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sundance76

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  1. sundance76

    Nino Vaccarella

    Oggi è scomparso il grandissimo Nino Vaccarella, il "Preside volante", fuoriclasse delle competizioni di durata tra gli anni '60 e '70. Cerco di onorarlo postando una sua bella intervista realizzata da Danilo Castellarin su "Auto d'Epoca" nel 2002.
  2. E' morto Nino Vaccarella.
  3. GLI INIZI DI UN BINOMIO LEGGENDARIO "Il mio primo incontro con Caracciola ebbe luogo nel giugno 1923 quando collaudammo la nuova Mercedes “21” a 4 cilindri, sovralimentata, che sviluppava non meno di 120 cavalli. L’aveva progettata Porsche e fu la prima di una lunga serie di auto da corsa. Eravamo tutti troppo eccitati dall’ottimo esito dei collaudi e dalla prospettiva di vincere la Targa Florio del 1924 per dedicare attenzione al giovane dall’aspetto di ragazzino che veniva a presentarsi con una raccomandazione della nostra succursale di Dresda per diventare una nuova recluta della nostra scuderia di piloti. Ma ricordo che mi sorpresi a pensare, non senza irritazione, che avremmo dovuto avere a che fare con questo pivello, mentre avevamo dei piloti come Lautenschlager, Salzer, Werner – e, naturalmente, me stesso, Alfred Neubauer. Durante i mesi successivi, il giovane Caracciola fu impiegato come venditore nella nostra succursale di Dresda e fu autorizzato a partecipare occasionalmente ad alcune corse minori della domenica e alle corse in salita. Lo faceva molto bene ma, nell’attesa della Targa Florio che si avvicinava, le vittorie della nostra giovane recluta di 22 anni passarono un po’ inosservate. La grande corsa – a quell’epoca era l’avvenimento principale della stagione agonistica internazionale – ebbe luogo il 27 aprile 1924 con una calura insopportabile. Fu un successo trionfale per il Dottor Porsche e la sua nuova Mercedes sovralimentata. Christian Werner vinse, Lautenschlager si piazzò decimo nella classifica generale e io fui quindicesimo, ma avevamo ottenuto i primi tre posti della nostra categoria e avevamo vinto il premio riservato alle squadre. Stoccarda ci riservò un’accoglienza delirante. Sfilammo tra i ruggiti delle nostre vetture da corsa attraverso le strade tappezzate di bandiere e di ghirlande. Porsche fu nominato Dottore Honoris Causa dall’Istituto Tecnico di Stoccarda e, per quel che mi riguardava, ero più che mai convinto che la gloria e la fortuna mi attendevano nei panni di un pilota da corsa. Ma “la rupe Tarpeia è nei pressi del Campidoglio”. Nel settembre 1924, alla corsa del Semmering, vicino Vienna, salii ancora una volta sul sedile di destra di una macchina da corsa, determinato a mostrare ai miei amici austriaci quello di cui ero capace. La corsa del Semmering era quella che oggi chiameremmo una gara di velocità in salita. La strada saliva tramite vari tornanti per sette miglia attraverso le montagne, i piloti partivano uno alla volta. Era una corsa contro il tempo. Non avevo mai preso le curve così dolcemente. Alla fine ero così esausto che mi ci vollero cinque minuti abbondanti per uscire dalla macchina, ma il mio tempo, 7 minuti, 34 secondi e 4/10 sembrava virtualmente imbattibile. Poi arrivò Christian Werner. Prendeva le curve in dérapage con un colpo d’acceleratore in una maniera che trovai molto sgradevole. Non era certamente il mio stile. Il suo tempo fu di 6 minuti, 55 secondi e 6/10! Anche il veterano, Salzer, era stato più rapido di me a alla fine dovetti accontentarmi del quinto posto. Quando dissi alla mia