La critica del linguaggio è una lunga storia, da De Saussure a Lacan (quest'ultimo decisamente ignorato, e distruttore di Freud.. ignorato forse per quello, infondo anche gli psicologi devono lavorare, se gli rovini il gioco fanno la fame). Tutta la conoscenza in sé è per forza ancorata alla mediazione linguistica, alla mera nominazione priva di oggetto e soggetto. Lo aveva capito Einstein, e anche Nietzsche: "Se cerchiamo di considerare lo specchio in sé, finiamo per scoprire su di esso nient'altro che le cose. Se vogliamo cogliere le cose, ritorniamo in definitiva a nient'altro che lo specchio. Questa è la più universale storia della conoscenza". Una contraffazione ottica da cui si è arrivati frettolosamente al famigerato "guardarsi dentro" e definito altrettanto frettolosamente come "coscienza". Qui nasce la cancellazione del "cogito ergo sum" corretto nella filosofia moderna da Nietzsche in "cogito ergo est". Perché la questione ruota attorno a qualcosa di più grande, cioè "l'essere". Parmedine nella filosofia anitica diceva: "l'essere è e il non essere non è" e questa è la disciplina ancora esistene dell'ontologia. Premesso questo, possiamo iniziare a porci un primo quesito di fondamentale importanza.. perché farsi tante domande sull’essere? Una risposta l’ha fornita Aristotele dicendo che gli uomini se lo domandino perché ne sentono l’emergenza della meraviglia.. ma meraviglia si, ma di cosa? Forse del fatto che tutto esista? A tale proposito possiamo anche citare la famosa domanda di Heidegger che dice: perché l’essere e non piuttosto il nulla? Quando ci troviamo dinnanzi a questa verità , diventiamo consapevoli di non poter in alcun modo andare oltre l’essere, o più precisamente oltre il pensiero dell’essere. Pensiero che teoricamente dovrebbe essere posseduto dal soggetto pensante, per l’appunto. Ma è forse vera la celebre affermazione cartesiana che dice: "penso e dunque sono?" (appunto cogito ergo sum). Ma quando noi diciamo che il bicchiere “àˆâ€ sul tavolo, che cosa intendiamo? Fuori dalla nostra percezione, e dunque fuori dal nostro linguaggio, QUEL bicchiere àˆ realmente sul tavolo? Piuttosto l’oggetto del nostro interesse è forse quella cosa che noi chiamiamo bicchiere, oppure è la stessa parola che nominiamo? Ma ancora, è più scottante il fatto che quel bicchiere SIA, oppure che cos’altro? Qui determiniamo un punto di centrale importanza, ovvero non tanto quella dell’essere delle cose, ma piuttosto del verbo essere stesso. Fuori di esso, in effetti, di che cosa si può dire che esista? àˆ addirittura impensabile che qualcosa vada fuori dal verbo essere, poiché questo include tutto, o meglio tutto si include in esso. Ma dunque quella distinzione fra soggetto e oggetto, può essere ancora forte? Il soggetto in relazione all’oggetto, si ma l’essere stesso del soggetto pensante, è anch’esso un pensato, dunque è oggetto di pensiero. Tutto ciò che è pensato è oggetto. Tutto, anzi, è oggetto. Ogni qualvolta noi usiamo il linguaggio, diciamo qualcosa che non è quel che vorremmo dire, ma è quel che diciamo. Dunque il linguaggio, in un certo senso, ci precede. E considerando dunque il concetto di esserci (Da-sein), se si è compreso che quest’essere non va più inteso come semplice presenza, ma solo più come una "lampada", allora possiamo andare ben oltre il concetto di esserci. Difatti Heidegger sorpassò la sua analitica dell'esistenza e dell'esserci per giungere al concetto di Gelassenheit, ovvero di abbandono. Abbandonarsi all'essere e cioè imparare l'ascolto. Piuttosto che di Dasein, dunque, io credo che noi dobbiamo introdurre un altro termine di fondamentale importanza, ovvero quello di Sosein (essere così). Ovvero è centrale il fatto che le cose siano così, e con esse anche lâ€™àˆ delle cose. Cioè tutto ciò che è, àˆ così perché àˆ così. E quel che a noi deve interessare è che le cose siano come sono. Il fatto stesso che le cose siano dette tali, è perché noi le pensiamo in una sfera che è propria del verbo essere. Noi siamo abituati, ahimè, a sottovalutare fortemente la forza e il potere del pensiero. Poiché troppo spesso gli abbiamo assegnato un valore morale, un compito etico, assegnandoci quel Sartriano engangement, composto in realtà di soli riflessi su riflessi di riflessi di senso. Il linguaggio raffigura i concetti e gli oggetti e lo fa più o meno, pressoché, a grandi linee, giù per lì, su per giù. l mondo sta infatti, soprattutto nel linguaggio, e tutto ciò che accade lo fa nel mondo. Per questo bisogna usare piuttosto che cogito ergo sum, il detto cogito ergo est; e con esso non intendo dire “penso dunque quel qualcosa èâ€, ma piuttosto diciamo che penso dunque àˆ, o meglio se io penso è perché vi è quell’è. Penso dunque verbo essere, in caso contrario non vi sarebbe pensiero. E non si può pensare ad un principio di ragion sufficiente di quell’essere, perché esso mantiene in sé la sua Aseità . àˆ dunque il pensiero a donare l’essere alle cose. E l’essere a rendere possibile il pensiero stesso.