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Affascinante, educato e dotato di grande intelligenza, nonchè erede designato della famiglia prioritaria del gruppo Revlon (leader mondiale nella cosmesi), Peter Jeffrey Revson non esitò un attimo a rinunciare a tutto pur di soddisfare il proprio sogno di correre in auto: americano di New York, debuttò a 16 anni con una Morgan mettendosi subito in luce nelle numerose gare della Costa Est.

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Usando parte del suo capitale personale (12000 dollari) si trasferì in Europa e partecipò al campionato di formula Junior con una Holbay motorizzata prima Cooper e poi Cosworth, in quel periodo tra l’altro risiedeva a Londra in un piccolo appartamento in condivisione con due altri grandissimi talenti della sua generazione, ovvero Chris Amon e Mike Hailwood.

Il debutto in Formula 1 avvenne nel 1964 alla guida della Lotus ma i risultati non arrivarono, contemporaneamente corse e vinse in Formula 3 a Montecarlo ma, una volta tornato in Patria, gli venne intimato un alt dal padre che lo portò a scegliere tra la gestione dell’attività di famiglia o continuare a correre rinunciando del tutto alla cospicua eredità. Per questo la sua carriera si interruppe e ripartì poi da zero.
Ancora lontano dalla Formula 1, ritornò al volante vincendo a Sebring e Spa nelle gare di durata con una Ford Gt40 e iniziò a brillare in Can-Am, anche se la morte del fratello, avvenuta durante una gara di Formula 3 in Danimarca, lo spinse a pensare definitivamente al ritiro, ma la passione vinse ancora una volta. Nel corso degli anni trovò in Steve McQueen un compagno d’eccezione con cui condivise diverse gare in Porsche; le prestazioni di Revson nel frattempo di facevano sempre più consistenti, nella 500 Miglia di Indianapolis del 1969 fu protagonista di un capolavoro arrivando quinto assoluto con una vecchia Brabham, due anni più tardi sempre a Indianapolis centrò pole position e secondo posto davanti alla famiglia, ricomparsa ai box dopo tre anni di silenzio.

Finalmente rientrò in Formula 1 disputando con la Tyrrell il gran premio degli Stati Uniti, poi firmò un biennale con la McLaren, scuderia con cui la sua stella brillò definitivamente: nel 1972 fu terzo a Kyalami, Brands Hatch e Zeltweg e secondo a Mosport, in Canada, dietro a Jackie Stewart e dopo aver firmato la pole-position, chiudendo il campionato al quinto posto, posizione confermata l’anno seguente quando, oltre a due podi a Kyalami e Monza, vinse due gran premi a Silverstone battendo Peterson e proprio a Mosport davanti a Fittipaldi; contemporaneamente ricucì del tutto i rapporti con la famiglia, nonostante lo sponsor che campeggiava sulla sua McLaren, ovvero la Yardley, principale concorrente della Revlon!
All’apice della carriera fece una scelta controcorrente, scegliendo l’emergente Shadow nonostante il crescente interesse di alcuni team di punti, tra cui la Ferrari; la Dn3 nera di Revson era in costante crescita e il futuro appariva roseo, ma a Kyalami un dado in titanio della sospensione anteriore sinistra cedette alla curva Barbecue e l’impatto fu fatale. Revson morì a 34 anni, riposa accanto al fratello Douglas all’interno del Ferncliff Cemetary nello stato di New York.

Tratto da Cavalieri del rischio

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Giorgio Terruzzi racconta: Revson, il "gemello" di McQueen

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Si chiamava Peter Jeffrey Revson. Era americano, nato a New York il 27 febbraio 1939, morto in prova a Kyalami, Sud Africa, il 22 marzo 1974, quarant’anni fa. Guidava una Shadow, nera e morbida nelle forme, stava viaggiando dentro il momento migliore della propria carriera. Un bullone saltato, uno schianto violentissimo, guard rail e fiamme. Morto sul colpo. L’anno precedente, con la McLaren, aveva vinto le sue prime corse in Formula 1, due volte: a Silverstone, Inghilterra, e a Monsport, in Canada; pochi mesi prima aveva sfiorato l’ingaggio da parte della Ferrari. Una bellissima faccia yankee. E poi, allora, un modo di fare tutto suo, da eroe borghese, con un tocco di dolcezza sul viso, sempre, i gesti del signore.

Lo dico qui perché di lui conservo una scena indelebile. Prove a Monza, Gran Premio d’Italia 1972. Allora accadeva tutto in modo molto semplice, e spartano. I piloti si cambiavano sui camion (camion, non motorhome, tutti vetri fumè e accessori, come adesso), oppure nei garage. Le macchine venivano preparate in una specie di cortile con il porfido per terra, se fate un giro all’autodromo, potete trovare tracce romantiche ed evidenti del paddock che fu. Beh, insomma, eravamo tutti lì, un manipolo di ragazzini capaci, non si sa come, di raggiungere quello spazio così esclusivo e ambito. Revson era in ritardo, gli altri già in pista. Arrivò con passo svelto infatti, mentre i meccanici McLaren lo aspettavano. Avevano già avviato il motore, toccava sbrigarsi. Lui, Peter, si trovò di fronte un tappetto, nove o dieci anni, penna biro e foglio in mano. Si fermò, prese carta e penna, firmò e riconsegnò l’autografo al piccolo tifoso posandogli una mano sulla testa, come a spettinarlo affettuosamente. Poi mise un guanto. Ma ce n’erano altri due di bambini, belli e pronti con le loro biro. Firmò, con rinnovata gentilezza, infilò il casco e subito dopo un piede nell’abitacolo. Un altro ragazzino. Uscì dalla macchina, per firmare ancora una volta.

Poi infilò il secondo guanto e si sedette, pronto a partire. Al suo fianco era rimasta una bambina, stava lì impalata, in silenzio, consapevole di aver perso la sua occasione. Revson innestò la prima marcia, la vide. Per un secondo o due rimase come incerto in una sospensione. Poi scuotendo leggermente la testa, mise in folle, tolse un guanto, fece cenno alla bambina di avvicinarsi, lei un po’ impaurita perché il motore era un frastuono e la scena apparteneva ad un universo intoccabile, lontano. Lui si fece consegnare carta e penna, firmò anche per lei. Un sorriso da leggere nei suoi occhi, inquadrato nell’apertura dell’integrale. Un movimento del casco, come un inchino. Credo che tutti quei bambini, tra i quali c’ero pure io, mai dimenticheranno. Infatti, di Peter Revson scrivo qui, per fare memoria minima a chi non ricorda o non c’era, nulla sa di questa figura anomala e perfettamente connessa allo spirito di quel tempo tanto magnifico quanto tragico. Revson proveniva da una famiglia ricchissima, proprietaria del marchio Revlon, prodotti di bellezza, un colosso della cosmesi. Aveva rinunciato all'eredità e a ogni vantaggio economico pur di correre, ci aveva provato, in America e in Europa, non senza fatica, ce l’aveva fatta.

Nel 1970 riuscì a vincere addirittura la 12 Ore di Sebring (nella classe 3.0L, secondo posto assoluto), la macchina, una Porsche 908; il compagno, Steve McQueen. Si somigliavano, lui e quell’attore ammalato di motori. Coraggiosi e molto fighi entrambi, perfetti per una love story, per una avventura, occhiali da sole, biondi i capelli. I loro, quelli delle ragazze che a loro correvano dietro. Eppure, una semplicità naturalissima, una dolcezza, appunto, nei tratti. Per correre dentro un destino esposto, per far innamorare una donna così come un piccolo bambino sognante che non trova il coraggio di chiedere l’autografo.

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