ragazza, Hansi, che qualcosa doveva essere andato in tilt nei cronometri, lei rispose seccamente: - C’è solo una cosa che non va, Fred. Gli altri piloti correvano come dei folli, e tu come … un guardiano notturno. Cominciai allora a sospettare che dopotutto non ero forse destinato a diventare un grande pilota. I miei sospetti furono confermati alcune settimane più tardi. Ci preparammo per il Gran Premio d’Italia sul nuovo autodromo di Monza. Dividevo la camera in un piccolo albergo molto spartano con il giovane Caracciola che era stato autorizzato a partecipare per fargli fare la prima esperienza come pilota di riserva. Cercai di metterlo a suo agio in un ambiente per lui nuovo. - E’ qualcosa che non dimenticherai mai - gli assicurai - gli Italiani sono matti e ci saranno almeno centomila persone. Gli promisi che gli avrei mostrato come una vecchia volpe poteva prendere la famosa curva di Lesmo, che era stata costruita con una notevole sopraelevazione e che all’epoca poteva essere abbordata a quasi 110 miglia orarie (177 km/h). Avevo messo a punto un trucco noto solo a me. Se entravo in curva sfiorando il bordo superiore della pista, potevo far girare la vettura su un breve tratto arrotondato, e utilizzare la pendenza per acquisire velocità e lanciarmi sulla giusta traiettoria. Quando il fondo era asciutto, funzionava perfettamente. Malauguratamente, quando partii per il mio ultimo giro d’allenamento, era caduta una pioggerellina molto fine. Ero ancora determinato a mostrare al giovane Caracciola quel che potevano fare l’audacia e l’immaginazione. Arrivai alla curva a 110 miglia all’ora. Il mio passeggero, Heminger, mi gettò un’occhiata nervosa (a quell’epoca, a bordo dell’auto c’era anche un meccanico). Al momento cruciale, girai rapidamente il volante ma, appena entrammo in traiettoria, le ruote posteriori cominciarono a sbandare in derapage, prima a destra, poi a sinistra. Prima che io avessi il tempo di capire cosa stava succedendo, la vettura aveva compiuto un testacoda mentre usciva di pista a circa 80 miglia orarie (quasi 130 km/h). Fu uno shock terribile. Un turbinio di terra, polvere e sassi, poi il silenzio. Avevo paura di aprire gli occhi. Quando lo feci, non eravamo ancora finiti in paradiso, ma eravamo bloccati sulla sommità del terrapieno che era stato creato per proteggere gli spettatori. La vettura poggiava come il braccio di una bilancia sul serbatoio di carburante piazzato al centro del telaio. Ogni minimo movimento poteva farla oscillare avanti o indietro. Cinque minuti più tardi arrivò un squadra di soccorritori, che ci tolsero da quella pericolosa posizione. Dietro di loro, scorsi il giovane Caracciola, che mostrava un largo sorriso. Le umiliazioni non erano finite. Al posto dei centomila spettatori che avevo pronosticato con tanta sicurezza, ce ne erano appena qualche migliaio. Terminai i miei giri, e alla fine risultavamo tra i più lenti. Di certo questo non rese più facile la vita al ventiquattrenne Caracciola. Ammetto senza difficoltà che molta della mia delusione e del mio amor proprio si trasferirono su di lui, e che gli altri corridori più anziani gli avrebbero fatto passare alcuni brutti momenti, ma Caracciola mostrò le qualità di pazienza e indipendenza di spirito che dovevano portarlo sull’olimpo della sua pericolosa professione. Nel giugno 1926, per la prima volta potei apprezzare in profondità il suo vero carattere. Sul circuito dell’Avus a Berlino si doveva svolgere la prima grande corsa internazionale dalla sua apertura nel 1921: il Gran Premio di