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  1. Negli '70 e '80 l'Italia da rally era il Paese di Bengodi, un universo dove fiorivano campioni e personaggi nelle varie classi. Poi, dagli anni '90, il declino fino al deserto attuale. Per conoscere meglio la storia dei rally nel panorama nazionale, ecco una sintesi anno per anno fino al 1993, uscita con AS nel '94. Iniziamo dagli anni '60:
  2. leopnd

    Targa Florio

    Nel 1906 un ragazzo di ventitré anni, affascinato da quel nuovo mezzo di trasporto che era l’automobile, ideò quasi per gioco quella che in seguito diventerà una delle più celebri corse automobilistiche del mondo: la Targa Florio. Il nome del giovane era Vincenzo, lo stesso che i suoi genitori, Ignazio Florio e Giovanna d’Ondes Trigonia, avevano dato al loro primo figlio, prematuramente scomparso all’età di tredici anni. Vincenzo nasce nel 1883 a Palermo, rampollo di una delle più influenti famiglie siciliane dell’epoca e fratello minore di Giulia e Ignazio. Fin dalla più tenera età , si lascia incuriosire da quelle poche e rumorose carrozze senza cavalli che vedeva sfilare per le vie della sua città . Le automobili di allora erano trabiccoli lontani anni luce dai mezzi che invadono oggi le nostre strade. Difficili da guidare, lasciavano al loro passaggio un forte odore di benzina e olio bruciato, che però sembrava non dispiacere al giovane siciliano. Vincenzo inizia a guidare poco più che adolescente, partecipa a qualche corsa amatoriale e affianca la sua passione ai primi passi nel lavoro di armatore e di imprenditore nel settore vitivinicolo. Grazie ai facoltosi mezzi della sua famiglia, riesce addirittura ad organizzare una gara lui stesso, la Coppa Florio, disputatasi nel 1905 a Brescia. Forte dell’esperienza acquisita nel nord Italia, decide di concentrare i suoi sforzi nel progettare una manifestazione analoga per le vie della sua amata Sicilia. Fu così che dopo non più di un anno la sua creatura prese vita. E’ chiaro che non poteva fare tutto da solo, si fece perciò aiutare da Henri Desgrange, un suo conoscente francese, direttore della rivista l’Auto. Raggiunse Parigi e lo convinse in poco tempo a pianificare insieme a lui tutti i dettagli della corsa. I due disegnarono un sinuoso percorso tra i monti delle Madonie, che da Bonfornello si snodava su strade di campagna, attraverso Cerda, Caltavuturo, Castellana, Petralia Sottana, Petralia Soprana, Geraci, Castelbuono, Isnello, Collesano e Campofelice di Roccella, con arrivo nella stazione di partenza presso l’antico tempio imerese dedicato alla vittoria. Questo circuito prenderà più tardi il nome di Grande Circuito delle Madonie: 150 chilometri su strade pressoché impraticabili, mulattiere pericolose non solo per il fondo sterrato, ma anche per la presenza di animali che potevano facilmente trovarsi sul percorso e per i quali l’organizzazione si era mobilitata raccomandando agli abitanti dei paesi di legare le proprie bestie durante il giorno di gara. Il comitato organizzatore si chiamava Panormitan e contava una serie di nobiluomini locali chiamati ad essere i giudici di gara, un cronometrista inglese, Gilbert Morley, che oltre a misurare il tempo di ogni pilota era anche l’allibratore ufficiale della manifestazione, due tecnici, un fotografo e un cronista, questi ultimi due inviati francesi de l’Auto. Il montepremi di cinquantamila lire veniva assegnato per tre quinti al vincitore, che riceveva in premio anche una Targa in stile Art Nouveau disegnata da René Lalique, e per la restante parte ai quattro piloti che sarebbero giunti alle sue spalle. La corsa era riservata alle sole automobili derivate dalla normale produzione, con motori a quattro o sei cilindri e alesaggio compreso tra 115 e 150 millimetri. Il peso non doveva scendere sotto li 1300 chili per le vetture da meno di ventimila lire, limite che si abbassava a 1000 chili per quelle che non superavano il valore di quindicimila lire. Il 6 maggio 1906 la prima edizione scatta alle sei in punto del mattino con dieci automobili ai nastri di partenza che dovevano ripetere per tre volte il circuito madonita. La sfida era tra italiani e francesi, con al via cinque Itala, una Fiat, una Berlier, due Clement Bauard e una Hotchkiss. La prima edizione viene vinta da Alessandro