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  1. Robert Gatewood

    1986 F1

    Here is a drawing of Gerhard Berger's 1986 Benetton. Berger's and Benetton's first victory in that year's Mexican GP
  2. v6dino

    Benetton B201 '01

    DATI GENERALI Scuderia: Mild Seven Benetton Renault Anno di produzione: 2001 Motore: Renault RS21 V10 2997cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Elf Pneumatici: Michelin Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Mike Gascoyne, Mark Smith, Ben Agathangelou Impiegata nel: 2001 Piloti: Giancarlo Fisichella, Jenson Button STATISTICHE GP Disputati: 17 Vittorie: 0 Podi: 1 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 0 Miglior risultato: Benetton, 7° posto nel Campionato Costruttori 2001 B201 Il "canto del cigno" della quindicinale storia della Benetton in F.1 fu la "B201", vettura sperimentale utilizzata per testare in pista l'innovativo motore Renault RS21, un dieci cilindri a V di 111 gradi che doveva assicurare un impatto positivo dal punto di vista aerodinamico. Sfortunatamente la messa a punto del motore richiese più tempo del previsto e le prestazioni diventarono accettabili solo nella seconda parte della stagione, quando il confermato Fisichella ed il giovane inglese Jenson Button che aveva scalzato Wurz, poterono un po' più frequentemente lottare per arrivare a punti. La stagione si chiuse però con appena dieci punti all'attivo, la peggiore annata di tutta la storia della Benetton. Una fine tutto sommato malinconica per un team che aveva segnato profondamente gli ultimi quindici anni dell'automobilismo sportivo, vincendo ventisette Gran Premi e due Titoli Mondiali. ( Massimo Piciotti )
  3. v6dino

    Benetton B200 '00

    DATI GENERALI Scuderia: Mild Seven Benetton Playlife Anno di produzione: 2000 Motore: Playlife FB02 V10 3000cc (base Supertec) Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Agip Pneumatici: Bridgestone Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Mike Gascoyne, Pat Symonds, Tim Densham, Ben Agathangelou Impiegata nel: 2000 Piloti: Giancarlo Fisichella, Alexander Wurz STATISTICHE GP Disputati: 17 Vittorie: 0 Podi: 3 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 0 Miglior risultato: Benetton, 4° posto nel Campionato Costruttori 2000 B200 16 marzo 2000: una data importante nella storia della Benetton, quella che segna, di fatto, la sua prossima conclusione. In quel giorno, infatti, venne annunciata ufficialmente la cessione della Scuderia anglo-trevigiana per 120 milioni di dollari alla Renault sotto la "regia" di Flavio Briatore, che tornava così prepotentemente sulla scena. La marca francese, alla sua terza "stagione" in Formula Uno – la prima da costruttore dal 1977 al 1986 e la seconda da motorista fino al 1997 – sarebbe ufficialmente rientrata a partire dal 2001 fornendo i propulsori e dalla stagione successiva dando il nome alla squadra. Il 2000 sarebbe dunque stato il penultimo anno in pista per la Benetton, qualunque fosse stato l'esito della stagione. In questo contesto di evidente transizione, i tre podi conquistati da Giancarlo Fisichella con la "B200" sono da considerarsi un ottimo risultato. ( Massimo Piciotti )
  4. v6dino

    Benetton B199 '99

    DATI GENERALI Scuderia: Mild Seven Benetton Playlife Anno di produzione: 1999 Motore: Playlife FB01 V10 3000cc (base Supertec) Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Agip Pneumatici: Bridgestone Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Pat Symonds, Nick Wirth, Jean-Claude Migeot Impiegata nel: 1999 Piloti: Giancarlo Fisichella, Alexander Wurz STATISTICHE GP Disputati: 16 Vittorie: 0 Podi: 1 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 0 Miglior risultato: Benetton, 6° posto nel Campionato Costruttori 1999 B199 La "B199" fu una vettura nata con grandi ambizioni per tentare il rilancio della scuderia Benetton a grandi livelli. Richards e Symonds introdussero diverse nuove soluzioni assai sofisticate, come il cambio con doppia frizione un nuovo sistema di deviazione anteriore dei flussi, ma il progetto si rivelò nel suo complesso non competitivo e poco performante, anche a causa del non certo supersonico motore Supertec derivato ancora dal vecchio Renault e marchiato ancora Playlife. Fisichella e Wurz, confermati, non andarono oltre a qualche buon risultato, sempre più sporadico. ( Massimo Piciotti )
  5. v6dino

    Benetton B198 '98

    DATI GENERALI Scuderia: Mild Seven Benetton Playlife Anno di produzione: 1998 Motore: Playlife GC37-01 V10 3000cc (base Renault RS9) Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Agip Pneumatici: Bridgestone Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Pat Symonds, Nick Wirth, Jean-Claude Migeot Impiegata nel: 1998 Piloti: Giancarlo Fisichella, Alexander Wurz STATISTICHE GP Disputati: 16 Vittorie: 0 Podi: 2 Pole Position: 1 Giri Più Veloci: 1 Miglior risultato: Benetton, 5° posto nel Campionato Costruttori 1998 B198 Doveva essere l'anno della rifondazione e del ringiovanimento e fu, invece, il primo del ridimensionamento per la scuderia Benetton, dopo gli ultimi acuti del 1997. La nuova stagione si aprì con l'uscita di scena – temporanea, come vedremo – di Flavio Briatore, ultimo "tassello" della Benetton Mondiale di soli pochi anni prima. Al suo posto il "rampollo di famiglia" Rocco Benetton, figlio del "patron" Luciano, e David Richards. I nuovi piloti erano il giovane italiano Giancarlo Fisichella e l'ex-collaudatore Alex Wurz, promosso a titolare. Inoltre la Renault aveva annunciato il suo ritiro ufficiale dopo la stagione '97, ed i motori utilizzati per la nuova vettura furono così degli ex-Renault preparati dalla Mecachrome e bannerizzati da Playlife, marchio di abbigliamento legato al mondo Benetton. Con queste premesse non è sorprendente il fatto che la "B198" abbia veleggiato piuttosto stabilmente a centro gruppo con qualche acuto sporadico – i due podi di Fisichella – che portarono ad un onesto e nulla più quinto posto nella classifica costruttori. ( Massimo Piciotti )
  6. v6dino

    Benetton B197 '97

    DATI GENERALI Scuderia: Mild Seven Benetton Renault Anno di produzione: 1997 Motore: Renault RS9/RS9B V10 3000cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio Carburante e lubrificanti: Agip Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Pat Symonds, Nick Wirth, Jean-Claude Migeot Impiegata nel: 1997 Piloti: Jean Alesi, Gerhard Berger, Alexander Wurz STATISTICHE GP Disputati: 17 Vittorie: 1 Podi: 7 Pole Position: 2 Giri Più Veloci: 2 Miglior risultato: Benetton, 3° posto nel Campionato Costruttori 1997 B197 Ross Brawn se ne era già andato durante la stagione 1996 per raggiungere Schumacher in Ferrari. Rory Byrne aveva comunque iniziato il progetto della nuova "B197" affiancato dai Nick Wirth e Pat Symonds, ma aveva poi lasciato la scuderia ad inizio stagione con l'intento di cambiare vita ed aprire una scuola di sub in Thailandia. Per la cronaca cambiò a breve idea approdando a sua volta in Ferrari, ma quella è un'altra storia. Insomma, per la stagione 1997 la "pelle" della scuderia Benetton era notevolmente cambiata. Restavano i due piloti, Alesi e Berger, ed una vettura stretta parente delle precedenti. Nonostante il motore Renault e l'idea di lottare per il Titolo Mondiale, la "B197" denunciò diversi problemi tecnici, il principale dei quali era la difficoltà nello sfruttare al massimo le gomme che da un lato andavano difficilmente in temperatura e dall'altro subivano spesso un deterioramento anomalo. Questo problema, mai del tutto risolto, rese la vettura realmente competitiva solo nei tracciati più veloci, mentre i molti altri era incostante e tendeva a peggiorare nel corso della gara. Per questo Hockenheim e Monza furono i tracciati dove la "B197" regalò i migliori acuti. In Germania Berger, che aveva già annunciato il suo ritiro a fine stagione, dominò l'intero fine settimana staccando pole, giro veloce e restando al comando dall'inizio alla fine della gara. In Italia, Alesi segnò la pole position e partì in testa, ma un errore dei box nel corso del rifornimento gli costò la vittoria a vantaggio di David Coulthard. ( Massimo Piciotti )
  7. v6dino

