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  1. Ayrton4ever

    Jean-Pierre Wimille

    Oggi parliamo del pilota più forte tra gli sconosciuti al grande pubblico. Un pilota straordinario, un Uomo straordinario. Uno che noi, che non siamo ossessionati dai tabellini ma dalla curiosità , dobbiamo conoscere e onorare. Uno che sarà preso a modello da Juan Manuel Fangio e che Enzo Ferrari definirà “uno dei più forti della sua epoca; con Maurice Trintignant e Jean Behra, uno dei più grandi piloti che hanno rappresentato la Francia. Avrebbe fatto molto di più se avesse potuto continuare ”. La sua vita potrebbe essere tranquillamente un film perché c’è di tutto: ammirazioni, onori, amicizia, tragedie, rischi, il dramma della guerra, fascino, amicizie altolocate, la rinascita sportiva e la fine misteriosa, questa è la vita di Jean-Pierre Wimille. Jean-Pierre Wimille nasce il 26 febbraio 1908 nella Parigi della Belle Epoque. Anni vitali, pieni di innovazioni tecnologiche, di arte, tra una serata al Moulin Rouge e un’esposizione universale; anni in cui ci si illude che l’umanità abbia davanti solo pace e prosperità . Jean-Pierre nasce in una famiglia borghese, suo padre Auguste è il corrispondente per i motori del “Petit Parisien” e lavorerà anche per l’edizione parigina del New York Herald. Auguste ama i motori e l’aviazione, è lui a far appassionare il figlio alle competizioni fin da piccolo. Wimille comincia a seguire le corse e in particolare un uomo, eroe della Grande Guerra e futuro avversario, che lo influenzerà più di quanto nessuno possa mai immaginare, Robert Benoist. Jean-Pierre comincia a guidare e la sua prima macchina è una derivata Morgan a tre ruote che distruggerà spremendola; acquista quindi una Bugatti da 1500 cc. Il debutto agonistico arriva il 21 settembre 1930 a Pau, alla guida di una Bugatti T37 al Gran Premio di Francia. La gara fa parte delle cosiddette “Grandi Prove” insieme alla 500 Miglia di Indianapolis e alla 600 Km di Spa, Gran Premio del Belgio e d’Europa. Accanto a queste tre gare ce ne sono altre ventuno, impegnative e particolari come la Targa Florio, Monaco, il gran Premio di Tripoli, la Coppa Ciano a Montenero, l’inferno verde del Nurburgring, Monza, la Coppa Acerbo a Pescara. I nomi che partecipano a queste gare sono il grandissimo Tazio Nuvolari, campioni come i tedeschi Caracciola e Rosemeyer, Chiron, Varzi, Borzacchini, Fagioli, un certo Grover Williams, Moll e Etancelin. Ed è proprio Philippe Etancelin che vince a Pau il 21 settembre, percorrendo in due ore e quarantatre minuti i quasi 400 chilometri del Gran Premio, 25 giri da oltre 15 km ognuno. Il circuito è uno stradale ricavato dalle strade che collegano Pau a Tarbes e Morlaas. Il debutto del nostro non è dei più memorabili: ritiro per la rottura del motore al secondo giro, dopo essere partito dalla quinta piazza. Il ghiaccio è rotto e nel 1931 Wimille si ripresenta a correre: i tre Grand Prix sono il Gran Premio d’Italia, quello di Francia e quello del Belgio; più altre 25 corse di cui due in Nord Africa e qualcuna in contemporanea. Il 29 marzo 1931 a Cartagine non riesce a partire con la sua Bugatti 37. Va un po’ meglio nelle tre grandi prove: a Monza, il 24 maggio, in coppia con Gaupillat conduce la sua Bugatti al quarto posto assoluto, anche se distaccato di 17 giri, in una corsa da 155 giri e 10 ore di durata (1550 Km). Al Gran Premio di Francia a Montlhery, il 21 giugno, sempre con Gaupillat, conduce la Bugatti T51 ma è tradito al 71° dei 101 giri da una sospensione mentre al Gran Premio del Belgio chiude al settimo posto. Alla fine dell’anno è nono nella classifica finale del Campionato che premia Ferdinando Minoia, che trionferà in un curioso sistema a punti il cui scopo, per risultare vincitori, è collezionarne il meno possibile. Minoia arriva a pari punti con Giuseppe Campari ma ha percorso più chilometri e di conseguenza vince il titolo. Il motivo principale dell’esiguità dei risultati ottenuti è comunque dovuto al fatto che il pilota è rimasto a piedi: Jean-Pierre ha ottenuto con un prestito da un privato il modello T51, grazie all’interessamento del patron delle corse e distributore Bugatti, Ernest Friedrich, ma alla fine la macchina è stata sfruttata fino alla distruzione, pertanto Wimille non ha più avuto un mezzo con cui correre, oltre che il denaro per acquistare un nuovo modello. Friedrich