup e Trofeo Csai Internazionale rally entrambi nel 1966), 6 mogli, 9 figli, innumerevoli aziende in giro per il mondo che producono e diffondono il pane italiano.

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La filiale Fiat in Argentina per promuovere i nuovi modelli sul mercato sudamericano inventò una competizione monomarca chiamata "El desafio de los Valientes", "la sfida dei valorosi". Nel 1972 il modello da promuovere era la berlina Fiat 125 bialbero e la competizione era tra 18 campioni, nove europei e nove locali.

Cavallari fu chiamato da Cesare Fiorio per correrci. Questo è il diario dell'avventura argentina:

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  • 5 months later...
  • 4 months later...
  • 1 year later...

Cavallari (a destra) con un giovanissimo Sandro Munari, alla partenza del 1° rally Jolly Hotels, 1965. Una competizione che prefigurava il Giro d'Italia automobilistico, con prove su strada, in circuito e in salita che iniziava in Sicilia e risaliva la penisola fino a Trieste. 

Con l'Alfa Giulia GTA del Jolly Club, e nonostante un volo nel lago di Pergusa, sono primi assoluti fino a Teramo, poi lo sterzo e le sospensioni (provate dall'iniziale incidente) cedono, e la Giulia finisce contro un palo. Ritirati.

 

 

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  • 1 year later...

Arnaldo è morto ieri :(

http://www.quattroruote.it/news/rally/2016/04/03/addio_al_favoloso_pilota_di_adria_scomparso_il_grande_arnaldo_cavallari.html

Addio al favoloso pilota di Adria

Scomparso il grande Arnaldo Cavallari

Il padre dei rally di casa nostra, il pilota che ha vinto tanto e che tanto ha fatto perché altri piloti diventasse campioni affermati, è morto la sera del 2 aprile, tristemente solo. Arnaldo Cavallari oltre a essere stato un asso del volante è stato il simbolo di una disciplina che prima di lui era patrimonio degli assi scandinavi e dopo è diventata grande con le auto e i piloti italiani.

Era velocissimo sia sull’asfalto che sulla terra, capace di vincere in pista e in salita poi si era tuffato con il massimo impegno nei rally dove ha collezionato quattro titoli tricolori, una Mitropa Cup e un titolo del Granturismo di serie. Un palmares strepitoso perché messo assieme quando le gare erano durissime e le vetture erano fragili.

Famoso anche per aver scoperto il talento di Sandro Munari, il Vecio (come lo chiamavano tutti nel giro) sapeva combinare al meglio l’irruenza della guida con l’intelligenza, qualità indispensabile al suo tempo per riuscire a portare in fondo alle gare la vettura.

Nato il 12 luglio 1932, aveva chiuso la carriera verso la metà degli anni ’70 con varie partecipazioni alle corse africane. Ha corso e vinto con le Alfa Romeo Giulietta, Giulia Quadrifoglio e Gta, poi con le Lancia Fulvia HF e pure con la Porsche. Dopo si era tuffato nel mondo del pane (sua l’ideazione della famosissima ciabatta polesana) perché la famiglia da sempre aveva un’attività legata ai mulini ed alla farina.

Generoso oltre misura, aveva dissipato una fortuna per sostenere le attività sportive e sociali sul suo territorio, la città di Adria in particolare, ben poco ricambiato e via via abbandonato da troppi quando gli affari avevano smesso di girare; fino a chiudere in maniera tristissima la sua esistenza nell’indifferenza totale ed in grossissime difficoltà economiche. F.C.

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  • 11 months later...
  • 3 months later...
  • 2 years later...

LA "QUASI" MACCHIA NERA

"Ebbene sì. Anch'io. Lo sportivo integerrimo. Ci sono cascato anch'io. Una macchia nera. O meglio, una "quasi" macchia nera.

Si correva il rally di Sardegna 1966. Estemporaneamente, tornavo al volante della Giulia Quadrifoglio. Più adatta. Su quelle stradine sassose la Gta non avrebbe retto. Io e Dante Salvay eravamo in lotta per l'assoluto contro la Fulvia HF di Cella. Prima di arrivare a Nuoro, affrontammo una prova in salita. E lì, improvvisamente, senza preavviso, il motore cedette, fuso. Riuscii a portare la Giulia fuori della prova speciale. Subito dietro arrivò un'altra Giulia del Jolly Club. Noi col numero 64, loro con il 66.

- Invertiamo i numeri di gara - propose Salvay - mettiamo il 66 sulla vettura 64. Noi continuiamo, perché possiamo vincere, gli altri si ritirano...

Voleva dire sostituzione di auto. Voleva dire "barare". Nella demenziale concitazione, tutti dissero di sì. Io compreso. I numeri cambiarono di portiera. Con la Giulia sana andai a fare la prova successiva, la salita Nuoro-Monte Ortobene. Finì la prima tappa. Eravamo primi.

Notte. Insonnia, il rimorso. La coscienza si ribellava. E mi faceva star male.