    Benetton B196 '96

    DATI GENERALI Scuderia: Mild Seven Benetton Renault Anno di produzione: 1996 Motore: Renault RS8 V10 3000cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio Carburante e lubrificanti: Elf Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Ross Brawn, Rory Byrne, Nicholas Tombazis Impiegata nel: 1996 Piloti: Jean Alesi, Gerhard Berger STATISTICHE GP Disputati: 16 Vittorie: 0 Podi: 10 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 3 Miglior risultato: Benetton, 3° posto nel Campionato Costruttori 1996 B196 Dopo l'apice toccato nel 1995, la Benetton imboccò lentamente ma inesorabilmente il viale del tramonto. Certo, il sospetto che la partenza di Michael Schumacher abbia avuto su questa circostanza un peso notevole, rimane. Ma tutto sommato è forse più corretto dire che l'intera scuderia, a partire dalla proprietà, si è sentita appagata dai risultati ottenuti ed ha cominciato a "tirare i remi in barca". La "B186" era figlia della B195 ed aveva come maggiore evoluzione rispetto alla precedente un nuovo cambio a sette rapporti, più pesante del precedente ma sulla carta più performante. Per il resto, a parte lo "scambio" di piloti con la Ferrari che aveva riportato alla Benetton dopo dieci anni il veterano Gerhard Berger insieme a Jean Alesi, le novità erano poche. Così la nuova vettura era buona ma non buonissima e permise ai due piloti di essere sempre nelle prime posizioni ma senza piazzare nessun acuto. O meglio, avrebbe potuto farlo Jean Alesi a Monaco, ma il differenziale della sua vettura cedette a pochi giri dal termine quando il francese si avviava ad una meritata – anche per la carriera – vittoria. ( Massimo Piciotti )
  8. v6dino

    Benetton B195 '95

    DATI GENERALI Scuderia: Mild Seven Benetton Renault Anno di produzione: 1995 Motore: Renault RS7 V10 3000cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio Carburante e lubrificanti: Elf Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Ross Brawn, Rory Byrne, Nicholas Tombazis Impiegata nel: 1995 Piloti: Michael Schumacher, Johnny Herbert STATISTICHE GP Disputati: 17 Vittorie: 11 Podi: 4 Pole Position: 4 Giri Più Veloci: 8 Miglior risultato: Benetton, 1° posto nel Campionato Costruttori 1995 Michael Schumacher, Campione del Mondo Piloti 1995 B195 Messe da parte le polemiche del 1994, Michael Schumacher e la Benetton affrontano la nuova stagione da Campioni del Mondo. La nuova "B195" era una macchina sensibilmente diversa dalla precedente, pur riprendendone i concetti. Le nuove limitazioni aerodinamiche e tecniche e soprattutto la motorizzazione 3 litri al posto della precedente 3,5 imposta dai nuovi regolamenti costrinsero Brawn ad una profonda rivisitazione del suo progetto. Una rivisitazione che fu accompagnata dalla più importante novità dell'anno: il motore Renault analogo a quello della rivale Williams al posto del Ford Cosworth. La lotta nella stagione fu durissima fra Michael e Damon Hill, ma alla fine, nonostante una vettura probabilmente meno performante della Williams, il campione tedesco si confermò campione del mondo conquistando nove vittorie. Anche il suo compagno Johnny Herbert colse due prestigiosi successi a Silverstone e Monza. Fu l'acme della parabola Benetton in F.1: a fine stagione si profilava la grande rivoluzione: Ross Brawn e Michael Schumacher passarono alla Ferrari per ricostruire il Reparto Corse dopo anni di insuccessi. ( Massimo Piciotti )
  9. v6dino

    Benetton B194 '94

    DATI GENERALI Scuderia: Mild Seven Benetton Ford Anno di produzione: 1994 Motore: Ford Cosworth EC Zetec-R V8 3494cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio Carburante e lubrificanti: Elf Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Ross Brawn, Rory Byrne, Nicholas Tombazis Impiegata nel: 1994 Piloti: Michael Schumacher, Jos Verstappen, JJ.Lehto, Johnny Herbert STATISTICHE GP Disputati: 16 Vittorie: 8 Podi: 4 Pole Position: 6 Giri Più Veloci: 8 Miglior risultato: Benetton, 2° posto nel Campionato Costruttori 1994 Michael Schumacher, Campione del Mondo Piloti 1994 B194 Inutile ricordare a tutti gli appassionati come il 1994 sia stato un anno irripetibile e drammatico. Cosa sarebbe successo senza la tragica morte di Ayrton Senna ad Imola è difficile dirlo, ma la storia – a volte crudele – scrive le sue pagine senza guardare in faccia a nessuno. Michael prima o poi avrebbe vinto lo stesso: la sua B194, figlia della precedente B193 e spinta dal nuovo motore Ford Cosworth Zetec-R era assai competitiva, ma quel Mondiale 1994 non si può certo raccontare solo per i verdetti che finì per sancire. L’anno iniziò con la Federazione Internazionale che proibì gli "ausili elettronici" alle vetture: sospensioni intelligenti e controllo di trazione. Fu forse un tragico errore che rese le vetture, già in parte sviluppate con le “vecchie” soluzioni, veloci e pericolose. Byrne e Brawn, con il nuovo tecnico dell'aerodinamica Nicolas Tombazis, modificarono dunque il loro progetto originale, ma senza stravolgerlo. Che la strada imboccata fosse quella giusta lo dimostrarono le quattro vittorie consecutive di Michael nelle prime quattro gare stagionali. Ma le tensioni e le polemiche – forse anche incrementate dall'enorme impatto emotivo dei tragici fatti di Imola – montarono da quel momento a dismisura. Si cominciò con i sospetti sulla vettura che finì sotto indagine della FIA per un sistema di partenza che sembrava celare il bandito controllo di trazione: il caso "fantasma 13" – dal nome dell'opzione del software sotto accusa rinvenuto nella centralina Benetton – non si chiarì mai del tutto ma alla fine si chiuse sostanzialmente senza sanzioni e conseguenze per il team. Si continuò con la clamorosa polemica di Silverstone, quando Schumacher non si fermò a scontare uno stop-and-go di penalità ritenendolo ingiusto e non rispettò nemmeno la successiva bandiera nera che gli fu mostrata in seguito. Ne seguirono una ridda di discussioni e di veleni che esplosero letteralmente dopo una seconda squalifica in Belgio, per l'irregolare usura del fondo piatto, che tolse a Schumacher una vittoria in pista. La successiva sospensione per due gare del tedesco decisa con ritardo dopo i fatti di Silverstone, permise a Damon Hill, suo rivale, di rimontarlo in classifica. Si deve dunque capire la condotta del giovane Michael che si sentiva "perseguitato" da una Federazione che sembrava fare di tutto per "riparare" alla perdita di Senna favorendo la Williams. L'epilogo è divenuto celebre: in Australia, ultima gara, i due rivali arrivano divisi da un solo punto a favore del tedesco. Che al trentacinquesimo giro non ci pensò su due volte nel chiudere con decisione un tentativo di sorpasso dell'inglese, centrandolo in pieno. Quell'anno difficile e polemico divenne quindi quello del primo Titolo Mondiale di Michael Schumacher e di un pilota Benetton. Contro tutto e contro tutti. ( Massimo Piciotti )
  10. v6dino