era un ex-pilota, aveva anche partecipato alla 500 Miglia di Indianapolis del 1914 e aiutava spesso i giovani, come in quel 1931 con Wimille e Jean Gaupillat. Jean-Pierre si cimenta anche nei rally e a Montecarlo con una Lorraine coupé sport, si classifica al secondo posto. Nel 1932 la Bugatti T51 è competitiva e il pilota più maturo, Jean-Pierre vince così la gara in salita Nizza-La Turbie. La corsa inaugurava in genere tra fine marzo e inizio aprile la stagione delle corse sulla Costa, organizzata dall’Automobil Club di Nizza. Vince in 3’52”6 su un circuito di poco più di 6 Km e si ripeterà anche l’anno successivo su Alfa Romeo. Il 3 aprile a Cartagine si ferma al quindicesimo giro quando è in testa per la rottura dei freni. Il 24 aprile il primo successo importante nel Gran Premio di Orano, in Algeria mentre il 26 giugno trionfa a Nancy nel Gran Premio della Lorena su Alfa Romeo, un modello 2.3 Monza comprato con i suoi soldi. Il 3 luglio nel Gran Premio di Francia, valido per il Campionato Europeo piloti, si ritira a due terzi di gara sempre alla guida di un’Alfa Romeo. Il 14 agosto durante il Grand Prix de Comminges a Saint Gaudens, all’ultimo giro, quando sta guidando la gara, Wimille ha un incidente e viene ricoverato in ospedale con René Dreyfus. Aldilà del cambio di stile di guida che seguirà , meno aggressivo e più concreto, Jean-Pierre si confida con l’amico pilota e confessa il suo desiderio di volersi impegnare in politica, confidando “nel voto delle donne”. Il 25 settembre a Marsiglia non riesce a partire. I risultati arrivano un po’ a corrente alternata ma non impediscono la crescita del pilota che l’anno successivo, nel 1933, viene chiamato da Ettore Bugatti ad assumere il ruolo di test driver della casa di Molsheim, vicino al suo idolo Benoist. Si legherà così quasi definitivamente alla Casa alsaziana tanto che guiderà quasi esclusivamente con questa marca. Sarà una mossa mal calcolata, a causa del dominio dei team tedeschi che, sponsorizzati dal regime nazista, lasceranno agli altri solo le briciole. Questo spingerà Ettore Bugatti a lasciar da una parte le competizioni per monoposto, per concentrarsi sulle competizioni endurance tipo Le Mans. Il 23 aprile, eccezionalmente guida un’Alfa Romeo Monza al Gran Premio di Monaco. Si qualifica bene, all’ottavo posto ma poi è tradito al ventottesimo dei cento giri da un problema ai freni. Si ritira anche a Montlhery al GP di Francia dell’11 giugno mentre il 24 settembre arriva quinto al Gran Premio di Spagna di Lasarte, un circuito dove si comporterà sempre bene. Tra gli altri risultati della stagione spicca il secondo posto del Gran Premio della Marne, il 2 luglio, sul circuito di Reims-Gueux dietro ad Etancelin, dopo il quinto posto delle prove e il terzo posto del Gran Premio di Cecoslovacchia, il 17 settembre, dietro a Louis Chiron e Fagioli. Il 1934 è un anno che si chiuderà bene con la vittoria il 28 ottobre del Gran Premio d’Algeria ad Algeri alla guida di una Bugatti T59. Spicca anche, il 23 settembre, il sesto posto ottenuto al Gran Premio di Spagna a Lasarte, buon piazzamento dopo il secondo posto in prova dietro a Caracciola. Nelle gare precedenti, il 2 aprile a Monaco dopo il nono posto in griglia, si ritira al diciottesimo dei cento giri per la rottura dei freni; a Tripoli il 6 maggio dopo una pole, ottenuta per sorteggio, si ritira per la rottura del tubo dell’olio; il 30 settembre si ritira a Masaryk, dopo un terzo di gara. Il 1935 vede Wimille continuare a sfidare gli stessi assi che ha già conosciuto negli precedenti. Tutti concorrono al Campionato Europeo dei piloti che consta di sette gare: Monaco, Francia, Belgio, Germania, Svizzera, Italia e Spagna; alla fine a risultare vincitore sarà Rudolf Caracciola. Il campione tedesco precederà in classifica Fagioli, Von Brauchitsch, Nuvolari, Dreyfus e Stuck. Wimille è solo 18°, essendosi classificato 4° al Gran Premio di Spagna a Lasarte, dopo aver ottenuto la pole position ma non aver saputo reggere in gara il ritmo delle potenti Mercedes W25. Al Gran Premio di Spagna accade un fatto che segnerà positivamente la carriera di Wimille: Varzi, che guida per Auto Union, prende la macchina di Pietsch, riparte dai box come una furia e ottiene subito il giro veloce. Nella percorrenza di questo giro sorpassa Wimille che prova disperatamente a rimanergli in scia. Jean Pierre