Cagno, che si vede consegnare tra le mani una vittoria insperata quando al rifornimento le auto dei due francesi Bablot e Rigal vengono “erroneamente†caricate d’acqua anziché di benzina. Il successo in termini di pubblico di questa prima Targa Florio fu tale da deciderne la replica già l’anno successivo, sempre sullo stesso percorso. In pochi anni divenne per i siciliani un appuntamento tradizionale, atteso e preparato febbrilmente dal pubblico e dai partecipanti, che iniziarono a giungere da ogni parte del mondo. I giovani di ogni contrada diventavano in quei giorni esperti ingegneri e competenti appassionati di automobilismo. Arrivavano, affrontando trasferte pionieristiche spesso difficoltose, dormendo all’aperto o in posti di fortuna, da ogni angolo dell’isola e dell’Italia per veder sfrecciare quei bolidi tra le strade di campagna e di paese, assiepandosi ai bordi delle strade al passaggio dei piloti. Proprio questo grande consenso del pubblico fece la fortuna della manifestazione che divenne in poco tempo la più famosa corsa italiana nel mondo. Il tracciato della prima Targa Florio, il Grande Circuito delle Madonie, resterà invariato fino al 1911, sebbene percorso un numero di volte diverso ad ogni edizione, fino alla creazione di tracciati alternativi, quali il Medio e il Piccolo Circuito delle Madonie. Prima di questi però, nel 1912 la Targa si svolse lungo 965 chilometri perimetrali a tutta l’isola, assumendo il nome di Giro di Sicilia. Si percorreva l’intera Trinacria in senso orario partendo da Palermo e passando per Termini Imerese, Cefalù, Messina, Taormina, Catania, Siracusa, Noto, Ragusa, Gela, Agrigento, Sciacca, Castelvetrano, Marsala, Trapani e ancora Palermo. Così per tre anni fino all’introduzione di un circuito più piccolo tra le Madonie. Si tornerà nel secondo dopoguerra a correre tre edizioni su questo tracciato leggermente modificato per accogliere anche le province di Enna e Caltanissetta. Il Medio Circuito, che toccava solamente i comuni di Cerda, Catalvuturo, Petralia, Collesano e Campofelice, fu utilizzato fino al 1930, per poi passare, dopo la sola edizione del ’31 disputata sulle strade originarie, al Piccolo Circuito delle Madonie: 72 chilometri e ben novecento curve tra Cerda, Caltavuturo, Collesano e Campofelice. Su quest’ultimo si svilupperà la corsa fino al 1977, percorso ogni anno un numero mutevole di volte, compreso tra le sette e le quattordici, con sole quattro eccezioni dal 1937 al 1940, quando la corsa si disputò in una piccola pista ricavata all’interno della città di Palermo, nel Parco della Favorita. Ventuno anni dopo la nascita della Targa vedrà i natali l’altra analoga e prestigiosa corsa italiana, la Mille Miglia, che prendendo spunto dalla tipologia di gara ideata da Vincenzo Florio, si disputerà come competizione agonistica fino ad un drammatico incidente nel 1957. E’ facile anche intuire il motivo per cui la Mille Miglia riscosse subito in quegli anni un successo pari se non maggiore a quello della Targa, realtà prestigiosa ma pur sempre legata ad un solo territorio, peraltro nell’agricolo e profondo sud italiano. Rispetto alla Targa però la Mille Miglia avrà , per quello che riguarda la sua storia di gara automobilistica, vita ben più breve, che si concluse, come detto, solo trent’anni dopo la sua nascita. Di questa corsa dal 1958, e fino ai giorni nostri, si svolgeranno solamente edizioni dimostrative, dette gare di regolarità , in cui i concorrenti si impegnano a raggiungere ogni tappa del percorso rispettando una tabella di marcia prestabilita, in pratica una sorta di sfilata. Destino diverso avrà invece la Targa, anche se in concomitanza con il tragico incidente nella Mille Miglia del ’57, per acquietare le polemiche nate a causa della pericolosità di queste manifestazioni, si correrà per quell’anno come gara di regolarità . Dal 1958 al 1973 la Targa tornerà ad essere competitiva per volere soprattutto del fondatore Vincenzo Florio, e inizierà a rivestire un’importanza capitale nel mondo delle corse automobilistiche, in quanto indosserà i panni, tra l’altro già vestiti nell’edizione del 1955, di gara titolata ai fini dei campionati mondiali di vetture Sport Prototipi e Gran Turismo. Nomi altisonanti e case costruttrici blasonate parteciperanno negli