    Benetton B193B '93

    DATI GENERALI Scuderia: Camel Benetton Ford Anno di produzione: 1993 Motore: Ford Cosworth HBA7-HBA8 V8 3498cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Elf Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Ross Brawn, Rory Byrne, Willem Toet Impiegata nel: 1993 Piloti: Michael Schumacher, Riccardo Patrese STATISTICHE GP Disputati: 14 Vittorie: 1 Podi: 9 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 4 Miglior risultato: Benetton, 3° posto nel Campionato Costruttori 1993 B193B Un ulteriore passo verso i vertici della Formula Uno. Questo doveva essere – ed in effetti sarà – la "B193". Progettata dalla premiata coppia Byrne-Brawn con il contributo dell'aerodinamico olandese Willem Toet, la vettura era una diretta evoluzione della B192 precedente con qualche miglioria tecnica ed aerodinamica ed il motore Ford potenziato versione "A8". Ma la vera novità era un'altra: l'elettronica. La "B193B" – ultima versione aggiornata dopo la "A" utilizzata nelle prime due gare della stagione – accoglieva gli ultimi dettami tecnologici introdotti a suo tempo dalla Williams: il cambio semiautomatico, le sospensioni attive ed il controllo di trazione. Il talento smisurato di Michael Schumacher che già si lasciava intravedere chiaramente, fece il resto. Michael, con una vittoria e otto podi all'attivo, chiuse il Mondiale al quarto posto e anche il suo compagno di squadra, il veterano Riccardo Patrese giunto all'ultima stagione della sua lunghissima carriera, colse buoni risultati finendo quinto nella classifica finale. La Benetton era ormai la seconda vettura più competitiva del Campionato, dietro alla inarrivabile Williams. Solo il talento di Ayrton Senna trasse dalla McLaren più del suo potenziale. E per il 1994 i tempi dell'assalto al Mondiale sembrano ormai maturi. Ultima notazione: in Portogallo Schumacher portò in prova una versione della vettura con un innovativo sistema a quattro ruote sterzanti che alcune fonti individuano come "B193C". Tuttavia l'esperimento si rivelò poco performante e fu abbandonato. ( Massimo Piciotti )
  11. v6dino

    Benetton B193 '93

    DATI GENERALI Scuderia: Camel Benetton Ford Anno di produzione: 1993 Motore: Ford Cosworth HBA7-HBA8 V8 3498cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Elf Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Ross Brawn, Rory Byrne, Willem Toet Impiegata nel: 1993 Piloti: Michael Schumacher, Riccardo Patrese STATISTICHE GP Disputati: 2 Vittorie: 0 Podi: 1 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 1 Miglior risultato: Benetton, 3° posto nel Campionato Costruttori 1993 B193A La "B193" o "B193A" come talvolta viene indicata negli annali, fu la vettura con cui la scuderia Benetton si presentò al via alle prime due gare della stagione 1993. Si trattava fondamentalmente di un "ibrido" fra la vecchia B192 e la versione definitiva della nuova vettura che sarà identificata come "B" e che sarà varata con il Gran premio di Europa a Donington. Non a caso, diverse fonti la individuano come "B192B" ed è probabile che per la costruzione dei tre esemplari utilizzati si sia ricorso a vetture della stagione precedente evolute. Ancora dotata del motore '92 Ford HB-A7, la caratteristica principale della B193A era quella di avere le dotazioni tecnologiche più aggiornate, quali il cambio semiautomatico, il controllo di trazione e le sospensioni attive. ( Massimo Piciotti )
  12. v6dino

    Benetton B192 '92

    DATI GENERALI Scuderia: Camel Benetton Ford Anno di produzione: 1992 Motore: Ford Cosworth HBA5-HBA7 V8 3498cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Mobil Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Ross Brawn, Rory Byrne, Willem Toet Impiegata nel: 1992 Piloti: Michael Schumacher, Martin Brundle STATISTICHE GP Disputati: 13 Vittorie: 1 Podi: 10 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 2 Miglior risultato: Benetton, 3° posto nel Campionato Costruttori 1992 B192 La "B192" è la prima Benetton firmata da Ross Brawn, ingegnere inglese non ancora quarantenne che aveva iniziato giovanissimo come meccanico della March, era stato in Williams e dal 1989 al 1991 aveva fatto la fortuna della Jaguar, progettando la "XJR-14" che aveva vinto il Campionato del Mondo Sport Prototipi. La sua vettura – disegnata in collaborazione con il "rientrante" Rory Byrne – era innovativa e performante. E questo nonostante l'assenza di ausili elettronici come il controllo di trazione usato su altre vetture e nonostante il fatto che il motore Ford, sebbene ulteriormente sviluppato rispetto al 1991, fosse meno performante di quello dei Renault e degli Honda. Con la "B192" Michael Schumacher vinse così la sua prima gara in Belgio e si piazzò terzo, dietro ai due piloti Williams Mansell e Patrese, nel Campionato del Mondo, battendo il Campione del Mondo in carica Ayrton Senna. Anche Martin Brundle raccolse cinque podi e numerosi piazzamenti che gli permisero di chiudere al sesto posto in Campionato. ( Massimo Piciotti )
  13. v6dino

    Benetton B191 '91

    DATI GENERALI Scuderia: Camel Benetton Ford Anno di produzione: 1991 Motore: Ford Cosworth HBA5 V8 3498cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Mobil Pneumatici: Pirelli Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: John Barnard, Mike Coughlan, Gordon Kimball Impiegata nel: 1991 Piloti: Nelson Piquet, Roberto Moreno, Michael Schumacher STATISTICHE GP Disputati: 14 Vittorie: 1 Podi: 1 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 1 Miglior risultato: Benetton, 4° posto nel Campionato Costruttori 1991 B191 Il musetto rialzato che diverrà poi un marchio di fabbrica Benetton fino a quando, nel 2002, la scuderia sarà ceduta alla Renault. E, soprattutto, quell'asso del volante che ci voleva per lanciare definitivamente la scuderia nell'Olimpo. Il 1991 fu un anno cruciale per le sorti della Benetton. E, questo, al di là della "B191" che era una buona macchina disegnata da Barnard e dalla nuova coppia di progettisti Kimball-Coughlan e che permise a Nelson Piquet di vincere l'ultimo Gran Premio della carriera in Canada. Il fatto che avrebbe cambiato la storia delle corse nei successivi vent'anni accadde a Spa, durante il Gran Premio del Belgio. Un giovane tedesco esordisce al volante della Jordan per sostituire Gachot, fermato dalla giustizia inglese per una lite stradale che aveva avuto a Londra. Quel ragazzo si chiama Michael Schumacher, anni ventidue. Briatore capisce che l'uomo giusto è lui e, con una abile ed ardita iniziativa "manageriale", lo strappa letteralmente ad Eddie Jordan dando senza troppi complimenti il benservito a Roberto Moreno. Il tedesco esordisce con la B191 al Gran Premio d'Italia a Monza. ( Massimo Piciotti )
  14. v6dino

    Benetton B190B '91

    DATI GENERALI Scuderia: Camel Benetton Ford Anno di produzione: 1990 Motore: Ford Cosworth HBA4 V8 3498cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Mobil Pneumatici: Pirelli Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: John Barnard, Rory Byrne Impiegata nel: 1991 Piloti: Nelson Piquet, Roberto Moreno STATISTICHE GP Disputati: 2 Vittorie: 0 Podi: 1 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 0 Miglior risultato: Benetton, 4° posto nel Campionato Costruttori 1991 B190B Secondo la "tradizione" Benetton, le prime gare della stagione 1991 vengono affrontate dalla scuderia con la vettura dell'anno precedente "aggiornata" con la nuova versione "A5" del motore Ford HB e adattata all'utilizzo della gomma Pirelli. L'altra novità evidente della “B190B” è il "ritorno" sulla carrozzeria dello sponsor "tabaccaio" Camel. Massimo Piciotti
  15. v6dino

