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  1. leopnd

    Jody Scheckter

    Ha corso con la Ferrari F1 un solo anno ma è bastato a farlo diventare uno dei piloti di Maranello più famosi del mondo: per 21 anni, prima dell'avvento del ciclone Michael Schumacher, è stato l'ultimo pilota Ferrari ad aver conquistato un titolo mondiale di F1. Era il 1979 e Jody Scheckter con la 312T4 portò nel forziere di Maranello il doppio mondiale, piloti e costruttori, dopo un combattutissimo campionato con il compagno di squadra Gilles Villeneuve (i due vinsero tre gare ciascuno quell'anno). Nato a East London in Sudafrica nel 1950, Jody Scheckter iniziò a muovere i primi passi da pilota nel 1970, quando arrivò quinto alla 3 Ore di Bulaweyo con il Team Lawson - Mazda, conquistò una vittoria di classe nella 9 Ore di Goldfields e vinse il Campionato Formula Ford Sunshine. Nel 1971 passò poi al campionato inglese di Formula Ford 1600 e a quello inglese di F3, per poi approdare subito dopo, nel 1972, in F1 al volante di una McLaren, con la quale corre anche in F2. Con la scuderia inglesi partecipa anche alla stagione 1973 di F1 ma nel frattempo corre anche in Can-Am, in F2 e vince la F5000 US series. L'anno successivo c'è però il grande salto: Scheckter passa alla Tyrrell, vince due GP e si piazza terzo nel mondiale, exploit che poi ripete anche nel 1976. Poi passa alla Wolf, e disputa la sua migliore stagione: raccoglie 55 punti, vince tre GP (Argentina, Monaco, Canada) e si piazza secondo nel mondiale. La carriera di Scheckter è all'apice, ma l'anno successivo la Wolf non si dimostra abbastanza competitiva e alla fine il pilota sudafricano è solo settimo nel mondiale. Deluso, passa alla Ferrari e subito centra il suo obiettivo: si laurea campione del mondo. E' un trionfo. Un trionfo però che sembra svuotare il campione: dopo un'opaca stagione nel 1980, sempre con la Ferrari F1, Scheckter si ritira definitivamente dal mondo delle gare.
  2. leopnd

    Jo Bonnier

    Joakim Bonnier, detto "Jo", nacque il 31 gennaio 1930 a Stoccolma in Svezia. Figlio di un professore di genetica, era molto colto (conosceva sei lingue) e raffinato, iniziò la carriera nel 1948 correndo nei rally e nelle gare sul ghiaccio. Dopo aver fatto una prima esperienza nella categoria sport con un Alfa Romeo "Disco Volante", nel 1956 debuttò in Formula 1 pilotando, al GP d'Italia, una Maserati 250 F da lui stesso acquistata. Dal 1956 al 1971 Bonnier partecipò a 104 Gran Premi pilotando vetture di varie marche: Maserati, BRM, Porsche, Cooper, Brabham, Honda, Lotus, McLaren. Riuscì anche a vincere un GP valido per il mondiale, nel 1959, a Zandvoort. Quella fu la prima vittoria di un pilota svedese, ed anche la prima vittoria della squadra BRM, nel campionato mondiale di F1. Le più grandi soddisfazioni però Bonnier le colse nelle gare di durata. Nel 1960 e nel 1963 vinse la Targa Florio con la Porsche. Nel 1962 vinse la 12 ore di Sebring con la Ferrari. Nel 1964 si aggiudicò la 12 ore di Reims e la 1000 Km di Parigi sempre con una Ferrari. Nel 1966 regalò alla Chaparral la prima vittoria in una gara di endurance conquistando la 1000 Km del Nurburgring. Nel 1967-1968 si aggiudica alcune gare minori. Nel 1969 arrivò secondo alla 1000 Km d'Austria con una Lola T70. Bonnier si allontanò progressivamente dalle gare anche perché aveva fondato, diventandone presidente, l'Associazione dei Piloti di Gran Premio (Grand Prix Driver's Association). In questo periodo Bonnier si impegnò con i proprietari dei circuiti per incrementare le misure di sicurezza al fine di salvaguardare i piloti. Sposato, con due figli, viveva a Losanna dove aveva anche una galleria d'arte. Nel 1970 si dedicò a correre solo il campionato europeo Marche 2 litri che si aggiudicò con una Lola-Ford. L'anno successivo, oltre ad aver partecipato a quattro GP di F1, Bonnier vinse la 1000 Km di Barcellona ed arrivò nuovamente sul podio alla Targa Florio. Nel 1972 la sua ultima vittoria: una gara minore, La 4 ore di Le Mans. L'11 giugno dello stesso anno, proprio a Le Mans, durante la prestigiosa 24 ore, Jo Bonnier uscì di strada con la sua Lola perdendo la vita a soli 42 anni.
  3. leopnd