Dal cervello allo stomaco, era tutto sottosopra.

"No Arnaldo - mi ripetevo -, queste cose no".

Ero caduto nella frode, ma potevo ancora vanificarla.

Il mattino dopo comunicai a Salvay che non si ripartiva. Tutti a casa. Non me la sentivo di continuare.

Non era ancora giunto il momento di vendere l'anima al diavolo".

(Arnaldo Cavallari, campione italiano rally 1962-1963-1964-1968)

Foto di repertorio della stagione precedente

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  • 1 year later...
LIEGI-SOFIA-LIEGI
 
Cavallari racconta
 
I rally... Mondo boia, ne sentivo parlare, ma non li vedevo, non li toccavo. Il Rally di Montecarlo, la Coppa delle Alpi, la Liegi-Roma-Liegi. Le leggende si sprecavano. - Hai presente la Mille Miglia? Peggio, molto peggio. Una sfida prima con sé stessi, poi con gli altri. Auto e uomini messi alla prova come in nessun'altra competizione automobilistica. In confronto, quelle che in Italia chiamano rally sono delle scampagnate.
 
Il guanto di sfida mi fu lanciato più volte. Finché non arrivò il momento di accettarla.
 
Mi iscrissi alla Liegi-Roma-Liegi 1960. Una maratona che manteneva il nome originario, ma in realtà non passava più da Roma, bensì da Sofia, in Bulgaria. Saltò fuori anche un appassionato disposto a seguirmi: Milani, un giovanotto benestante che poi fece il petroliere, finendo male.
 
Immaginavo una gara estenuante, mi trovai di fronte un'impresa estrema. Figuriamoci, poi, se affrontata con una Giulietta come la mia, una metafora dell'auto da corsa.
L'avventura durava dal 28 agosto al 5 settembre: 4654 chilometri in auto, ininterrottamente, senza dormire, saltando i pasti. Neanche il tempo per fermarsi a fare la pipì. La Giulietta stipata: due ruote di scorta, ricambi vari, valigie, Dalla Jugoslavia verso Sofia fu sofferenza pura. Strade che non erano neppure segnalate sulle cartine, le mulattiere dei Balcani. Pietre aguzze, nuvoloni di polvere, il volante che scappava dalle mani, massi che sfondavano, i pneumatici che si squarciavano. La Giulietta sembrava in balia degli eventi. La marmitta penzoloni, i freni finiti. Un calvario. Una corsa contro il tempo. In affanno costante.
 
Al comando della corsa erano balzati i francesi Oreiller-Masoero con una Giulietta Ti ufficiale, preparata dall'italiana Conrero. Mantennero il comando fino all'ultima tappa italiana. Poi, verso la Jugoslavia, capitolarono. Prima passò la Citroen ID di Trauttmann-Coltelloni, anche due specialisti francesi di rally su lunga distanza. lo tiravo avanti da disperato. Se non altro, la costanza di marcia mi consentiva di arginare il divario.
 
Circa a metà gara, la classifica era meno disastrosa del previsto: venticinquesimi, gli unici italiani rimasti in gara. I ritiri non si contavano più. Equipaggi finiti, auto distrutte. Avevo il morale sotto i tacchi. La Giulietta stava perdendo i pezzi. Quando entrammo nuovamente in Italia, la mia corsa era destinata a concludersi. Al Brennero, l'ancora di salvezza. Quella brava persona dell'avvocato veneziano Luigi Stochino, pioniere dei rally veri in Italia, era riuscito in extremis a convincere l'Alfa Romeo a darmi una mano. Alcuni meccanici e un furgone attrezzato arrivarono in soccorso. La Giulietta entrò in sala rianimazione. Ne uscì non dico pimpante, ma con una certa vitalità ritrovata. Ripartimmo fiduciosi. I passi alpini non finivano mai. Un tormento. Giù dal Tonale. La pianura, miraggio diventato realtà. Una realtà impietosa.
 
Al controllo orario di Rovereto, in piena notte, arrivano con un ritardo di 15 minuti e 45 secondi. Fuori tempo massimo. Mi ritirarono la tabella di marcia. Era finita. Una mazzata micidiale. Le lacrime s'imbrattarono con lo sporco, con il grasso. Lunghi rigagnoli oleosi lungo il viso già sfigurato dalla stanchezza. Milani, a sua volta, era un ectoplasma. In un'ultima, perversa allucinazione tentai maldestramente di corrompere i responsabili del controllo orario. Implorai loro di falsificare l'orario d'arrivo. Capirono la situazione, non mi presero sul serio.
 
Andarono a vincere Pat Moss – Ann Wisdom , due donne mascoline, lei sorella dell'asso Stirling Moss , su un'auto che rispetto alla mia era un bolide, l'Austin Healey 3000. Fu una corsa disumana che servì ad aprirmi gli occhi. Superato lo shock del ritiro, mi rinfrancai. Erano quelle le mie corse.
 
(Arnaldo Cavallari, "Una vita nel sole - i rally, il pane, le donne")

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