    Benetton B190 '90

    DATI GENERALI Scuderia: Benetton Formula Ltd Anno di produzione: 1990 Motore: Ford Cosworth HBA4 V8 3498cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Mobil Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Rory Byrne, John Barnard Impiegata nel: 1990 Piloti: Alessandro Nannini, Nelson Piquet, Roberto Moreno STATISTICHE GP Disputati: 14 Vittorie: 2 Podi: 6 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 1 Miglior risultato: Benetton, 3° posto nel Campionato Costruttori 1990 B190 Il 1990 doveva essere un anno-chiave nell'ascesa verso la conquista del campionato del Mondo pianificata da Benetton. La svolta fu innanzi tutto tecnica: ad affiancare Rory Byrne fu chiamato John Barnard, ovvero il progettista di maggior successo del momento, reduce dai trionfi in McLaren. Inoltre, dopo essere già entrato con incarichi dirigenziali dal 1988, nel corso della stagione Flavio Briatore cominciò ad assumere un ruolo centrale nella gestione del team, accentrando a sé in pratica tutti i poteri. Infine il grande Nelson Piquet fu affiancato al giovane e rampante Alessandro Nannini con l'evidente scopo di "far crescere" colui che doveva essere il futuro Campione del Mondo in casa Benetton. La "B190", anche grazie alla fornitura ufficiale di motori Ford, era una ottima vettura che permise spesso ai due piloti di salire sul podio, ma il 12 ottobre del 1990 nel week-end successivo al gran premio di Spagna, ecco l'imprevisto che cambiò i piani. Nannini, nei pressi di casa sua a Siena, ebbe un grave incidente in elicottero nel corso del quale gli viene tranciato di netto il braccio destro. La sua carriera in F.1 fu così bruscamente interrotta. Piquet, curiosamente, "consolò" il team vincendo con un po' di fortuna e moltissima sagacia tattica le ultime due gare della stagione, ma Briatore che sapeva che Piquet aveva già annunciato il ritiro dalle competizioni a fine stagione '91, aveva ora un altro problema da risolvere: trovare un nuovo campione che potesse portare la Benetton al Titolo Mondiale… Massimo Piciotti
  16. v6dino

    Benetton B189B '90

    DATI GENERALI Scuderia: Benetton Formula Ltd Anno di produzione: 1989 Motore: Ford Cosworth HBA4 V8 3498cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Mobil Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Rory Byrne Impiegata nel: 1990 Piloti: Alessandro Nannini, Nelson Piquet STATISTICHE GP Disputati: 2 Vittorie: 0 Podi: 0 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 0 Miglior risultato: N.Piquet, 4° posto nel GP USA 1990 B189B Versione evoluta della "B189" del 1989 utilizzata ad inizio 1990 da Alessandro Nannini e Nelson Piquet in attesa della messa a punto della nuova vettura. La differenza più rilevante rispetto all'originale è l'utilizzo del nuovo motore Ford HB-A4 potenziato rispetto a quello dell'anno precedente. Massimo Piciotti
  17. v6dino

    Benetton B189 '89

    DATI GENERALI Scuderia: Benetton Formula Ltd Anno di produzione: 1989 Motore: Ford Cosworth HBA1 V8 3498cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Mobil Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Rory Byrne Impiegata nel: 1989 Piloti: Alessandro Nannini, Emanuele Pirro STATISTICHE GP Disputati: 10 Vittorie: 1 Podi: 2 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 0 Miglior risultato: Benetton, 4° posto nel Campionato Costruttori 1989 B189 La "B189" ha avuto una lunga gestazione dovuta soprattutto alla messa a punto del nuovo motore Ford HB-A1 a V di 75° diverso dal "classico" DFR a V di 90° e franata anche da un incidente in una sessione di prova in cui Alessandro Nannini distrusse il primo esemplare sperimentale della vettura, rallentando ancora le operazioni. Sta di fatto che la B189 debuttò solo in Francia, dopo ben sei gare corse con la vecchia B188. Nonostante queste difficoltà iniziali, la vettura si rivelò discreta e regalò a Nannini diverse soddisfazioni, fra cui la sua unica vittoria in carriera – seconda della storia Benetton – nel controverso Gran Premio del Giappone, quello del celeberrimo scontro fra le due McLaren di Senna e Prost con la conseguente squalifica del brasiliano cui fu forse "scippato" il Mondiale. Massimo Piciotti
  18. v6dino

    Benetton B188 '89

    DATI GENERALI Scuderia: Benetton Formula Ltd Anno di produzione: 1988 Motore: Ford Cosworth DFR V8 3494cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Mobil Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Rory Byrne Impiegata nel: 1989 Piloti: Alessandro Nannini, Johnny Herbert, Emanuele Pirro STATISTICHE GP Disputati: 8 Vittorie: 0 Podi: 1 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 0 Miglior risultato: Benetton, 4° posto nel Campionato Costruttori 1989
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    Benetton B188 '88

    DATI GENERALI Scuderia: Benetton Formula Ltd Anno di produzione: 1988 Motore: Ford Cosworth DFR V8 3494cc Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Mobil Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Rory Byrne Impiegata nel: 1988 Piloti: Alessandro Nannini, Thierry Boutsen STATISTICHE GP Disputati: 16 Vittorie: 0 Podi: 7 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 1 Miglior risultato: Benetton, 3° posto nel Campionato Costruttori 1988 B188 La "B188" costituì un ulteriore passo della scuderia Benetton verso i vertici della F.1. Rory Byrne concepì infatti una vettura dinamica e performante che precorreva i tempi di un anno, montando il motore aspirato Cosworth DFR da 3,5 litri che ottemperava già ai regolamenti che sarebbero entrati in vigore nella stagione successiva. Nonostante questo handicap nei confronti dei motori turbo e sebbene di fronte al dominio incontrastato della McLaren che quell'anno vinse quindici delle sedici gare in programma, la Benetton colse diversi piazzamenti e ben sette podi, raggiungendo il terzo posto nella classifica costruttori, miglior risultato di sempre del team. Contribuirono all'ottima stagione i due piloti: l'ormai affermato e costante Thierry Boutsen ed il giovane italiano Alessandro Nannini, talento emergente che Peter Collins aveva preso dalla Minardi per sostituire Teo Fabi. A causa degli imprevisti problemi di messa a punto della "B189" soprattutto a causa del nuovo motore Ford HB-A1, la B188 fu utilizzata anche nelle prime gare del 1989 mantenendo un ottimo livello competitivo, testimoniato dall'ottavo podio colto da Nannini ad Imola. Massimo Piciotti
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    Benetton B187 '87

    DATI GENERALI Scuderia: Benetton Formula Ltd Anno di produzione: 1987 Motore: Ford Cosworth GBA-TEC V6 1497cc, turbo Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: Mobil Pneumatici: Goodyear Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Rory Byrne Impiegata nel: 1987 Piloti: Teo Fabi, Thierry Boutsen STATISTICHE GP Disputati: 16 Vittorie: 0 Podi: 2 Pole Position: 0 Giri Più Veloci: 1 Miglior risultato: Benetton, 5° posto nel Campionato Costruttori 1987 B187 L'ottima stagione 1986 aveva proiettato subito la Benetton nella ristretta cerchia dei top-team e così sembrò normale ai vertici del team anglo-italiano di continuare il progetto sotto l'insegna della continuità. La nuova "B187" non era altro che il perfezionamento e l'evoluzione della B186 dell'anno precedente con diverse migliorie aerodinamiche e tecniche. Due elementi però contribuirono a cambiare un po' le carte in tavola: l'ottimo Gerhard Berger non era passato inosservato e con la vittoria in Messico divenne un pilota ambito. La Ferrari lo ingaggiò per affiancare Michele Alboreto sulla F1/87. Al suo posto arrivò l'emergente belga Thierry Boutsen. Il secondo elemento fu la fine dell'accordo con la BMW che costrinse la Benetton a virare sui motori Ford che non erano esattamente la stessa cosa. Fu forse per questo motivo che la stagione 1987 fu alla fine discreta ma al di sotto delle aspettative. Boutsen ed il confermato Fabi colsero un paio di podi e staccarono qualche bella prestazione in prova, ma nulla di più ( Massimo Piciotti )
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    Benetton B186 '86