    Helle Nice

    Mariette Hélène Delange nasce povera ad Aunay-sous-Auneau, figlia di un postino, quarta di tre figli morti prematuramente e seguita da altri tre. Dimostra subito una notevole intelligenza e una particolare inclinazione per la lettura e la poesia, canta bene e se la cava con il disegno. A sedici anni lascia il paesello e va a Parigi, non si sa come sia sopravvissuta fino ai vent’anni, non lo ha mai confessato, quando la si trova che studia danza e posa per cartoline vagamente erotiche. A fotografarla è per lo più quello che si considera il suo primo amante, René Carrère, buon artista che si mantiene anche disegnando manifesti pubblicitari per i café chantant. Ha assunto lo pseudonimo di Hellé Nice, che significa pressappoco lei è bella e simpatica, danzando come ballerina di fila guadagna i quattrini per acquistare la sua prima automobile, è una sportiva incallita che pratica lo sci, le ascensioni, il bob, è sempre la prima di tutti quando si tratta di mostrare coraggio, di rischiare per vincere. Nel 1921. accompagna due amici in Inghilterra per alcune gare automobilistiche e chiede di partecipare. Resta malissimo quando le spiegano che le donne non sono ammesse. In realtà le donne automobiliste esistono, ma sono per lo più ricche signore, non di rado titolate, partecipano a corse ma non sono professioniste, anche se Ettore Bugatti aveva apprezzato la loro bravura. Corre fino al 1926, quando annuncia di ritirarsi dalle corse per essere solo una ballerina. Ed ha successo, la stampa la osanna, il pubblico va in delirio, lei si presenta in scena seminuda e danza leggiadra sulle punte, guadagna soldi a palate. Nel 1929, mentre sta sciando si salva miracolosamente da una valanga, ma si rovina irrimediabilmente un ginocchio e non può più ballare. Riesce finalmente a farsi dare un’automobile, l’Omega Six, per correre e vince il Grand Prix Féminin di Montlhéry, Bugatti vuole conoscerla, le prepara una vettura su misura, è un tipino minuto, lei s’impegna a superare i 200 km orari. È attratta dalla velocità, ai giornalisti dichiara che tenere tra le mani un bolide che ruggisce è il suo piacere più grande. È una splendida addetta alle pubbliche relazioni di se stessa, cura l’immagine puntando sulla femminilità con un trucco inappuntabile, camicette infiocchettate, rifiutando il caschetto protettivo per lasciare che si vedano i suoi capelli scompigliati dal vento. Nel dicembre del 1929, sul circuito di Montlhéry batte il record dei 198 km orari, da quel momento prende parte a 75 gran premi. “Tutto quello che chiedo è mostrare ciò che posso fare contro gli uomini, senza alcun vantaggio di partenza” era il suo scopo, oltre a collezionarli. Aveva anche tre storie in contemporanea, dal principe al tecnico, prendendo nota di ciascun amante con giudizi non sempre clementi. Il suo comportamento disinibito le procurava molte critiche, di lei le altre dicevano che non pensava ad altro che al sesso e a mettersi in mostra. Nel 1949, durante il party del Grand Prix di Montecarlo, un avversario l’accusa di essere stata una spia dei nazisti. Lei replica denunciandolo ma, per quanto non emergano prove certe, perde gli sponsor. Ha quarantanove anni, l’ultimo amante l’ha piantata dopo averla rovinata economicamente, ha il sostegno dell’ente benefico La ruota gira che l’assume come autista. Peccato guidasse malissimo, al punto che nessuno ha mai osato salire in macchina con lei. Nel 1984. muore sola e sconosciuta all’ospedale pubblico di Nizza. Miranda Seymour ha scritto la sua biografia nel libro intitolato The Bugatti Queen.
  4. leopnd