Germania. Partecipavano quaranta assi di varie Nazioni, ma la Mercedes aveva deciso di disputare una gara a San Sebastian, in Spagna. Rudi Caracciola si prese tre giorni di riposo dal suo ufficio di Dresda e arrivò senza preavviso allo stabilimento Mercedes di Unterturkheim. Convinse il direttore generale Sailer, che alcuni anni prima era stato anche lui un pilota, a farlo partecipare in forma ufficiosa al Gran Premio. La Mercedes avrebbe fornito la macchina e coperto i costi, Caracciola si sarebbe preso i rischi di un eventuale fallimento. Quando arrivò il grande giorno, Sailer e il Dottor Porsche apparvero insieme per dare a Rudi il loro sostegno morale. Uno dei grandi veterani della Mercedes, Otto Salzer, si era offerto volontario come co-pilota. Ma le possibilità di Caracciola di fronte all’esperienza di tutti quei piloti di calibro internazionale sembravano estremamente ridotte. Quando finalmente si abbassò la bandiera di partenza, davanti a una tribuna d’onore nella quale era presente anche il Principe Ereditario, una vettura, una Mercedes bianca che portava il numero 14, non riusciva a partire. Salzer saltò fuori e iniziò a spingere, mentre Caracciola, col viso rosso di sudore, schiacciava la frizione inserendo una marcia. Dopo un silenzio che appariva interminabile, il motore tossì poi resuscitò ricominciando a ruggire. Salzer fece appena in tempo a saltare al suo posto mentre Caracciola rilasciava la frizione, e in un attimo erano già lontani. Ma ben sessanta preziosi secondi erano andati perduti. Al terzo giro, il favorito, Riecken, in una pesante NAG, aveva preso nettamente la testa, ma due giri più tardi il famoso pilota-gentleman Rosenberger, su una Mercedes privata, era passato dall’ottava alla terza posizione. Il giovane Caracciola, sulla Mercedes della Casa, aveva recuperato il tempo perduto alla partenza ma era ancora lontano dall’essere veramente in lotta per la vittoria. Al quinto giro, una violenta pioggia cominciò a cadere e l’asfalto divenne più scivoloso del vetro. Rosenberger, guidando come un folle, strappò la prima posizione a Riecken. Poi, al settimo giro, mentre abbordava la pericolosa Curva Nord a 105 miglia l’ora (circa 169 km/h), avvertì improvvisamente un odore dolciastro e inquietante che si spandeva nella vettura. Le vetture da corsa dell’epoca avevano dei piccoli serbatoi di etere, che poteva essere iniettato nel carburante per facilitare la partenza. Il serbatoio di Rosenberger presentava una fuga di vapori di etere che si diffondevano rapidamente nell’abitacolo. Istintivamente sporse la testa verso l’alto per respirare un po’ di aria fresca, ma quel leggero movimento finì per far sbandare la vettura. Rosenberger tentò invano di riprendere il controllo della macchina. Urtò contro la postazione dei cronometristi sulla Curva Nord. Quando arrivarono le squadre di soccorso, trovarono Rosenberger e il suo co-pilota seriamente feriti, mentre nella postazione c’era un morto e due feriti gravi (più tardi morirono anch'essi, ndt). Riecken aveva ripreso la testa della corsa. Caracciola non aveva alcun modo per conoscere la sua posizione in gara e di sapere che all’ottavo giro era passato in terza posizione stabilendo anche il nuovo record sul giro sotto la pioggia battente. I sistemi di segnalazione dai boxes erano ancora sconosciuti. Quando Riecken si fermò per cambiare gli pneumatici, le cinquecentomila persone che circondavano la pista dell’Avus assistettero al raro spettacolo di un pilota che, completamente ignaro, prendeva la testa del Gran Premio di Germania, ma durò