    DATI GENERALI Scuderia: Benetton Formula Ltd Anno di produzione: 1986 Motore: BMW M12/13 L4 1499cc, turbo Telaio: Monoscocca in fibra di carbonio composita Carburante e lubrificanti: BMW Wintershall Pneumatici: Pirelli Luogo di Produzione: Witney, Oxfordshire (GBR) Progettista: Rory Byrne Impiegata nel: 1986 Piloti: Teo Fabi, Gerhard Berger STATISTICHE GP Disputati: 16 Vittorie: 1 Podi: 1 Pole Position: 2 Giri Più Veloci: 3 Miglior risultato: Benetton, 6° posto nel Campionato Costruttori 1986 B186 I fratelli Luciano, Gilberto, Carlo e Giuliana Benetton fondarono l'azienda di abbigliamento che porta il loro nome a Ponzano Veneto, provincia di Treviso, nel 1965. Da allora il marchio Benetton è diventato uno dei più noti produttori a livello mondiale nel suo settore ed un vero impero economico ramificato: non c'è dubbio che nel successo ottenuto abbia agito un ruolo fondamentale lo stile di marketing dell'azienda, figlia soprattutto della visione imprenditoriale innovativa di Luciano Benetton. Una politica di comunicazione che aveva due pilastri: una fortissima ed aggressiva visibilità pubblicitaria supportata dalle celebri "campagne" e l'impegno nello sport. Fu così che Benetton – fino a quando un recente ridimensionamento non l'ha costretta ad una rifondazione profonda e ad una drastica limitazione delle sponsorizzazioni – è stata da sempre protagonista nel basket, nel volley e nel rugby. E, a partire dal 1983, anche in Formula Uno, quando il marchio Benetton comparve come main-sponsor sulla Tyrrell di Michele Alboreto. Dopo due anni di partnership con l'Alfa Romeo, su input di Luciano Benetton, prese corpo un ambizioso progetto che doveva essere il primo nel suo genere: Benetton con l'acquisto della Toleman nel corso del 1985 doveva diventare la prima azienda a non produrre nulla di meccanico che si trasformasse in costruttore di F.1. Una strada battuta diversi anni dopo anche da Red Bull con il medesimo, notevole, successo. L'inventiva e la capacità tecnica degli ex-Toleman ed i capitali freschi portati dal Gruppo Benetton si rivelarono fin da subito una ricetta vincente, capace di sprigionare fin da subito il potenziale che la Toleman aveva lasciato intravedere. La nuova "B186", in pista con licenza italiana, fu disegnata da Rory Byrne proseguendo il progetto dell'anno precedente della Toleman TG185, ma con un'arma in più. Infatti Peter Collins, team principal Benetton, siglò un accordo con la BMW per la fornitura dei suoi potenti motori turbo per sostituire i romantici ma troppo artigianali Hart. La B186 era così una buona macchina, equilibrata e performante, che permise a Teo Fabi e Gerhard Berger, sebbene in maniera un po' incostante per i problemi di affidabilità mai del tutto risolti, di ottenere ottimi risultati. La crescita della vettura nella seconda metà della stagione fu evidente: Teo Fabi ottenne due pole position consecutive ma in entrambi i casi fu sfortunato, rompendo il motore quando era primo in Austria e venendo frenato da un problema durante il giro di ricognizione in Italia. Ma in Messico Gerhard Berger colse la prima, sensazionale vittoria del team al suo primo anno di partecipazione al Mondiale. ( Massimo Piciotti )
  22. Elio11