anni d’oro della manifestazione, che si concluderanno improvvisamente nel 1973, a causa di un’edizione contrassegnata da numerosi incidenti gravi, che dimostrarono come l’anacronistico circuito delle Madonie non potesse reggere il passo con l’evoluzione motoristica e velocistica delle automobili. Fu così che nel 1977, dopo altre tre edizioni corse senza lo status di gara internazionale, un grave incidente decretò la fine della manifestazione. Gabriele Ciuti, al volante della sua Osella motorizzata BMW, uscì di strada in un tratto misto che seguiva il rettilineo di Buonfornello falciando alcuni spettatori e provocando due morti e tre feriti gravi. Si decise così di porre fine alla competizione, trovando però una via diversa da quella percorsa dagli organizzatori della Mille Miglia. Venne infatti deciso di trasformare la corsa non in una gara di regolarità ma in un Rally, che prese il via l’anno successivo e che ancora oggi è la competizione fiore all’occhiello del campionato italiano assoluto. Il fascino della Targa Florio abbracciava non soltanto il pubblico, ansioso di veder passare bolidi abitualmente impegnati in autodromi sparsi per il mondo, ma anche e soprattutto i piloti, ansiosi di cimentarsi alla guida di automobili sempre più perfezionate e potenti, su anguste stradine e saliscendi impegnativi, avvolti in un contorno di ineguagliabile bellezza quale era quello delle colline siciliane. Durante il primo trentennio di manifestazione si alternarono e si sfidarono sulle strade siciliane le leggende dell’automobilismo italiano, tra cui Campari, Nuvolari, il conte Masetti (tragicamente scomparso in gara), Varzi, Borzacchini ed Enzo Ferrari. Negli anni del primo dopoguerra si disputarono la Targa i campioni della Formula 1 dell’epoca: Juan Manuel Fangio, Stirling Moss, Piero Taruffi, Eugenio Castellotti, Wolfgang Von Trips, Jacky Ickx, Graham Hill e Arturio Merzario solo per citare i più noti. Chi di loro aveva avuto occasione di partecipare sia alla Targa Florio che alla Mille Miglia, definiva quest’ultima come una passeggiata in confronto alla corsa siciliana, dove vincere rappresentava motivo di prestigio assoluto, ma il vanto era anche solo terminare una gara così selettiva senza essere uscito di strada. Il corridore simbolo di questa corsa non è però uno dei velocissimi campioni citati, bensì l’idolo di casa, Nino Vaccarella. Alla guida di una Ferrari 275 P2, ricordata come una delle più belle automobili da corsa mai realizzate, vince la sua prima Targa nel 1965, affiancato dal compianto Lorenzo Bandini. Nino nasce nel 1933 a Collesano, rimane prematuramente orfano del padre dal quale eredita la passione per la velocità e una Fiat 1100 con la quale comincerà a correre. Dopo i primi successi riuscirà a comprarsi una Lancia Aurelia 2500 con la quale parteciperà alla sua prima Targa Florio. A bordo di una Maserati debutterà nel campionato Sport 2000 dove verrà notato da Giovanni Volpi, titolare di una prestigiosa scuderia, che gli spalancherà le porte della carriera automobilistica. Nel 1963 verrà squalificato nella Targa a causa di un impassibile giudice che lo trovò sprovvisto di patente, ritiratagli qualche tempo prima a causa di un incidente stradale. Si rifarà nel 1964 vincendo il mondiale Sport Prototipi e la 24 Ore di Le Mans, e affermandosi l’anno successivo per la prima volta nella Targa. Bisserà il successo nel 1971 e nel 1975, prima di ritirarsi a vita privata. Per capire l’integrità del personaggio basti citare un episodio risalente alla 24 Ore di Le Mans vinta, quando si rifiutò di festeggiare per poter subito partire alla volta di Monteleone e presentarsi puntuale all’inizio delle lezioni nella scuola dove era preside dal giorno successivo. Il “preside volante†era appunto detto Nino Vaccarella, idolo delle folle siciliane che seppe conquistare con le sue gesta l’affetto e l’ammirazione dell’intera isola. Nella sua lunga storia, la Targa, come d’altronde ogni singola corsa automobilistica, ha dovuto fare i conti anche con tanti incidenti, alcuni purtroppo mortali. Molti generati non soltanto da errori dei piloti o da inconvenienti tecnici, ma dalla troppa foga e passione del pubblico che per veder passare i loro idoli si addensava sui marciapiedi e ai bordi delle strade anche oltre il limite