per un solo giro, visto che il motore cominciò a tossire facendogli perdere due preziosi minuti per il cambio delle candele. Quella perdita di tempo fu parzialmente recuperata con un giro record alla media di 98 miglia orarie ( 157 km/h). Quando Riecken entrò ai boxes per la seconda volta a cambiare le gomme al diciottesimo giro, la Mercedes bianca n. 14 riprese la testa della corsa senza che il pilota potesse rendersene conto. Fu solo quando Caracciola superò il traguardo, salutato da una tempesta di applausi e dai gioiosi abbracci di Sailer e di Porsche, che egli comprese di aver vinto 17'000 marchi, una coppa d’oro e il suo primo Gran Premio di Germania". (Mia traduzione dal francese del primo capitolo del libro "Mon royaume la vitesse", versione francese di "Manner, frauen und motoren", di Alfred Neubauer)
  4. LA STRATOS CHE DIVENTO' UN CANOTTO Il Drago racconta "Africa. Safari Rally. 1977. Io, Piero Sodano e la Stratos siamo ancora alle prese con il Kenya, con il periodo delle piogge e con tutti gli imprevisti che quella gara si divertiva a riservarci. Acqua, sempre, notte e giorno, violenta, incessante, senza tregua. Dunque, io e Piero, dopo quattro giorni di guida in tutte le condizioni, scendevamo finalmente da una collina per agguantare un pezzo di strada dritto che ci avrebbe dovuto far tirare il fiato. Saranno state le 4 o le 5 del mattino, il sole cominciava a spuntare all'orizzonte e le palpebre pesavano come due macigni sopra le nostre facce stravolte. Con gli occhi a fessura, vediamo a un tratto qualcosa da lontano, di fronte a noi. Una sorta di riverbero, un luccichio, che tuttavia non ci permetteva di indovinare di cosa si trattasse. Percorriamo ancora un po' di strada e i nostri dubbi si sciolgono come neve al sole. Immaginate un lago, un'enorme lago proprio dove in realtà sarebbe dovuta essere la strada da seguire. Capperi. E adesso? Dopo aver spento il motore, scendiamo per verifìcare l'entità del problema, che subito ci appare piuttosto rilevante. Pietro prova ad avventurarsi, ma l'acqua gli arriva di colpo all'ombelico, quindi batte la ritirata. Non c'era modo di andare avanti. Se avessimo tentato avremmo sicuramente corso il rischio di affondare con tutta la Stratos. Quando tutto sembrava perduto - compreso il nostro vantaggio sugli altri partecipanti - ecco che la fortuna ci viene in soccorso. Un gruppo di abitanti del luogo, incuriositi da ciò che stava accadendo - abbastanza insolito per le loro abitudini - si stava avvicinando alla nostra auto, per scrutarla in lungo e in largo. Idea. Per un po' di scellini li convinciamo a darci una mano. L'unica è che i ragazzi venuti ad aiutarci si mettano nell'acqua per delimitare con la loro presenza la strada, come paletti. Tra le risate, la paura e il sonno, iniziamo ad avventurarci. Il problema era che il lago, lo scoprimmo dopo, durava circa un chilometro, cosa che mi costrinse a guidare in prima a 8000 giri con l'acqua che mi arrivava allo stomaco, rischiando di spaccare il motore. Ma ancora una volta la fortuna ci aiutò. Proprio perché eravamo i primi, fummo infatti costretti a spegnere il motore, raffreddandolo involontariamente. Se invece fossimo andati dritti con il motore caldo, la differenza di temperatura con l'acqua gelata avrebbe crepato il basamento del motore, e allora ti saluto. Ed è quello che è successo a chi seguì dopo di noi: trovarono infatti gli abitanti del luogo che indicavano loro la via, e col motore bello caldo percorsero quella maledetta strada "subacquea". E fu un errore fatale". SANDRO MUNARI