    Johnny Dumfries

    John Colum Crichton-Stuart, settimo Marchese di Bute, nato il ventisei Aprile 1958, già Conte di Dumfries prima del 1993, è un nobile britannico ed ex-pilota, ora commerciante e collezionista di opere d’arte. In particolar modo, è celebre per avere vinto la 24 Ore di Le Mans nel 1988 e per aver preso parte al campionato mondiale di Formula Uno con la scuderia Team Lotus. Oggi preferisce essere chiamato semplicemente John Bute. La carriera di Dumfries sembrerebbe essere iniziata abbastanza tardi nel 1978con i kart, grazie alle intuizioni del più famoso cugino Charlie. Salì di categoria nel 1982, approdando nella Formula Ford 1600 al volante di una Ray 82F. L’anno seguente, nel 1983, disputò tredici gare nel Campionato di Formula 3 Britannica con una Ralt RT3 della scuderia ‘Associated Racing’ ottenendo, complessivamente, otto punti. Con la stessa vettura e lo stesso team prese parte a un appuntamento del ‘Campionato di Formula 3 Europeo’ senza ottenere grandi risultati e, inoltre, ebbe modo di saggiare il livello degli avversari nel campionato continentale una seconda volta con alle spalle una diversa scuderia, la quale si rivelerà essere fondamentale per la carriera futura del pilota, il ‘Team BP/David Price’. Si trattò di una squadra meglio organizzata della precedente con cui Dumfries sarà destinato a togliersi alcune soddisfazioni. Nonostante questi risultati, nel 1984, anno chiave per il prosieguo del suo iter agonistico nel mondo dell’automobilismo professionistico, venne impiegato su più fronti: continuò l’avventura nella ‘F3 Britannica’ vincendo il titolo nettamente grazie alle prestazioni della Ralt RT3 del ‘Team BP/David Price Racing’ (ben dieci vittorie, un numero eguale di pole positions e undici podi, per un bottino di centosei punti finali), poi, fu la volta di Macao (i primi legami instaurati con il Team Lotus, tramite lo sponsor John Player Special) dove, però, fu autore di una prestazione deludente e, ancora, ebbe modo di avventurarsi nel mondo delle gare di durata a ruote coperte, prendendo parte al ‘FIA WEC’, con una Porsche 956. Se il parco partenti della F3 Britannica di quell’anno non poté essere in grado di offrire, secondo un giudizio dato a posteriori, un livello di qualità eccelsa, essendo il canadese Allen Berg , l’italo-statunitense Ross Cheever e il tedesco Volker Weidler gli unici piloti ad aver fatto una carriera di ‘spessore’, al contrario, a livello europeo, quantunque lo scenario fosse mutato decisamente in tal senso, Dumfries seppe farsi valere egregiamente. Terminò, infatti, in seconda posizione con cinquantaquattro punti, frutto di quattro vittorie, sei podi e sette pole positions, dietro soltanto a Ivan Capelli. Ebbe modo di prevalere su piloti del calibro di Gerhard Berger, l’irlandese Tommy Byrne e, ancora, Perez-Sala, Oliver Grouillard, Barbazza e i promettenti Marco Apicella, Gabriele Tarquini e Forini. Quell’anno parteciparono al campionato anche due figli d’arte impegnati nelle corse come Paul Belmondo, e Giovanna Amati, un nipote dal cognome pesante come Juan Manuel Fangio II e lo svedese Tommy Borgudd a fine carriera. Tutto ciò, gli valse la possibilità di compiere delle prove con il Team Lotus in Formula Uno alla guida della Lotus-Renault 95T a Donington Park, i risultati delle quali furono apprezzati da Peter Warr e Gerard Ducarouge. Nel 1984, dunque, fu incoronato campione della F3 Britannica, al volante di una Ralt RT3/83-Volkswagen al servizio della scuderia ‘Dave Price Racing’. Terminò la stagione totalizzando centosei punti, con in carniere dieci vittorie. Secondo arrivò Allen Berg , fermo a sessantasette punti. Nel 1985 Dumfries, allontanatosi a seguito di scelte volontarie opinabili e poco lucide dal team ‘Dave Price Racing’, prese parte al Campionato di Formula 3000 approdando al ‘Team Onyx’. Nel corso della stagione si alternò alla guida di una March 85B - Silverstone, Thruxton, Estoril e Vallelunga - e di una Lola T950 nelle restanti gare. I risultati in pista non furono certo soddisfacenti e, a riprova di ciò, il migliore acuto arrivò al volante della March, un sesto posto a Vallelunga nel Lazio. Chiuse il campionato in sedicesima posizione. Nel frattempo, dopo aver perso l’opportunità di essere ingaggiato dalla Brabham, diventò il primo pilota britannico impiegato dalla Ferrari dal lontano 1968, chiamato a occuparsi dello sviluppo dei motori turbo. Disputò, ancora una volta, la gara di Macao e lo fece ricongiungendosi al team ‘Dave Price Racing’ al volante di una Reynard 853-Volkswagen, chiudendo in dodicesima posizione. Andrebbe menzionato anche l’evento ‘Formula 3000 Curaçao Grand Prix’, organizzato dalla SCCA e disputato in un circuito cittadino della ‘capitale amministrativa’ Willemstad delle, ormai, non più esistenti Antille Olandesi, dipendenza del Regno dei Paesi Bassi. Le vetture presero il via in condizioni di ‘bagnato’ e John Nielsen, il vincitore davanti a Ivan Capelli, anni dopo, ricorderà così quella gara: - “Fu una gara pazzesca. L’asfalto era stato reso così scivoloso da tutto quell’olio perso dalle vetture americane in gara prima di noi che fummo costretti a montare gli pneumatici da bagnato. Quando questi si consumarono terminammo la scorta che di essi avemmo in dotazione. Non erano previste condizioni da bagnato e le squadre non si premunirono portando molte gomme di quel tipo. Dovemmo utilizzare le gomme da qualifica per completare il resto della gara”. Dumfries si qualificò in settima posizione con la March 85B-Cosworth e, dopo trentadue giri di gara, fu costretto al ritiro in conseguenza di un contatto poco piacevole con i muretti di cemento a bordo pista. L’anno seguente, nel 1986, Johnny riuscì a ottenere la seconda guida del Team Lotus. Il pilota inglese subentrò a Elio De Angelis, passato da poco alla Brabham. Questo ingaggio venne favorito dalla richiesta di Senna, che osteggiò l’arrivo di Derek Warwick. Il Team Lotus, forte delle vicende recenti e consapevole di dovere concentrare tutte le attenzioni verso una sola guida, optò per Johnny, non più giovanissimo e poco esperto. Il debutto nel Campionato del Mondo di Formula Uno avvenne a Rio de Janeiro, in occasione del Gran Premio del Brasile: dopo essere partito in undicesima posizione in griglia, Dumfries fu autore di un’ottima gara, considerato il suo status di debuttante, e, a metà della gara, riuscì a condurre la sua Lotus 98 in quinta posizione (dietro a Piquet, Senna, Arnoux e Laffite). Si sarebbe trattato di un risultato valevole i primi punti della carriera. Tuttavia, problemi elettrici lo costrinsero a indietreggiare fino alla nona posizione finale, accumulando, per giunta, qualche giro di ritardo dal vincitore. Si trattò di un buon banco di prova, in quanto la gara vide molti ritiri e pochi piloti giunti al traguardo. Durante la prima sosta di quel Gran Premio avvenne un’incomprensione: Dumfries imboccò la via per il ritorno ai box, proprio quando Senna era in procinto di cambiare le gomme. I meccanici agirono prontamente e lo lasciarono ripartire senza troppi patemi. La volta seguente, Johnny necessitò di rientrare ma Senna già stava occupando la piazzola. Allora, giocoforza, Dumfries dovette aspettare compiendo una tornata ulteriore e sforzando ulteriormente il motore quasi esausto, prima di potersi fermare. Al tempo della terza sosta, le noie al motore parvero essere superate da molti giri ma la possibilità di giungere a punti era diventata, oramai, un miraggio. Il percorso di Dumfries nel resto della stagione risentì dell’inaffidabilità del motore Renault V6 Turbo montato sulla vettura progettata da Ducarouge e delle difficoltà di migliorare un ottimo pacchetto iniziale per mancanza dei fondi necessari. A Montecarlo, addirittura, Dumfries non poté partecipare alla gara e ciò dovette essere imputato all’impossibilità di riparare in tempo la vettura schiantatasi all’inizio delle qualifiche. A Detroit, a Giugno, altro circuito cittadino capace di mettere a dura prova la tenuta delle vetture , oltre che poco adatto per i motori turbo, il nobile scozzese fu uno dei pochi sopravvissuti dopo un’estenuante gara che vide molti ritirarsi per problemi di elettronica e di trasmissione. A Brands Hatch, terminò in settima posizione, a ridosso della zona punti, dopo essersi qualificato tra i primi dieci. Due settimane più tardi scampò a un incidente che coinvolse la Ferrari di Johansson e la Benetton di Teo Fabi ma dovette arrendersi quando, tornato ai box per montare nuovi pneumatici e difendere la settima posizione occupata, gli fu riscontrato un problema di perdita d’acqua. A Budapest arrivò la prima vera soddisfazione, poiché il quinto posto nel Gran Premio di Ungheria rappresentò i primi punti iridati in carriera, due per la precisione, risultato replicato proprio nell’ultima gara di Dumfries in Formula Uno (e della JPS in Formula Uno tra l’altro), ad Adelaide. In