commenterà dopo: “Ho imparato di più seguendo Varzi per qualche giro che in tutte le altre gare che ho corso messe assieme”. Varzi più tardi si ritira definitivamente e il francese sarà quarto ma arriverà comunque davanti all’Auto Union di Rosemeyer; un risultato prezioso visti i cospicui aiuti del governo nazista alle case tedesche. A parte questo, Jean-Pierre ha partecipato solo al Gran Premio del Belgio e a quello d’Italia, disertando gli altri appuntamenti. A Spa si rompe il motore dopo 7 giri dopo il quarto posto delle prove e anche a Monza non vede il traguardo. Tra gli altri risultati, ricordiamo il secondo posto in Tunisia, il 5 maggio; il 30 giugno è secondo nel Gran Premio di Lorena vicino a Nancy mentre la settimana successiva è terzo a Reims nel Gran Premio de la Marne. Vince anche per la seconda volta la corsa in salita Nizza-La Turbie. Il 1936 lo vede ancora protagonista con diverse vittorie e piazzamenti di prestigio con la Bugatti. Le prove del Campionato Europeo vedono vincitore l’asso tedesco Rosemeyer su Auto Union che si aggiudica tre delle quattro gare in programma ovvero i Gran Premi di Germania, Svizzera e Italia. La prima gara invece è vinta a Montecarlo da Caracciola che ha così completato il poker di vittorie tedesche. Jean-Pierre a Monaco arriva sesto dopo essere partito ottavo, mentre in Germania si ritira al secondo giro per problemi tecnici dopo che la sorte lo aveva fatto partire in pole position. Si deve ritirare anche in Svizzera mentre non partecipa a Monza. Nelle gare extra campionato, in gennaio arriva secondo in Sudafrica sul “Prince George Circuit” a East London dietro all’italiano Mario Massacuratti, sulla nuova versione del circuito di 17,7 Km. A Pau invece si deve ritirare per problemi ai freni in una gara che lo aveva visto stabilire in pista il giro più veloce dopo aver conquistato la pole position. La settimana magica di Wimille è però quella dal 28 giugno al 5 luglio quando con la sua Bugatti T57G vince il Gran Premio di Francia sul circuito di Montlhéry in coppia con Sommer. Dopo aver percorso gli 80 giri per un totale di 1000 Km, Jean-Pierre va a Reims-Gueux per il Gran Premio de la Marne e il 5 luglio vince ancora, davanti al grande Benoist. Dopo una settimana di riposo, il 19 luglio Jean-Pierre torna a correre nel Gran Premio di Deauville, nel circuito di Dauphine, vicino a Grenoble. Jean Pierre continua il suo momento magico, sembrando imbattibile ma sarà un gran premio tragico che vedrà le morti in corsa del pilota della Maserati Raymond Chambost e di Marcel Lehoux. La morte di Lehoux sarà indiretta causa della vittoria di Jean-Pierre: Farina guida la corsa con l’Alfa Romeo-Ferrari, sta per doppiare Lehoux ma per un’incomprensione le macchine si toccano e volano fuori pista. Se l’italiano è pressoché incolume, il povero Lehoux riporta fratture craniche per cui morirà in ospedale. Il circuito, già criticato dai piloti per l’eccessiva ristrettezza della carreggiata non sarà più utilizzato. La settimana dopo al Nurburgring non compie che due giri prima di rompere il cambio mentre il 9 agosto vince il Gran Premio di Comminges a Saint Gaudens davanti alle Talbot sul circuito di 11 Km, da ripetere quaranta volte, dell’Alta Garonna. In Svizzera, a Bremgarten, è ancora il cambio a tradirlo ma il 12 ottobre a New York nella I Coppa George Vanderbilt arriva secondo dietro a Tazio Nuvolari. Il mantovano percorre i quasi 480 Km di corsa in poco più di quattro ore e mezza, precedendo Wimille di oltre 8 minuti e Brivio di 13. Nel 1937, pur non partecipando al Campionato Europeo, Jean-Pierre entra definitivamente nella leggenda delle corse con la sua Bugatti. Il Campionato Europeo vede lo strapotere dei piloti tedeschi che vincono tutte e sei le corse in programma con Hasse a Spa, Caracciola al Nurburgring, Von Brauchitsch a Monaco e Caracciola ancora sia in Svizzera che in Italia a Livorno sullo spettacolare circuito del Montenero. Rudolf Caracciola con queste tre vittorie otterrà anche il titolo. Wimille comincia la stagione il 18 aprile a Torino quando non riesce a terminare la corsa a causa di una perdita d’olio, lasciando via libera alle Ferrari che terminano ai primi quattro posti della gara ospitata nel Parco Valentino. Da qui in poi per Jean-Pierre è un trionfo continuo: il 21 febbraio vince a Pau precedendo Sommer su Talbot, si ripete con la sua Bugatti