  5. Prost contro la griglia invertita: "Se la introducono, abbandono la F1". Grazie Alain.
  6. TRAGEDIA GRECA Appena il portellone dell’aereo venne aperto entrò uno schiaffo di calore impressionante, le case che avevamo sfiorato atterrando dormivano nella calura d’inizio estate, tutte bianche con il tetto rosso stagliavano contro lo sfondo giallo dell’erba bruciata dal sole, poi via via che ci avvicinavamo alla meta queste si alzavano fino a dare l’impressione che il gigantesco aereo andasse a tuffarsi nel centro della città millenaria. L’Acropoli ci guardava dall’alto di una collinetta, con la stessa sufficienza con cui un vecchio re guarda degli intrusi fracassoni che disturbano il suo maestoso ed eterno sonno. La gara a quei tempi - nel 1987 - era forse una delle più belle e dure del mondo, un rally con ritmi pesantissimi dove anche i tratti di trasferimento facevano classifica e dove i settori a “zero” facevano compiere imprese leggendarie a tutti i partecipanti solo nell’intento di non pagare penalità, una vera Mille Miglia su terra. I minuti di penalità a quei tempi contavano 60 secondi e i km. di prova speciale erano circa ottocento tra strade impossibili, sentieri stupendi, dirupi da brivido e tratti bellissimi che ancora oggi ricordo con velata nostalgia. Gia’ durante le ricognizioni la vita si presentava dura, il furgone non riusciva a seguirci per tutto il tragitto e percorrevamo tratti scoperti molto lunghi, la benzina era il problema più grosso e le rotture meccaniche erano l’incubo ricorrente, non esistevano comunicazioni e le radio coprivano quello che potevano, se la vettura si rompeva seriamente erano problemi seri anche andando via in coppia come facevamo sempre. Ci trovavamo in mezzo ad un posto sperduto quando sulla vettura del mio compagno di squadra si ruppe un braccio posteriore della sospensione, una pietra lo spezzò come fosse un biscottino. Nella Delta erano in lamiera stampata, fragilissimi, bastava una pietra e zac la ruota si apriva e restavi lì. Il sole stava per sparire dietro a due enormi montagne e non restavano molte soluzioni se non tentare una riparazione di emergenza. Un paletto di legno, un po’ di filo di ferro e decine di giri di nastro da imballaggio, fu la ricetta che ci permise di ritornare in albergo e non risultare dispersi. Il giorno dopo ci trovammo a corto di benzina in un posto altrettanto sperduto, ci fermammo in mezzo ad alcune case che escluso il rally dell’Acropoli e forse la seconda guerra mondiale non avevano mai visto altra gente che lo sparuto gruppo di pastori che vi dimorava. Loris e Gigi Pirollo contattarono senza sapere una parola di nessuna lingua, un tipo che stava fuori da una casa, si parlavano come Tarzan, Cita e uomo bianco e ovviamente la faccenda non sembrava produrre alcun esito, anche perché era veramente un posto perso nelle montagne. “Se non troviamo benzina ci tocca dormire qui e farci prestare un gregge da pascolare finché qualcuno non ci trova” Loris parlava in veneto al tipo e Gigi sembrava un sordomuto che agitava le mani, mescolava parole in ogni lingua. Ad un certo momento il tipo si infila due dita in bocca e fa due fischi fortissimi. Da una baracca che ottimisticamente possiamo chiamare casa uscì una signora, alta forse un metro e cinquanta e del peso di qualche tonnellata, barcollando costei si avvicinava a noi con un bidone verde che faticava a trasportare. Lo consegnò a quello che penso fosse suo marito, il fischiatore insomma, il quale non si era ancora mosso dalla posizione rilassata che aveva al nostro arrivo, all’ombra di un albero con alcuni amici a bere qualche schifezza locale. Il bidone fu issato col nostro aiuto sul tetto della Delta e la signora mi passò un tubo, facendomi segno di infilarlo dentro il fusto. Una volta entrato la signora afferrò il tubo e tirò forte con la bocca aspirando la benzina e quando questa uscì fu infilata immediatamente nel vorace serbatoio ormai arso come un campo in estate. Mentre stavano riempiendo la mia macchina, la signora ricomparve con un altro bidone che mettemmo sopra la Delta di Alex. Quando la signora mi diede il tubo, lo infilai tutto nel bidone riempiendolo di benzina e poi tappandolo con il dito estrassi la benzina senza aver bisogno succhiare e di berne inevitabilmente un poca come spesso succede. La signora ed il marito restarono stupefatti, per anni avevano bevuto benzina senza sapere che esisteva un modo così semplice per non farlo. Il giorno dopo quando ripassammo di là ci fermarono, la signora ci aveva preparato una torta come