Messico, nella gara precedente a quella australiana, Johnny fu perseguitato ancora una volta da un problema in qualifica. Partì in diciassettesima posizione e completò soltanto quattordici tornate. Al contrario, il suo compagno di scuderia, Senna ottenne la settima pole position stagionale e, percorrendo il rettilineo in gara, raggiunse la velocità di 346.302 chilometri orari. La stagione si chiuse con un bottino di soli tre punti, risultato che lasciò molti interdetti, alla luce dei sorprendenti risultati di Ayrton Senna. Scaricato dalla Lotus forzatamente, in virtù di un intreccio che vide protagonisti la casa giapponese costruttrice di propulsori, Honda, e, ancora una volta, il brasiliano, tentò di concludere una trattativa con i nuovi arrivati della Zakspeed. A fine anno fu di scena a Macao con una Reynard 863 e sempre con il ‘Dave Price Racing’, anche questa volta senza un risultato finale di rilievo. Abbandonata la Formula Uno, temporaneamente, emigrò negli USA nel campionato a ruote coperte ‘IMSA Camel GTP Championship’ correndo con la nuova Porsche 962. Dumfries prese parte a tre gare vincendo a Elkhart Lake, Road America. Corse anche in Giappone nel ‘All Japan Sports Prototype Car Endurance Championship’, campionato locale per vetture prototipi. I suoi sforzi si concentrarono, in massima parte, nel campionato ‘World Sports-Prototype Championship’ alla guida, complessivamente nell’arco della stagione, della Ecosse C286-Ford, Sauber C9-Mercedes, Porsche 962C e Jaguard XJR-8. Su sette gare un trionfo nella 1000 Km di Spa-Francorchamps assieme a Martin Brundle e Raul Boesel su Jaguar, in aggiunta a quattro podi. In occasione della prima partecipazione alla 24 Ore di Le Mans si ritrovò in coppia con Mike Thackwell e Chip Ganassi. Problemi di trasmissione, verificatosi al trentasettesimo giro li costrinse al ritiro. Tornò a calcare le piste con una monoposto nuovamente a Macao, questa volta in seno al team ufficiale della Volkswagen, denominato ‘Volkswagen Motorsport’ al volante di una Ralt RT31, nono posto finale. Nel frattempo, riallacciò i contatti nel circus della Formula Uno grazie alla Benetton e a Luciano Briatore: avrebbero firmato un contratto l’anno seguente. Per il 1988 Dumfries si concentrò definitivamente sul campionato endurance, e passò in pianta stabile a condurre una Jaguar XJR-9 “Gruppo C” con cui disputò l’intero Campionato Mondiale Sport Prototipi. Una convincente affermazione giunse quando, impiegato in Francia sul circuito Bugatti Le Mans, ebbe modo di conquistare la vittoria nella più che nota 24 Ore di Le Mans, in coppia con Jan Lammers e Andy Wallace. Con la scuderia gestita dallo scozzese Tom Walkinshaw prese parte a nove gare, ottenendo ottantotto punti in classifica. Contemporaneamente, ritentò l’avventura nel campionato ‘IMSA GTP’ (in scena per una sola gara con una Jaguar XJR-9 del ‘Castrol Jaguar Racing’), si cimentò nel ‘Campionato Turismo britannico BTCC’ ma la sua fu una fugace apparizione senza lasciare il benché minimo segno, e acconsentì a ‘retrocedere’ temporaneamente in F3000 con una Reynard 88D del ‘GEM Motorsport’, rimasta orfana proprio di Wallace, in occasione delle restanti due gare della stagione. Ebbe, inoltre, inizio il triennio che vide lo scozzese legato al Team Benetton: portò in pista, inizialmente, la Benetton-Ford Cosworth B188 dotata del primo impianto di sospensioni attive. L’anno successivo Dumfries si ripresentò nel campionato prototipi giapponese, nel turismo britannico e, soprattutto, nel Gruppo C, stavolta, alla guida di una Toyota 88C e 89C-V del ‘Team TOM’S Taka-QTeam’ con cui disputò otto gare, agguantando un quarto posto a Digione in coppia con Geoff Lees. Per molti, non per Johnny, l’episodio più memorabile avvenne a Le Mans. Dopo essere andato fuori pista nei pressi delle ‘Porsche Curves’ e avere danneggiato le sospensioni posteriori, sostò, scese dalla vettura e, di fronte a dozzine di telecamere televisive, tentò, invano, di apportare riparazioni ‘alla buona’ manualmente, un’attività che si protrasse per ben due ore, per giunta, alla presenza inerme di una moltitudine di meccanici del suo stesso team i quali, accorsi sul luogo per aiutare, furono bloccati in questo loro intento dagli ufficiali di gara. Quando, stremato dalla fatica, poté riprendere il via, avvenne il secondo fatto tragicomico: all’atto della ripartenza passò sopra i cavi di una telecamera che, avviluppatisi attorno a una ruota posteriore, distrussero quel poco che Johnny era riuscito a rattoppare. Nel 1990 continuò il rapporto con i nuovi datori di lavoro pur non ripetendo alcun exploit con il nuovo modello Toyota 90C, complice anche una concorrenza che si stava facendo molto agguerrita. Nel frattempo, Dumfries continuò a svolgere mansioni di test driver per la Benetton: le ultime prove private risalgono al Dicembre 1990, quando il ‘Conte’ si impegnò alla guida di una B190 a Estoril, Portogallo. Il canto del cigno ebbe luogo proprio a Le Mans, nel 1991, al volante di una Cougar C26S che montò un motore Porsche V6 abbastanza datato, ammutolitosi al quarantacinquesimo giro. La carriera sportiva di Dumfries si interruppe improvvisamente, al termine della stagione 1992, a causa dei problemi di salute del padre, il quale sarebbe deceduto qualche mese più tardi, lasciandogli in eredità, tra le altre cose, il fardello di doversi occupare degli affari di famiglia. Nell’anno duemilaotto il giornale ‘Sunday Times’ nel suo supplemento redatto annualmente, stilò una classifica degli uomini più ricchi della Gran Bretagna e Lord Bute si attestò alla seicentosedicesima posizione. L’anno precedente era stata alienata la proprietà immobiliare di Cumnock per un valore nominale di quarantacinque milioni di sterline, vendita costata una perdita ingente in termini di posizioni in questa speciale lista. ‘In the age before Bute’ – ‘MotorSport’ Marzo 2006, pag. 52 e ss. Digitate le parole ‘Johnny Dumfries’ in qualsiasi motore di ricerca internet e sarete reindirizzati verso una qualche pagina enciclopedica relativa alle competizioni automobilistiche. Vi sarà detto della sua nascita – avvenuta in un castello (Castello di Rothesay ndr) – e che ora è un pittore talentuoso. Vi immaginerete quel tipo di persona che, dopo avere lasciato momentaneamente da parte il sangue blu e avere avuto una carriera da pilota, la stessa che gli diede la possibilità di arrivare a guidare in Formula Uno con la Lotus e a vincere la 24 Ore di Le Mans con una Jaguar, sia ritornata sui suoi passi con l’intento di riassumere con animo sereno quei doveri che sapeva fin dal principio essere gravanti su di lui, in quanto settimo marchese di Bute. Eccolo lì nei giardini della sua dimora: ‘Jeeves, vai a prendermi la tavolozza dei colori, e portami un Pimms (un cocktail ndr) e una limonata.’ Tuttavia, Johnny Bute, così pretende di essere riconosciuto dopo aver assunto il titolo di marchese nel 1993, è molto di più. “Sono nato davvero in un locale adibito a ricovero ospedaliero” – ride sommessamente, prima di aggiungere che la ricchezza di famiglia a Mount Stuart è davvero rappresentata da ‘una residenza molto spaziosa’. Il passatempo della pittura? “Beh, mi è sempre piaciuto dipingere e decorare!” L’intervista ha luogo lontano dallo splendore dell’ancestrale castello. Ci troviamo in una sala riunioni dall’aspetto spartano vicino alla stazione ‘London Bridge’, dove Dumfries (va bene, non è più il suo nome attuale, ma nel mondo motoristico sarà sempre ricordato con questo cognome) manda avanti una delle due imprese in suo dominio. (...) Nato John Crichton-Stuart, Conte di Dumfries, iniziò a interessarsi del mondo dei motori dopo essere rimasto affascinato dalle gesta di suo cugino Charlie, valente pilota di F3 negli anni Sessanta e, in seguito, uomo chiave della scuderia Williams per dieci anni sul versante della logistica commerciale. Di fatti, grazie all’interesse di Charlie Crichton-Stuart la Williams concluse, ad esempio, l’accordo di sponsorizzazione con Saudia e TAG : “Charlie al tempo in cui eravamo bambini ci veniva a trovare spesso e io ero abbastanza preso dal fatto che fosse un pilota di corse vero e proprio” – ricorda Johnny – “Al tempo in cui lui gareggiava era ancora uno sport con un lato romantico depurato dagli interessi che ci girano attorno oggi”. Svogliato a scuola, frequentò istituti pubblici, tra l’altro, Dumfries prese la decisione di lasciare gli studi all’età di sedici anni per trovare lavoro come decoratore di opere d’arte. Poi, raggiunti i diciannove anni, Charlie lo aiutò a trovare un lavoro alla Williams come autista dei furgoni adibiti al trasporto delle attrezzature. Questo accadde nel 1977. L’anno seguente divenne un meccanico per la ‘BS Fabrications McLaren Team’ e, dopo poco tempo, incominciò la sua avventura come pilota nell’ambito dei kart, nella classe 100cc. Un incidente gli costò la rottura di entrambe le caviglie nel 1980. Passò, quindi, nella Formula Ford nel 1981 e un nuovo sponsor si fece avanti, Luigi Graziano. “Luigi era un fanatico dei motori e mi ripeteva continuamente di stare lavorando per portarmi nella F3 entro il 1983”. Quell’entusiasmo assicurò a Johnny un deciso cambio di rotta nelle prospettive di carriera: ‘David Price Racing’ gli affidò la Ralt RT3 con cui la scuderia aveva fatto correre Martin Brundle nel 1982. L’ex pilota di Formula Uno Dave Morgan avrebbe gestito il giovane intraprendente: “Andai a ritirare la monoposto con la tuta da lavoro, con la mia vettura personale e un rimorchio. Dave Price aveva una segretaria al tempo, Teresa, che irruppe nel suo ufficio ed esclamò allarmata: - ‘C’è un certo tizio qua fuori che vorrebbe prendere in consegna la vettura, ha l’aria di essere un meccanico qualunque!’