T59 il 23 maggio a Bone in Algeria ma soprattutto il 19 e 20 giugno vince, da debuttante, la 24 Ore di Le Mans in coppia con Robert Benoist. La coppia si iscrive con il numero 2, con la scuderia di Roger Labric e dovrà affrontare la concorrenza delle Alfa, delle Talbot, dell’Aston Martin e delle tedesche BMW. La vettura è un modello Bugatti 57G, spinto da un motore a 8 cilindri in linea da 3257 cc, derivato dal propulsore del modello 59 da strada, avente una potenza pari a 250 cavalli. I 243 giri compiuti, per un totale di 3287,9 chilometri percorsi a 137 orari di media, coronati anche dal giro più veloce in corsa in 5’ 13”, consegnano Wimille e Benoist e la loro Bugatti 57G “Tank” all’immortalità sportiva, riportando la vittoria in Francia dopo undici anni. La gara è l’ultima della carriera di Benoist e vede la coppia di amici passare in testa a quattro ore dalla fine. Il momento più difficile è quando Benoist ha un’escursione fuori pista e la macchina si ferma. Essendo in posizione pericolosa, è ammesso l’aiuto esterno che arriva e permette al pilota di ripartire. Wimille sarà uno dei quattro piloti che vinceranno al debutto della mitica gara sul circuito della Sarthe. Per la verità quello sul circuito della Sarthe è un giorno tragico per Bugatti che vede morire René Kippeurt (oltre al britannico Fairfield) per le ferite avute dopo un incidente in gara che ha coinvolto addirittura sette macchine. Il 18 luglio Wimille conclude bene l’anno di competizioni vincendo il Gran Premio de la Marne a Reims davanti alle Talbot. Il campionato internazionale europeo del 1938 vede il bis di Rudolf Caracciola che vince con una vittoria, due secondi e un terzo posto mentre Wimille arriva undicesimo, potendo contare solo sul settimo posto del Gran Premio di Svizzera. Non arrivano grandi risultati per Jean-Pierre che proprio dal Gran Premio di Svizzera in poi correrà per Alfa-Romeo invece della solita Bugatti per la già annunciata decisione della squadra francese di rivedere la propria partecipazione alle corse. Il pilota si ritira a Cork, in Irlanda, per la rottura di un pistone; si ritira anche a Tripoli e al Gran Premio di Francia a Reims. Arriva terzo alla Coppa Ciano, guidando con Clemente Biondetti un’Alfa Romeo e sempre su Alfa 312, si piazza, come detto, settimo a Bremgarten in una giornata da diluvio universale che vede trionfare il Regenmeister Caracciola. Amarezza finale per il ritiro a Monza sempre su Alfa Romeo. Il 1939 sarà un anno molto importante per diversi aspetti. Il primo, importante a livello mondiale perché sarà l’ultimo, relativamente tranquillo prima dello scoppio del secondo, terribile, conflitto mondiale. Il secondo sarà a livello aziendale per la Bugatti, la tragica morte di Jean, figlio del fondatore Ettore, l’11 agosto, nel corso dei collaudi del modello 57. Il terzo è la seconda storica vittoria alla 24 Ore di Le Mans in coppia con Veyron alla guida di una Bugatti 57C. Jean-Pierre torna a correre per la “voiture bleu” e il 7 maggio vince la “Coppa di Parigi” a Montlhéry dopo aver ottenuto la pole position e condotto la gara dall’inizio. Sul traguardo precederà Sommer su Alfa Romeo di 9 secondi e le Talbot. Il 4 giugno vince il Gran Premio del Centenario del Lussemburgo davanti a Clemente Biondetti su Alfa Romeo. Due settimane dopo, il 17 e 18 giugno, in coppia con Pierre Veyron, correndo con il numero uno, vince per la seconda volta le 24 Ore di Le Mans con la Bugatti T57 “Tank”. Una gara storica, anche perché si riparlerà di correre sulla Sarthe, solo nel 1949, dopo la guerra e la ricostruzione. La vettura è l’evoluzione del modello che ha vinto nel 1937, anche se più leggero (carrozzeria in alluminio da 60 Kg) e con motore più potente. Il motore è un 3300 cm con un compressore da 200 cv e 5000 giri/minuti e freni idraulici. L’Automobil Club dell’Ovest per rendere più interessante la corsa ha messo in palio una somma per il leader allo scadere di ogni ora, fino a un totale di 100.000 Franchi. L’inizio non è dei migliori, anzi è tremendo e il giovedì in prova, si rompe un motore per il grippaggio di tre pistoni. Mentre Wimille torna a piedi ai box, Robert Aumaitre, un meccanico scoperto in un’officina da Veyron che lo ha portato in squadra dove è diventato l’uomo di fiducia di Jean Bugatti, comincia le riparazioni. Qui la squadra si divide e Jean vorrebbe addirittura rinunciare alla