    Giuseppe Campari

    L’8 giugno 1892 nasce a Graffignana, comune della Lodigiana, Giuseppe Campari, anima in precario equilibrio e pilota automobilistico. La velocità in quei primi anni del Novecento non era ancora diventata un affare sociale. Correvano tutti, i nobili e i meccanici, gli ingegneri e i garzoni, le donne e gli uomini, i baritoni e i banchieri. Quella smania contagiava cronisti e pittori, artisti e impiegati, pensatori e politici. Si lasciavano stregare dal graffio dell’aria, dall’enorme tensione del volante e da quel pedale rigido e lungo che, quando affondava la sua corsa sino in fondo, faceva urlare il motore al cielo scodando sulla ghiaia in un vortice di breccia, polvere e sassi. Le corse d’auto erano un fenomeno frequentato e popolare, sentito e sognato, più della nobile arte pedatoria, dell’atletica o della marcia. Perché le auto volavano sui selciati e sulle strade, sfioravano il quotidiano, sfidavano apertamente la lentezza di quel mondo antico facendo assaporare e intuire la bellezza furtiva di un futuro che si preannunciava esaltante e ringhioso quanto e più del rumore che si lasciavano in scia. Quell’automobilismo d’assalto e leggendario, al di là dei suoi eroi, non sopravvisse a quella grande stagione. Si spense, al pari delle speranze, in un’Italia tradita da un benessere predicato e mai conseguito, rimanendo per decenni l’ombra di una promessa, un inganno collettivo, dolce, sopito e crudele. Ma quella stagione, tra comparse e comprimari, conobbe anche molti fragili eroi e grandi leggende. Come Borzacchini, Nuvolari, Brilli Peri, Varzi, Ferrari, Ascari e Maserati. Come anche Giuseppe Campari da Graffignana, “el negher” per amici e avversari. A Giuseppe piaceva la vita, il bel canto, i motori, le sfide, la cucina e le strade. Era diventato collaudatore in Alfa dove si era fatto apprezzare per l’innata capacità di domare quei pesanti e instabili siluri d’acciaio su quattro ruote. Non era l’aria che sferzava il volto, che schiacciava gli occhialoni, che spingeva il berretto all’indietro quasi volesse strappare la testa dal collo. Non era nemmeno la pioggia che bruciava la pelle o il sole che accecava e confondeva l’orizzonte. Domare quei pesanti mostri significava mangiare e sputare polvere, come e più di un manovale in un cantiere stradale. Campari, il suo soprannome, lo doveva proprio a questo. Perché quando, dopo una giornata di prove, infine scendeva dalle auto che aveva testato era ricoperto di polvere e sabbia da capo a piedi ed aveva cambiato colore. E allora si ripuliva come poteva con il suo solito fazzoletto color cremisi e si infilava in qualche osteria a cercare compagnia, a rimediare vino e agnoli per fare notte, tra belle arie e romanze. Per Campari la lirica non era soltanto una passione. Era un modo di vivere e guidare. Più del virtuosismo gli apparteneva il respiro agrodolce del melodramma, della tragedia, di quel modo leggero e inquieto di accarezzare dossi e curve, dove peraltro era solito regalare brividi, emozioni e spettacolo. Perché Giuseppe era l’unico