del consentito. Si ricorda in particolare la scomparsa del conte Giulio Masetti, che nel 1926, a bordo della sua Delage nel corso del primo giro della corsa sul Medio Circuito delle Madonie, sbandò in una curva uscendo di strada e perdendo la vita sul colpo. In quel luogo, nei pressi di Sclafani Bagni, sorge oggi un cippo che lo ricorda. La Targa Florio fu per la Sicilia, nei suoi anni di massimo splendore, un motivo di vanto e di interesse che portò all’isola non soltanto notorietà , ma anche numerosi introiti monetari, in quanto fungeva da vetrina internazionale per un territorio ricco di risorse e dal paesaggio meraviglioso. La Targa era il punto di più alto interesse all’interno della manifestazione nota come Primavera Siciliana. Sulle famose tribune di Cerda, volute proprio da Vincenzo Florio per veder sfrecciare le automobili in tutta sicurezza, si incontravano, nei giorni della manifestazione, nobili palermitani e imprenditori da tutta la penisola, che stipulavano contratti e concludevano importanti affari. Per quanto si possa definire una corsa, una gara, una competizione, la Targa Florio è ed è sempre stata soprattutto sinonimo di Sicilia. Ha fatto emergere agli occhi del mondo i lati positivi di una terra passionale, ricca di entusiasmo popolare, di bellezze paesaggistiche e di amore per la propria storia e tradizione, non nascondendo però i disagi sociali e i dislivelli culturali di molti dei paesani che affollavano le strade. Oggi purtroppo quell’atmosfera è svanita, le automobili sono diventate troppo potenti e veloci per poter correre in sicurezza tra le vecchie strade madonite, e il Rally che oggi si disputa è un giusto tributo a quelli che sono stati gli anni d’oro di un evento irripetibile. Se però ci si vuole immergere nell’atmosfera dei tempi che furono, una sorta di porta aperta con il passato c’è ancora oggi a Collesano, centro agricolo di cinquemila abitanti alle pendici delle Madonie. Grazie a un illustre cittadino Giacinto Gargano, vi è stato aperto un bellissimo museo, dal quale emergono, in una quiete inusuale per il mondo dei motori, antichi manufatti, documenti, trofei e meravigliose fotografie di quella splendida corsa che ha rappresentato per buona parte del Novecento, il meglio della Sicilia. Testo scritto da Simone Valtieri
  3. sundance76

    Sandro Munari

    "Volete sapere quale è stata la gara più faticosa che abbia mai corso? Il Tour de France Automobile. Era il 1973, e Fiorio decise che la Lancia avrebbe partecipato con due Stratos, una per me e Mario Mannucci, e una per Jean Claude Andruet e «Biche», una brava navigatrice francese di cui non ho mai conosciuto il vero nome. La gara durava nove giorni e nove notti, e a malapena si riusciva a dormire due o tre ore al giorno. Si gareggiava in tutti i circuiti francesi e in tutte le prove speciali e gare in salita che abitualmente si correvano durante il Montecarlo o la Coupe des Alpes. Insomma si percorreva tutta la Francia da nord a sud e da est a ovest arrivando a sconfinare in Spagna per correre in notturna anche nel circuito usato per parecchi anni nel Gp di Formula 1 in Spagna. Inoltre gli organizzatori avevano avuto la grande idea di farci percorrere tutte le stradine secondarie per non intasare le grandi arterie, visto che le vetture che partecipavano alla gara erano state allestite per i circuiti. Rumore e curiosità avrebbero insomma indotto la polizia francese ad intervenire in maniera drastica. Risultato: quando andava bene si riusciva a dormire due o tre ore per notte, e il resto ovviamente lo trascorrevi in macchina. Non si poteva riposare nemmeno nei lunghissimi trasferimenti, perché le strade erano difficili anche sotto il profilo della navigazione, e quindi se avesse preso il volante il navigatore per farmi riposare, ci saremmo sicuramente persi. Così cercammo uno stratagemma che sulla carta doveva funzionare. Dal momento che Andruet si era ritirato e Biche era salita sulla vettura del miglior meccanico che la Lancia Corse avesse mai avuto (si chiamava Gino Gotta e poco tempo dopo, con tutti i rischi e le peripezie che aveva trascorso per essere sempre presente ai punti fissati per le assistenze, Gino morì in uno stupido incidente stradale nei pressi di Torino per colpa di un pirata della strada che non aveva