competizione mentre Aumaitre vuole sostituire il motore; il meccanico ha la meglio e telefona in sede per farsene mandare uno ma il tempo è veramente contato: due meccanici partono in direzione di Le Mans mentre Wimille va loro incontro. Dopo un lavoro certosino il sabato la macchina è pronta per scendere in pista. La Partenza Quando Charles Faroux, storico direttore di corsa dal 1923 al 1956, dà il via sventolando la bandiera tricolore, la Bugatti è terza dietro alla Lagonda numero 5 e a Mazaud con la Delahaye e così terminerà anche il primo giro. Al terzo passaggio Gèrard guida la corsa ma Wimille è passato al secondo posto, al settimo Jean-Pierre ha un distacco di ventidue secondi e dopo un’ora è quarto a un minuto e dieci secondi da Gérard. Dopo tre ore Wimille è scivolato in settima posizione mentre alle 20, dopo quattro ore e due minuti, la coppia Wimille-Veyron ha recuperato una posizione e alle 22 i due sono quarti seppur staccati di un giro dalla Talbot di Chinetti. Verso l’una e venti del mattino, il motore dà segni di surriscaldamento e viene deciso di levare la carenatura inferiore per permettere un miglior raffreddamento e alle sei, Wimille e Veyron sono in terza posizione per il ritiro della Delahaye di Mazaud che prende fuoco sulla linea del traguardo. Alle otto e trenta arriva una beffa: percorrendo l’Hunaudières, Jean-Pierre fora ma riesce a ripartire con una ruota fuoriuso e una sospensione danneggiata, raggiungendo i box, qui perde tre giri e riparte secondo ma a 5 giri dalla testa dove la Delage di Gèrard-Monneret. Jean-Pierre al Tertre Rouge A mezzogiorno la svolta: la Delage si ferma a più riprese, avanzando a singhiozzi. Vengono cambiate le candele ma il problema non è totalmente risolto e la macchina precipita al secondo posto a due giri dalla Bugatti. A due ore dalla fine i “nostri” guadagnano un altro giro e a mezz’ora dal termine superano il record sulla distanza, tagliando vittoriosamente il traguardo trenta minuti dopo, ottenendo una vittoria con la regolarità dei tempi sul giro. Le vetture bleu compiono in totale 248 giri, tre in più della Watney di Louis Gerard e George Monneret, per un totale di 3.354,76 Km, ad una velocità media di quasi 140 Kmh. La macchina vincente Il due luglio si corre ad Angoulème, un borgo medievale circondato da mura a circa cento chilometri a nord-est di Bordeaux, su un circuito breve ma molto stretto e spettacolare con un passaggio davanti alla Cattedrale. A tale paesaggio da cartolina si contrappone un mesto ritiro in gara per la rottura del cambio, nonostante la pole position nella sua batteria. Purtroppo non c’è altro, Hitler il primo settembre invaderà la Polonia, il mondo dovrà pensare ad altro e per Wimille cominciano le vere sfide, dove mostrerà comunque il suo coraggio, la sua intelligenza e il suo talento... Fine prima parte
  2. Ayrton4ever

    Soichiro Honda

    Questa è una biografia diversa, più informativa e narrativa, meno numerica e statistica. Raccogliendo le informazioni, confrontandole, sono stato affascinato più dalla personalità e dall’originalità dell’uomo che non dai meri risultati raggiunti, comunque notevolissimi. Credetemi, è stato molto interessante e affascinante, occuparsi della vita di un vero e proprio numero uno, Soichiro Honda. Non venendomi in mente niente di più originale, vi informo che Soichiro Honda nasce il 17 novembre 1906 a Komyo, un villaggio vicino ad Hamamatsu, nella prefettura di Shizuoka, vicino al Monte Fuji. àˆ il primo di nove figli, suo padre Gihei è un fabbro che ha anche una piccola officina che ripara biciclette mentre sua madre Mika è una tessitrice. La sua famiglia è povera ma trasmette ai figli l’educazione, l’etica e il rispetto per gli altri, compresa la puntualità estrema negli appuntamenti. Il padre ha aperto la sua bottega di riparazioni di biciclette dopo aver visto la crescente popolarità del mezzo di trasporto. Aggiusta e rivende le biciclette a prezzi competitivi dopo aver recuperato i pezzi da veri mezzi e averli riassemblati. Gihei coinvolge il figlio nella sua bottega, portandolo con sé e spiegandogli il funzionamento della meccanica, di ogni pezzo, la ragione per cui sta effettuando una determinata operazione. Come conseguenza, Soichiro svilupperà da subito una curiosità non solo per la meccanica degli oggetti, arrivando a progettarne e realizzarne di nuovi, ma anche