ringraziamento. La mangiammo seduti sugli scalini della casa parlando sempre come Tarzan, Cita e uomo bianco… Le mura dell’Acropoli erano ancora lì quando partimmo per la gara, l’alba gialla e intorpidita salutava lo scendere dalla pedana delle prime vetture. Ognuno di noi aveva un poliziotto che a tutta velocità e con le sirene spiegate ti accompagnava fuori dal caotico centro della città greca. Era quasi difficile stargli dietro da tanto andava forte e una volta giunti in un punto stabilito costui ti salutava con un’impennata, si rigirava e tornava a prendere un altro equipaggio. La prima prova speciale, disputata il giorno prima nell’arena di Lagonissi l’avevamo vinta di poco. Alla vista del cartello giallo di preavviso fine prova avevo mollato come un tonto, pensando che finisse lì, “Vai, Vai, Vai” la voce agitata di Loris mi fece rinvenire accorgendomi dell’errore, scalai una marcia e finii la prova. Ripensavo a questo mentre entravamo nella prima speciale vera del rally, una pietraia mai vista nella quale l’anno prima diverse vetture erano rimaste irrimediabilmente danneggiate. Avevamo preso la gara con il passo giusto per terminarla e dopo alcune prove avevamo davanti a noi solamente un greco con una Delta, dietro Alex Fiorio, poi altri equipaggi non molto importanti, la selezione si era fatta subito, il greco sapevamo che sarebbe durato poco, la Lancia aveva quaranta tra furgoni e mezzi veloci dislocati in ogni inizio e fine prova, uno spiegamento imponente che nessuno poteva nemmeno avvicinare. “Dovete stare molto attenti perché abbiamo i braccetti anteriori di serie, si piegano e si rompono facilmente”, ci disse sinistramente Bortoletto prima di partire. Pensavo che la scelta fosse dettata da una precauzione regolamentare per la prima parte di gara e che poi ci avessero messo qualcosa di più robusto, vista l’assoluta impossibilità per quel tipo di braccio di affrontare la gara greca. Anche nel rally più stupido si sapeva che le Delta avevano dei bracci rinforzati, si piegavano perfino sull’asfalto, il regolamento di allora ovviamente non li prevedeva ma li avevano tutti, anche perché erano talmente ben fatti che era impossibile vederli senza avere il pezzo in mano. Non mi curai molto del problema affrontando con la massima precauzione ogni buco che nella stesura delle note avevamo curato più della difficoltà delle curve. “La macchina non sta più in strada, va dappertutto”: la voce di Alex irruppe nelle cuffie appena dopo l’ultima prova della prima tappa. "Vieni giù all’emergenza siamo appena sotto” Rispose immediatamente il furgone.La mia macchina non aveva problemi sembrava appena scesa dalla bisarca per cui mi spostai al servizio successivo per lasciare loro lo spazio per lavorare. Quando lui arrivò chiesi a Gigi che cosa avessero rotto e che questo fosse cambiato anche nella mia macchina per precauzione. “No non era niente, solo la scatola guida allentata” “Un tirante dello sterzo lasco” disse qualcun altro. Poi dopo alcuni minuti saltò fuori invece che vennero cambiati i due bracci anteriori. La seconda tappa partiva presto al mattino, ci si spostava verso il nord per finire a Kamena Vourla a circa duecento km da Atene. Il greco che ci era davanti come previsto si fermò, ruppe il solito raccordo della pompa di benzina, guasto obbligatorio per chi usava il serbatoio di serie, invano venne ad implorare ai furgoni un aiuto, lo guardavano tutti come fosse un lebbroso. “Ma è sempre una Lancia” Gridava invano a tutti quelli che gli capitavano a tiro. Mi fece una pena tremenda ma dopo tutto il suo ritiro mi consegnava la testa della classifica senza nemmeno fare fatica, lo avevamo previsto era solo durato qualche prova di più del pronostico. Alex aveva rotto il cambio nella prima prova della seconda tappa, era rimasto in terza o quarta ma continuava con mille difficoltà e a velocità molto ridotta, dietro a noi praticamente più nessuno, avevamo vinto già da metà gara, la macchina era perfetta. Al riordino di Itea sotto una calura tremenda Loris dal tavolino dei cronometristi mi fece segno con le mani che avevamo una ruota chiusa. “Un braccetto che si è piegato” diceva mentre si allacciava le cinture, “Lo facciamo cambiare subito” prese in mano la radio e chiamò l’assistenza. Iniziavamo poco dopo un tratto di circa ottanta km praticamente senza assistenza e con tre settori a zero. “Secondo me anche se è piegato un po’ non si rompe, lasciamo stare, facciamolo stasera quando abbiamo un ora, tanto andiamo piano” Litigammo e come sempre aveva ragione lui, però non so perché ma avevo