a cui riusciva la magia, l’unico in grado di cambiare marcia in frenata senza grattare, spingendo la frizione sino alla fine del mondo per due volte in rapida sequenza, in una sorta di diabolica doppietta. Sfidava la polvere e passava leggero volando sugli sterrati, scodando e fendendo il muro di gente che, trattenuta a stento dalla milizia, si rassegnava ad inseguirne tramortita il profilo sino a scivolare nel suo cono d’ombra. Campari era la velocità e tutto quello che le si poteva chiedere. Giuseppe era naturalmente dotato di una forza poderosa, aveva capelli neri e un corpo ricoperto da una fitta coltre di peluria. Era un baritono prestato al volante. Si portava appresso una voce discreta, un fisico rotondo e imponente, baffi volitivi, occhi scuri e profondi e, soprattutto, un coraggio da leoni. Sposò una cantante e provò anche a salire su di un palco in una notte d’opera al teatro Donizetti di Bergamo, cimentandosi nella «Traviata», il suo cavallo di battaglia, e rimediando ben pochi applausi e, pare, qualche aperta contestazione, perché, si sa, che i loggioni dei teatri mica si lasciano affascinare troppo dai miti. Forse anche per questo Campari divenne un asso del volante. Raccolse i suoi migliori e più esaltanti successi sul finire degli anni venti, quando ormai si cominciava a sentire il sordo e cupo rimbombo di un destino ineluttabile. Per tre anni sbaragliò la concorrenza di Nuvolari, Mazzotti, Strazza, Bornigia, Morandi e Varzi conquistando a ripetizione due edizioni della Mille Miglia, la Coppa Acerbo ed una manciata di Gran Premi, tra cui quello attesissimo di Francia per la “gioia” dei cugini transalpini. Si era ormai avviato ad entrare negli annali, a raccogliere i frutti della sua migliore stagione. Chissà dove sarebbe arrivato se il destino non gli avesse teso un tranello, se non lo avesse attirato nella trappola ordita da quella maledetta macchia d’olio durante il Gran Premio di Monza, nel tempio della velocità. La Duesenberg del conte Trossi rompe infatti il motore e inonda la pista di olio nel punto peggiore del tracciato, alla staccata della curva Sud, dove le monoposto arrivano alla massima velocità. In quel punto il macadam, reso già scivoloso per la pioggia, diventa una lastra di ghiaccio. Campari guida il plotone davanti al temibile e veloce Borzacchini, il pilota che di nome fa Baconin e che ogni volta imbarazza i gerarchi fascisti che lo devono premiare. Sono due compagni di scuderia, due colleghi, due anime inquiete e due strepitosi acrobati. Ma a quella velocità e in quelle condizioni precarie la bravura non serve a niente. Le due Alfa perdono aderenza, i due piloti lottano disperatamente con la gravità, poi scivolano lungo la tangente, si sfiorano e finiscono tragicamente fuori pista terminando la loro corsa nel fossato. Campari muore sul colpo, Borzacchini si spegne di lì a poco in ospedale. Nonostante le sonore proteste degli spettatori la gara continua crudele e feroce senza fermarsi, sino in fondo, come la vita e le inconsapevoli esistenze che la circondano.
  5. leopnd