per le nuove soluzioni. Un giorno poi il suo villaggio è attraversato da una Ford modello “T” e lui è affascinato dall’odore che lasciano olio e benzina e dal suono del motore. Sfrutta poi una delle biciclette del padre per andare a vedere il passaggio di un aereo durante una dimostrazione perché è affascinato dal mondo delle invenzioni. Ha una fervente immaginazione e inventiva che lo tradisce durante il suo percorso di studi (non brillantissimo perché ama trascorrere il suo tempo nell’officina del padre): il sistema scolastico giapponese prevede che i voti siano affidati allo studente, che questi debba far siglare la pagella dai suoi genitori mediante l’apposizione del sigillo di famiglia e Soichiro pensa di creare un sigillo falso per “rendersi autonomo”. La marachella viene scoperta perché Soichiro, in uno slancio di generosità , decide di “aiutare” anche i propri compagni e se il proprio sigillo è perfetto perché prevede solo due caratteri uno sopra l’altro, quello di alcuni compagni vede due ideogrammi posti uno accanto all’altro che riprodotti “a specchio” vanno però invertiti. Il Giovane Honda La carriera da studente termina con il diploma alla Futamata Senior Elementary School e nel 1922 Honda decide di trasferirsi a Tokyo per cercare lavoro, dopo il periodo da apprendista nell’officina del padre. Essendo “circondato” e appassionato di biciclette, legge una rivista chiamata “Il mondo della bicicletta”, qui trova un inserto pubblicitario dell’officina “Art Shokai” di Tokyo e decide di scrivere una lettera, proponendosi come apprendista. La risposta è positiva, così Soichiro parte per rimanere sei anni nell’attuale capitale, imparando a riparare auto, moto, bici e motori in genere. Honda lavora nell’area Yushima di Hongo presso Tokyo ed è un apprendista volontario più che un dipendente retribuito: riceve vitto, alloggio e un piccolo rimborso spese ma è contento perché apprende esperienza che sarà fondamentale come lui stesso ricorderà più volte. Viene subito notato come un giovane volenteroso che si entusiasma per il duro lavoro, la capacità di improvvisare e l’abilità di proporre nuove soluzioni realizzative. Il titolare Yuzo Sakakibara, che è un ingegnere oltre che uomo di affari, nota subito le sue qualità , così brillanti in un ragazzo ancora giovanissimo, lo fa crescere, insegnandogli non solo i segreti della meccanica ma anche il comportamento corretto da tenere con i clienti. Dal primo settembre 1923 può essere seguito meglio dal suo principale a seguito di una tragedia nazionale. Un violento terremoto colpisce anche Tokyo e provoca 140.000 morti; il paese è nel caos, si stabilisce la legge marziale e si ipotizza di spostare la capitale altrove vista la devastazione di numerosi edifici pubblici. Tutti i colleghi di Honda vengono lasciati liberi di tornare ai loro paesi per contribuire alla ricostruzione mentre Soichiro rimane e può completare la sua formazione. Passa da compiti secondari e subalterni a impieghi di maggiore responsabilità , diventando sempre più “uomo di fiducia” del titolare, in virtù dei netti miglioramenti che lo hanno visto non solo eccellere nelle riparazioni ma anche progredire in processi molto complessi come la costruzione dei pistoni. Lo stesso principale diventa un vero e proprio mentore per Honda che lo ricorderà per tutta la vita insieme con la “Art Shokai”, officina ma vera e propria scuola a causa delle sue peculiarità : era infatti un’officina che riparava sia auto che moto e, a causa dell’estrema esclusività di questi mezzi che convogliava i pochi mezzi nelle rare officine, era possibile ammirare vari modelli esteri, importati da tutto il mondo, che spaziavano da quelli più popolari a quelli più ricercati di maggiore qualità , a quelli sportivi o da collezione. Fu un periodo fondamentale perché l’avida curiosità di Honda permise di apprendere una marea di nozioni e osservare una miriade di soluzioni possibili nel variopinto mondo di Art Shokai: diventerà talmente bravo che, unendo le sue nozioni teoriche all’esperienza acquisita, metterà in difficoltà i suoi futuri collaboratori, gli ingegneri delle sue aziende. Sakakibara era inoltre un grande appassionato di motorsport e attraverso le riviste si informava di ciò che succedeva in Europa, leggendo di Grand Prix, di 24 ore di Le Mans e di 500 miglia di Indianapolis e per quanto riguarda le due ruote di