paura che toccassero la macchina, andava tutto troppo bene. “Vi aspettiamo al punto 34 dopo la prossima prova, faccio convergere la veloce il furgone e l’elicottero” Fu la risposta di Bortoletto dall’elicottero. Il pilota dell’elicottero atterrò in un punto incredibile infilandosi sotto i fili della luce con una maestria mai vista, un vero capolavoro. I meccanici del furgone avevano appena iniziato a togliere il paracoppa quando furono rilevati dai due dell’elicottero, i migliori del team. Scesero a testa bassa con una piccola cassettina dei ferri in mano quasi correndo. “Quanto abbiamo qui” chiesi a Loris. “Diciotto minuti” Mi buttai all’ombra tranquillo aspettando che finissero il lavoro, ma qualcosa non andava. “Dai ragazzi fate questo miracolo” Disse ad un tratto Bortoletto facendomi sobbalzare dall’ oblio in cui ero perduto quasi assaporando la vittoria che stava per arrivare. “Miracolo? Che succede!” “Tre minuti ragazzi” urlava Loris mentre in giro c’era ancora di tutto. “Ma cazzo, ieri avete cambiato tutti e due i bracci ad Alex in dieci minuti e adesso fate pagare me, con diciotto minuti a disposizione?”. Nessuno parlava ma avevo la sensazione che ci fosse un modo di lavorare strano o perlomeno non abituale per quei meccanici fantastici. “Iniziamo a pagare, salta su e metti le cinture svelto!” urlava ancora Loris. “Porca puttana ma tutte a me capitano?” Finalmente la macchina ricadde sul terreno con le due gomme e il braccio nuovi. Il c.o. era a duecento metri e pagammo tre minuti. “Non fa niente siamo sempre in testa penso… dai andiamo, non riesco a capire come sia potuto succedere, sono i migliori” Esclamò Loris scuotendo la testa mentre con l’indice picchiava nervosamente il tripmaster elettronico per azzerarlo. Neanche duecento metri dopo l’inizio prova, subito dopo un tornante la ruota si apre, proprio l’anteriore sinistra quella su cui era stato effettuato l’intervento. L’elicottero era sopra di noi, ci guardavano da non più di venti metri. Scesi e mi buttai sotto per vedere che era successo. “Qui pare che si sia sfilato il bullone che tiene la testina al montante, venite giù un attimo, ci mettete due minuti” “Non possiamo atterrare dobbiamo andare via per seguire le altre macchine siamo in ritardo…” “Buttateci almeno i ferri lo rimettiamo noi!” Non ottenni nemmeno una risposta mentre l’elicottero virava tra il polverone, alzandosi e puntando verso l’enorme lago che ci guardava immobile nella calura estiva. Lo stomaco si contrasse quasi in un conato di vomito. “Ma non potete lasciarci qui con il rally vinto” Urlò Loris alla radio. “Quando sono passati tutti il furgone vi recupererà, tornate in albergo noi andiamo via…” Guardai bene e pochi metri prima trovai il bullone in mezzo alla strada, bello nuovo, sfilatosi perché non era mai stato messo il dado che lo doveva bloccare. Passarono lentamente tutti, ci guardavano e sicuramente pensarono “uno in meno” poi venne il furgone, non so ancora perché ma ci cambiò il braccio nuovamente, forse un riflesso di rabbia anche del meccanico che aveva assistito impotente alla scena. Da solo ci mise meno di dieci minuti, prendemmo la direzione di Atene con una rabbia enorme, la macchina era perfetta nemmeno il volante storto. Sul Corriere della sera e su altri quotidiani scrissero che mi ero ritirato dopo aver staccato una ruota a causa di un maldestro atterraggio dopo un salto… La verità invece era un’altra. Alcuni anni dopo in un ristorante di Sanremo cenai con alcuni meccanici che direttamente o indirettamente erano stati presenti a quel fatto. “Guarda” mi disse sottovoce uno di loro “Sappiamo tutti com’è andata, tu quella gara non la dovevi finire altrimenti non c’era la scusa per lasciarti a casa dopo, sai come funziona no?” Il mare lì fuori stava quieto, come il lago quella volta, guardai la luna accesa e bianca come le mura millenarie dell’Acropoli, un sospiro e quasi una lacrima ad avallare i miei sospetti di sempre, la vita aveva già girato pagina, i ricordi spesso tornano nelle notti tormentate quando si immagina come in un film cosa sarebbe stato se le cose avessero seguito il loro corso... ("Rally - Il sapore della passione", di Vittorio Caneva)
  7. Da "Topolino" n.1228 del 10 giugno 1979
  8. Una cosa del genere accadde nel '98: in Toyota era tornato Sainz, affiancato ad Auriol. Lo spagnolo vinse subito al Montecarlo, mentre il secondo faticava un po', così in squadra alla vigilia della Spagna decisero di escludere Auriol dalle auto che concorrevano ai punti-Costruttori. Ma fu proprio Didier a vincere quel rally.