rispettato uno stop, “Ciao Gino”!), pensammo che lei potesse farci strada. Mannucci si mise quindi al volante e io mi sedetti sul seggiolino accanto per riposare un po’. Purtroppo la brillante idea si esaurì nel giro di una mezz’ora, con il buon Mario che a un certo punto mi sveglia dicendomi: “Guida tu altrimenti arriviamo in ritardo al controllo orario”. Così mi rimisi alla guida, e per fortuna arrivammo con pochi minuti d’anticipo. Per fortuna dopo il controllo c’era un riordino, perché la prova che ci aspettava era il circuito di Le Mans. In questo frangente si può usufruire di un po’ di tempo e quindi ci si può rilassare, mentre i meccanici provvedono a controllare la vettura ed a prepararla per la prova su pista: scelta dei rapporti del cambio, pneumatici, slick ecc.…ecc. A questo punto eravamo più o meno a metà gara e la stanchezza cominciava ad accumularsi. Tuttavia bisognava andare avanti. Così tra una prova speciale e l’altra e i trasferimenti sempre molto snervanti, arriviamo alle 22 sul circuito di Montjuich, il circuito catalano ricavato nel parco di Barcellona; quell’anno, infatti, il Tour prevedeva anche uno sconfinamento in Spagna. Visto l’orario sembrò subito chiaro che la gara si sarebbe svolta in notturna: proprio una vera chicca in particolare per me che non avevo mai visto il percorso prima. Inoltre non avevamo avuto nessuna informazione utile per poter scegliere il rapporto più giusto. Così nella riunione tecnica ci avvalemmo di una piantina del tracciato, con il triste risultato di sbagliare in pieno la scelta per difetto. Infatti, all’inizio del rettilineo ero già fuori limite, ma nonostante ciò riuscii a finire la prova in seconda posizione grazie ad una staccata mozzafiato, al primo tornante dopo la partenza. Il tutto nasce dal fatto che feci il solo giro di formazione per cercare di memorizzare il tracciato. Così al pronti via, pur essendo in Pole in quanto leader della classifica generale, diverse vetture che erano molto più prestazionali della Stratos, mi superarono. Nel momento di affrontare il dosso ero convinto che ci fossero ancora 200 metri circa per imboccare il tornante a sinistra, e quindi non accenno a staccare. E non faccio una piega anche quando vedo le macchine davanti a me che cominciano a frenare: ormai in testa avevo voluto che il tornante fosse ancora molto più avanti. Mi ricredo subito quando vedo la Ligier, in posizione davanti a tutti, che stava già entrando nel tornante. A quel punto pianto una gran frenata e la macchina s’intraversa, le altre vetture che mi circondavano di colpo si allargano per evitare una collisione, mentre nel frattempo riesco a recuperare la macchina e a girarla dal lato giusto. Così, tutto di traverso, entro nel tornante subito dietro la Ligier. Dopo aver tirato un sospiro di sollievo, mi accodo alla vettura che mi precedeva e termino anche la prova in questa posizione mantenendo sempre il primato in classifica. Era andata molto bene, e oltretutto i commenti dei piloti che erano in bagarre con me, erano del tipo: “Quello sì che è un duro! Avessi visto che staccata ha fatto al tornante dopo il via!”. Se avessero saputo com’erano andate veramente le cose… Per concludere vi racconto cosa ci riservò l’ultima tappa. Dopo sette giorni di gara, affrontiamo l’ultima frazione che aveva inizio alle 5 del mattino dopo avere dormito solo tre ore. In quest’ultima tappa erano previste 5 prove speciali e 4 circuiti. Ebbene abbiamo corso senza soste per 41 ore, (quarantuno, avete letto bene), visto che l’arrivo a Nizza era previsto per le 22 del giorno dopo. In questa gara persi 7 chili, e meno male che ad attenuare un po’ l’immensa fatica ci ha pensato la vittoria. Se disgraziatamente fossi arrivato secondo, mi sentirei stanco ancora oggi". - Sandro Munari -
  4. sundance76

    Rally anni '60

    Nell'estate 1990 AutoSprint pubblicò una serie di cinque fascicoli dedicati agli anni '60, ognuno dedicato a una diversa disciplina: F1, rally, sport-prototipi, cronoscalate, e infine alle altre corse (F2, Turismo, ecc.). Eccovi quello dedicato ai rally. E' molto interessante perché proprio negli anni '60 i rally si staccano definitivamente dalle altre discipline e acquistano la loro autonoma fisionomia.
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