Tourist Trophy, la leggendaria corsa dell’Isola di Mans. Questa passione lo porta nel 1923 a decidere di buttarsi nella costruzione di auto da corsa col fratello minore Shinichi. Nel 1924 Sakakibara avvicina alle gare motoristiche anche Soichiro, invitandolo a lavorare su un complesso progetto per la macchina da corsa Art Daimler, che vede il motore da aereo Curtis, un V-8 da 8 Litri, su di un telaio americano Mitchell del 1916. Questa esperienza vede il giovane Honda che costruisce personalmente gran parte dei pezzi, scolpendo in particolare i raggi delle ruote in legno. Pur essendo quasi digiuno di corse, riuscirà a trovare le soluzioni meccaniche ai problemi che si presenteranno, creando macchine con motori fuori centro per le gare su ovali con curve rialzate, testando personalmente la sovralimentazione, aggiungendo radiatori di raffreddamento supplementari o rafforzando valvole. Aumenterà così la sua esperienza, la sua ambizione e la sua capacità di sognare quel “power of dreams” così ricorrente nella vita di Honda. Ah, per informazione il risultato che arriva nel novembre del 1924 è la vittoria nella “Fifth Japan Automobile Competition”con Shinichi Sakikabara come pilota e Soichiro Honda come ingegnere di pista tuttofare… Soichiro a fine 1924 al centro della foto La carriera di apprendistato prosegue ininterrotta e in crescita, favorita anche dal fatto che, a causa della daltonìa, Soichiro viene riformato alla leva militare nel 1926. Nell’aprile 1928 un’altra svolta: Soichiro Honda viene incaricato di aprire una filiale di Art Shokai ad Hamamatsu. Compie i 250 Km a ritroso che aveva percorso sei anni prima e si avvicina al suo paese natale. Con il consueto entusiasmo si butta nel lavoro e comincia nel tempo libero la costruzione di un’auto da corsa che chiama “Art Shokai Auto”, è di questi tempi infatti la passione che ha per le corse automobilistiche e motociclistiche, non più nella veste di tecnico ma in quella di pilota. L’apertura di questa filiale indipendente è l’emblema della fiducia di Sakakibara nei suoi confronti, visto che a nessuno era mai stata concessa tanta fiducia. Questa fu però pienamente ripagata da Soichiro che non viene solo ammirato dai suoi concittadini come meccanico ma anche come inventore, tanto da essere soprannominato “Edison di Hamamatsu”, per le continue idee e nuove soluzioni proposte. L’officina, che vedeva inizialmente il solo Soichiro come lavoratore, cresce fino a raggiungere le trenta unità di personale, compresa Sachi, che dall’ottobre del 1928 stesso era diventata la moglie di Honda, impiegata come cuoca per il pranzo e aiuto contabile. La mente di Soichiro è già oltre: ripara e costruisce ma immagina e sogna un futuro sempre più grande; il sogno però si scontra con l’opposizione delle persone che hanno dato una mano economicamente a Honda e che non vedono ragione di cambiare una realtà che va già bene per una incerta. I sogni e le idee però non si possono fermare e Soichiro comincia a studiare un nuovo progetto di fasce elastiche per pistoni, dedicandosi nei pochi momenti liberi e pensando di vendere il proprio progetto a Toyota. Nel 1931 deposita un brevetto per una ruota in metallo per automobili. ad Hamamatsu nel 1935, Honda è a sinistra con gli occhiali da sole Nel 1936, il 7 giugno, Honda rischia grosso, dilettandosi come pilota nell’All Japan Speed Rally, sul circuito Tamagawa Speedway: entra in collisione con un avversario che sta rientrando in pista dopo una sosta e vola fuori, riportando la slogatura della spalla, la rottura di un polso e svariate cicatrici per le escoriazioni al viso. In quell’anno in una successiva gara, corre ad una velocità media di 120 Km/h, stabilendo un record che durerà per quasi venti anni in Giappone; questa però sarà l’ultima corsa della sua breve carriera. Nel 1937 c’è l’ennesima svolta: fonda la Tokai Seiki Heavy Industry a Yamashita per la produzione di fasce elastiche per pistoni e altre componenti. Non è stato semplice trasformare la filiale di Hamamatsu in un’azienda indipendente e ha dovuto cercare altri finanziatori, ne ha trovato un fondamentale, Shichiro Kato che è formalmente il presidente della nuova società . Come al solito, si dedica completamente al lavoro e non abbandona l’Art Shokai per cui lavora la mattina, occupandosi di pistoni in tarda serata… Prova a vendere i progetti alla Toyota ma riceve una