  9. Perfetto è una parola impegnativa. So che a nessuno frega molto la cosa, ma a me l'idea pur teorica che qualcuno che faccia il miglior tempo della giornata e poi non parta in pole, mi scartavetra i maroni (situazione che si cerca di evitare obbligando a montare diverse mescole, sic). Visto che il trend era la diminuzione progressiva del tempo da dedicare alle qualifiche, si potevano fare due sessioni di qualifica da mezz'ora l'una.
  10. Che nomi evocativi..
  11. Questo è il sigillo finale: https://www.formulapassion.it/opinioni/zoom/lindiscrezione-proprieta-f1-verso-arabia-saudita-cessione-liberty-media-fondo-arabo-aramco-584727.html?fbclid=IwAR1oFDFF7zEtXdNpIyLixefYm_yD9RP5nPKUrPep4Jha42r6srF9X-vvdyM
  12. In realtà è circa un trentennio che i piloti si sentono molto sicuri e fanno manovre che fino agli anni '80 erano del tutto fuori discussione perché come minimo si andava all'ospedale. Ci fu la fase degli incidenti '94, ma fu davvero un'anomalia che peraltro innescò ulteriori processi volti alla sicurezza attiva e passiva. Forse inconsciamente i piloti sanno di essere molto sicuri in queste vetture, e quindi spostano il limite dell'aggressività sempre un po' più in là.
  13. Sapevo che la McLaren non vinceva dal 2012 (come la Williams), ma non mi ci ero mai soffermato. Chi lo avrebbe mai detto, quando piangevo per l'uscita di Prost a Imola '91 nel giro di ricognizione, che alcuni decenni dopo avrei visto McLaren e Williams a secco totale per 9 anni...
  14. Vanzini: "Dopo la GARA di ieri, non ci saremmo aspettati una gara così oggi". Marc Gene: "Ci piace il Format".
  15. Beh, ma io sto guardando con lo spirito di chi sa già che l'anno prossimo la sprint la convertiranno in gara-1, e faranno la gara-2 a griglia invertita. Poi non voglio più incontrare forumisti di persona dall'anno prossimo in poi, perché se mi dicessero che hanno rinnovato l'abbonamento a Sky potrei avere un'improvvisa esigenza di espulsione della saliva.
  16. La Ferrari '93 a Monza era più efficace di questa
  17. Con l'asfalto, Hamilton avrebbe tentato il rientro
  18. "eh, ci voleva l'asfalto invece della ghiaia".
  19. A me pare un videoclip di musica pop. Astronomica differenza dalle dirette Rai che vedevo da bambino, quando la corsa mi sembrava un affare serio, quasi drammatico.
  20. "Sono d'accordo con Colin McRae sul fatto che, a meno che non si fermi l'evoluzione della tecnologia, le auto non avranno bisogno di piloti nel futuro". Bjorn Waldegard, 2002.
  21. Per i forumisti che oggi si muoveranno in Autodromo, può tornare utile questa guida. Non so se tutte le indicazioni siano ancora attuali, visto che è datata 1928, ma i posti son quelli...
  22. E' quello che ho scritto in una lettera ad AS ad agosto che hanno pubblicato questa settimana.
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