    Giuseppe Farina

    Giuseppe Emilio "Nino" Farina: Torino 30 ottobre 1906., Chambéry (Francia) 30 giugno 1966. Pilota. Sarà storicamente ricordato come il pilota che per primo si è fregiato del titolo mondiale quando, nel 1950., fu istituito il Campionato del mondo di Formula 1. Figlio di un fratello del celebre carrozziere Battista “Pinin” Farina, stile di guida «temerario e rischioso fino all’inverosimile», «si vantò sempre di essere stato l’unico allievo di Tazio Nuvolari». Debutto nel 1930. alla Aosta-Gran San Bernardo, finì fuori strada (prima frattura). Ritornato alle corse dopo tre anni, nel ’36 entrò nella Scuderia Ferrari (al seguito del rientrante Nuvolari). Secondo alla Mille Miglia nel ’36, ’37, ’40, al GP d’Italia nel ’38, raggiunse la completa maturità nel dopoguerra: noto per il vezzo di correre sempre con un grosso sigaro cubano stretto tra i denti, nel ’50 conquistò il primo mondiale di Formula 1 grazie ai successi nei GP di Gran Bretagna (Silverstone), Svizzera (Bremgarten), Italia (Monza), precededendo nella classifica finale l’argentino Juan Manuel Fangio, suo compagno di squadra (30-27). Nel ’51 dovette accontentarsi del successo nel GP del Belgio (Spa-Francorchamps), quarto nella classifica finale; nel ’52 non vinse alcun GP ma fu secondo in classifica, battuto solo dal ferrarista Alberto Ascari; nel ’53 vinse il suo ultimo GP, in Germania (Nürburgring), fu terzo in classifica e fu protagonista del primo grave incidente nella storia della Formula 1: «In Argentina, la Ferrari di Nino Farina, per evitare un bambino che attraversava la pista, piomba tra la folla uccidendo dieci persone, alle quali se ne aggiungono altre due, travolte da un’autoambulanza giunta ad alta velocità». Nel 1954. il mondiale riapre le porte alle vere Formula 1. Farina prende parte, alla guida di una Ferrari, a due soli gran premi, giungendo secondo in quello inaugurale di Argentina. Proprio questo evento è il primo caso di ricorso post-gara respinto: per un cambio gomme Fangio, vincitore della gara su Maserati, utilizza ben cinque meccanici al posto dei tre previsti dal regolamento. La Ferrari, certa della vittoria a tavolino, suggerisce a Farina e Gonzalez di non forzare. Il reclamo di Maranello è però respinto sia dagli organizzatori che, più tardi, dalla FIA. Nell'altro gran premio stagionale, Farina guida con un tutore di cuoio al braccio destro, fratturato in occasione della Mille Miglia. Nella stagione 1955. Farina disputa tre gran premi conquistando un curioso record. Il gran premio di Argentina, gara inaugurale del campionato, verrà ricordato per il grande numero di cambi di pilota, ben 15, dovuti sia alle particolari condizioni climatiche (35 gradi all'ombra e 55 sul circuito), che alla conseguente stanchezza: Farina, per il gioco dei cambi, finisce quindi al secondo posto (con Gonzalez e Trintignant) e al terzo (con Maglioli e Trintignant). La vettura è una Ferrari 625, la stessa con cui Farina si aggiudicherà il gradino più basso del podio in occasione del gran premio del Belgio. L'ultima presenza di Farina in Formula 1 è il gran premio d'Italia: schierato dalla Ferrari con le vetture rilevate dalla Lancia in seguito all'incidente mortale di Ascari, non riesce a prendere parte alla gara per problemi alle gomme. L'anno successivo volle partecipare alla 500 Miglia di Indianapolis con la Bardahl Ferrari Experimental, una monoposto assemblata dalla OSCA, impiantando un motore Ferrari tipo 446 su un telaio Kurtis Kraft. Il tentativo di qualificazione fallì a causa di non superate difficoltà nella messa a punto dell'impianto di iniezione meccanica Hilborn. Morì in un incidente stradale mentre si recava a Reims per assistere all’imminente GP di Francia.
  6. leopnd

    10 - Cape Grand Prix 1962

    Subito dopo capodanno, il 2. gennaio si corse a Citta' del Capo, sul Killarney Motor Racing Complex... La gara e' stata vinta da Trevor Taylor su Lotus Climax, dietro di lui Jim Clark, anche lui sulla Lotus Climax e terzo Jo Bonnier su Porsche...
  7. Il Gran Premio d'Italia 1931, valido come prova inaugurale del Campionato europeo di automobilismo 1931, si disputò all'Autodromo Nazionale di Monza e fu vinto da Giuseppe Campari e Tazio Nuvolari su Alfa Romeo 8C 2300...
  8. leopnd

    Gran Premio di Cork 1938

    70.000 spettatori... Mica male?
  9. Il Gunnar Nilsson Memorial Trophy è stata una manifestazione automobilistica che si tenne domenica 3 giugno 1979 al Donington Park, nel Regno Unito. Essa fu caratterizzata da diverse gare, riservata ciascuna a una diversa categoria di vetture da corsa. La competizione tra le vetture di Formula 1 non fu un classico gran premio ma una gara a cronometro, in cui avrebbe vinto il pilota che avesse ottenuto il tempo sul giro più rapido e, ovviamente, non fu valida quale prova del campionato mondiale di Formula 1. La prova tra queste vetture venne vinta dal pilota australiano Alan Jones su Williams-Ford Cosworth. Precedette il britannico James Hunt su Wolf-Ford Cosworth e lo statunitense Mario Andretti su Lotus-Ford Cosworth.
  10. leopnd

    Gran Premio di Pau 1938

  11. leopnd

    Coppa Ciano 1938

  12. Gara non valida per il campionato...
  13. leopnd

    Stagione 1937

    Gran Premi validi per il campionato: Gran Premi non validi per il campionato:
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