delusione cocente perché i suoi progetti non collimano con gli standard qualitativi dell’azienda e solo tre su cinquanta possono essere accettati. Non accettando una simile bocciatura, Soichiro… torna a scuola! Decide infatti di iscriversi come studente part-time all’Istituto Industriale di Hamamatsu (ora facoltà di ingegneria dell’Università di Shizuoka) per migliorare le sue conoscenze di metallurgia. Sono due anni intensi e Honda, diviso tra lavoro e studio, si impegna così duramente da cadere vittima dello stress che fa sì che perfino i suoi lineamenti risultino alterati. Oltre a questo, continua girare per le aziende metallurgiche per affinare la sua preparazione, aumentare le sue conoscenze e completarsi. Il lavoro paga e Soichiro, oltre a non aver più problemi con Toyota, comincia a fornire veri e propri giganti industriali come la Nakajima Aircraft ampliando la sua creatura che arriverà , nei momenti di massimo sviluppo, fino a duemila dipendenti. Soichiro Honda si trova però ad operare in un paese come il Giappone che ha appena intrapreso un triste capitolo militarista che ha appena portato allo scoppio della guerra contro la Cina. Per la seconda guerra sino-giapponese il paese del Sol Levante subirà l’embargo petrolifero degli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i Paesi Bassi. Viene dichiarata l’”Emergenza nazionale” e passatempi come le corse automobilistiche vengono bandite e tutte le aziende vengono reinquadrate sotto la guida dei ministeri perché la produzione sia convogliata agli scopi del Paese. Le condizioni di vita della popolazione, come facilmente prevedibile, peggiorano rapidamente, le merci scarseggiano e l’intero paese deve far fronte in pochi anni non solo alla guerra sino-giapponese ma dal 1941 in poi alla seconda Guerra Mondiale dopo l’attacco aereo di Pearl Harbour. Il 7 dicembre 1941 è appunto la data dell’attacco per i giapponesi o il “giorno dell’infamia” per gli americani. La Tokai Seiki viene posta sotto il controllo del Ministero degli armamenti, la Toyota subentra con il 40% e Soichiro viene degradato da Presidente a “Senior Managing director”. I lavoratori maschi vengono via via mandati al fronte e le lavoratrici e le studentesse vengono impiegate in fabbrica come “volontarie”. Honda capisce che non può mantenere inalterate le condizioni di lavoro per delle lavoratrici così inesperte e calibra i macchinari in modo da rendere sicuro e più semplice possibile il processo produttivo. Di questi tempi è l’automazione nella produzione le fasce elastiche da mettere alla testa dei pistoni. La guerra non ferma l’ingegnosità di Honda: quando Kaichi Kawakami, presidente della Nippon Gakki (poi Yamaha), chiede una fresatrice automatica per le eliche di legno degli aerei, Soichiro elabora un sistema per passare dalla settimana di produzione a mano a trenta minuti per coppia di eliche. Il conflitto non si mette bene, soprattutto dopo la battaglia di Midway, ed è sempre più chiaro che il Giappone perderà , anche perché i raid aerei americani proseguono senza sosta. Nel 1944, dopo l’occupazione della base di Saipan, i nuovi aerei bombardieri statunitensi, più nuovi e superiori a quelli giapponesi, possono raggiungere e colpire il Giappone. Durante uno di questi raid un B-29 distrugge l’impianto della Tokai Seiki e l’intera città è colpita fino alle macerie. Honda è provato ma trova la forza di studiare e inventare un nuovo modo per produrre il calcestruzzo e, recuperando i bidoni di benzina abbandonati, di reperire le materie prime di cui aveva bisogno per il processo di produzione. Nel gennaio 1945 invece l’altro impianto di Honda viene distrutto dal terremoto di Mikawa che causerà oltre duemilatrecento morti; ad agosto il Giappone si arrende e Soichiro prova a ripartire nonostante sia finanziariamente in grossa difficoltà . Soichiro non ha mai avuto grandi mezzi a disposizione e ora è in grossa crisi; intelligentemente ribalta il proprio punto di vista per ottenere ciò che vuole. Non si chiede quindi come poter ottenere i mezzi che desidera ma come utilizzare i mezzi a sua disposizione per arrivare dove si prefigge. Intuisce che la scarsità di benzina a disposizione richiederà soluzioni di minore costo e ridotti consumi, comincia a pensare così un’azienda di telai e motori per motociclette. Fine prima parte
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