. A Silverstone, durante l’appuntamento del ‘Campionato di Formula 3 Europeo’, nel Giugno 1983 si fece notare per la prima volta in modo lampante battagliando per la seconda posizione. “Brundle in quella gara andò in carrozza. Ayrton Senna fece una scelta rischiosa con le gomme e utilizzò tre differenti mescole degli pneumatici Yokohama sulla sua vettura. Non gli andò bene, non sembrarono funzionare affatto. Andò in difficoltà seriamente e non trovò il modo di controllare la vettura. Lungo la Stowe ci toccammo e io finì su quella maledetta erba a tutta velocità, il che non fu una bella sensazione. Poi, piano piano riuscii a riprenderlo”. Il momento cruciale giunse alla ‘Club’ dove Senna andò in difficoltà e, di conseguenza, per evitarlo Dumfries percorse il cordolo in modo deciso: “Ciò fece inclinare il fondo scocca, che piegò il perno scorrente lungo il sistema della pedaliera, cosicché il cambio iniziò a vacillare”. Johnny, in definitiva, fu costretto al ritiro per sovralimentazione del motore. Più tardi, venne il momento dell’appuntamento a Donington per il campionato europeo: “Dave Price mi telefonò e mi disse: - ‘Ho avuto il permesso della British Petroleum di schierare due piloti a Donington e vorrei che fossi tu a guidare la seconda monoposto. Ho dovuto farmi il ‘mazzo’ per convincere Thacker, lui non è molto convinto perché combini sempre incidenti’ – e prima che io potessi replicare aggiunse – ‘Guarda, fammi il piacere di non sfasciare quella c**** di macchina’. In gara, Dumfries si fece coinvolgere in un contatto nel tentativo di difendere il secondo posto dall’attacco di Tommy Byrne ... Nonostante gli alti e bassi, Johnny si assicurò il supporto dello sponsor BP anche per il 1984. Nel campionato di Formula 3 britannica spazzò via i suoi avversari, mentre, a livello europeo, sorprendentemente, diede del filo da torcere a Ivan Capelli e fece di Gerhard Berger, Roberto Ravaglia e John Nielsen un ‘sol boccone’. Dopo che Brundle si ruppe le gambe a Dallas, arrivò, addirittura, la chiamata dalla Tyrrell per debuttare in Formula Uno. “Ken Tyrrell era una persona deliziosa. Era uno di quei mentori vecchio stile per i talenti emergenti, un ruolo di estrema importanza in ogni tipo di attività agonistica. Ne dovetti parlare con chi mi aveva messo sotto contratto, cioè Les Thacker della ‘British Petroleum’. Stava investendo su di me ed era giusto da parte mia agire in quel modo. Fu molto gentile e benevolo ed ebbe riguardo della mia posizione, mi disse che stavo avendo la famigerata ‘occasione’. La Tyrrell stava disputando un bel campionato ma molte delle gare rimanenti di quella stagione si sarebbero dovute disputare su circuiti molto veloci e le vetture turbo stavano andando forte. Pensai ai miei interessi, con la Tyrrell mi sarei trovato svantaggiato con quel tipo di motore. Non sarebbe stata da parte mia una mossa intelligente per il prosieguo della mia carriera e finii per declinare l’offerta”. Non ci fu nessuna gara in Formula Uno, però, arrivò l’occasione per i test. Nell’Agosto del 1984 Dumfries si infilò nell’abitacolo della Lotus-Renault a Donington Park, poi, grazie agli utili appoggi del cugino provò la Williams-Cosworth, sempre nello stesso circuito e, infine, per aver vinto il titolo di F3 britannica la ciliegina sulla torta fu il test con la Mclaren-TAG Porsche Mp4/2 a Silverstone. Nel mese di Dicembre scese in pista a Kyalami con la Brabham-BMW per una tre giorni di prove. A questo punto della carriera, Dumfries si ritrovò impiegato anche nel mondiale prototipi, nel ‘World Endurance Championship’, al volante di una Porsche 956. Nella 1000 km di Spa a Settembre Dumfries fece coppia con Richard Lloyd ma la macchina dovette ritirarsi dopo soli sei giri a causa di una perdita dell’olio. In occasione della 1000 Km di Sandown Park, a Dicembre, la vettura, stavolta, sponsorizzata ‘Rothmans’ e guidata da Dumfries e Jack Brabham, risultò ‘non classificata’ pur avendo preso parte alle qualifiche. Si trovava lì per esigenze promozionali e dietro si cela una storia: Rothmans era in procinto di finanziare la carriera di Dumfries e la March della scuderia di Dave Price nel campionato di F3000 del 1985, un accordo legato a doppio filo con un altro progetto che stava prendendo forma simultaneamente, un contratto da terzo pilota con la scuderia di Formula Uno Brabham. Ci fu un intoppo, abbastanza grosso: Ferrari volle saggiare le capacità dello scozzese e lo convocò a Fiorano. Johnny scelse di percorrere romanticamente la via che lo avrebbe fatto approdare al ‘cavallino rampante’. Firmò un contratto da tester con la scuderia italiana ma ciò ebbe ripercussioni sulla sua carriera: avendo perso l’appoggio di Dave Price e i soldi della Rothmans si ritrovò nella posizione di dovere trovare soluzioni di ripiego per continuare il suo programma di apprendistato nelle formule minori, segnatamente nella neonata ‘FIA International Formula 3000’. “A ripensarci fui talmente stupido! Avrei dovuto optare per la Brabham. Non mi piaceva particolarmente Fiorano come circuito. E’ veramente un tracciato corto e stretto, una costruzione su un lato e il resto del panorama non è particolarmente mozzafiato, anzi, direi surreale. La vettura, poi, era particolarmente impegnativa da guidare e il compito che mi era stato assegnato era dare indicazioni per sviluppare il loro quattro cilindri. Il progetto fu accantonato e dopo un paio di mesi non fui più impiegato”. Dumfries aveva cominciato la stagione in F3000 con la Onyx Racing, speranzoso di potere migliorare gara dopo gara pur in ristrettezze economiche. A fine stagione, però, i risultati non eclatanti non sembrarono promettergli una fulgida carriera: i soldi erano finiti. Fortunatamente per lui, Senna impose il suo volere in Lotus, sulla base del fatto che nella scuderia scarseggiavano i fondi per potere avere due vetture altamente prestanti nel corso dell’intera stagione. Mentre in Inghilterra la stampa accusò Senna di arroganza e Peter Warr di mancanza di carattere, Dumfries fu scelto tra le perplessità generali. Se questa possibilità gli fosse stata data dodici mesi prima, il clamore sarebbe stato ben diverso e in molti avrebbero steso un tappeto rosso per la promozione del ‘Conte’. “A dire la verità ero molto infastidito, perché, quantunque avessi fatto schifo in F3000 l’anno prima, credevo in me e nelle mie potenzialità. Andate a guardare le fotografie dell’epoca. Traspariva tutto il mio entusiasmo e la mia sicurezza. Fortuna, destino, potete chiamare quell’evento come vi aggrada ma quel che contava era che io ero convito di potere ben figurare, di essere abbastanza veloce. Senna è sempre stato uno di quelli che lavorava molto entro la sua cerchia, accadeva questo già ai tempi della F3. Era un tipo che amava distaccarsi dal resto della gente e ciò accadeva abbastanza spesso, rispettavo questo suo lato e, dopotutto, perfino io a volte preferisco stare solo. Aveva un carattere interessante, insolito. Anche prima di conoscerlo, pensavo fosse intelligente. Sospetto che quel suo modo di fare, cioè l’apparire solo vagamente interessato al resto che lo circondava fosse parte di una tattica, insomma, il lato da stratega della sua personalità: lo stare lontano dalle persone, il tenerle dove lui voleva che stessero ma, forse, anche la conseguenza di un carattere insicuro ... non lo so. E’ soltanto una mia personale opinione e potrei sbagliarmi del tutto. Era diretto, non usava sotterfugi e ho sempre apprezzato questo. Al tempo del nostro primo test al Paul Ricard mi disse: - “Sai, tutto questo clamore insensato e questa presenza della stampa non ha senso, per noi è solo una distrazione ulteriore. Dobbiamo pensare a fare il nostro lavoro, mostrare al meglio la nostra abilità, unicamente questo’. Durante l’anno, lì (in Lotus ndr) non ci fu propriamente uno spirito di squadra ma, d’altronde, avevano una tabella da seguire e un loro programma, noi (la squadra che mi seguiva in modo diretto ndr) sapevamo di essere relegati al ruolo secondario e facevamo il nostro compito, che, paragonato al loro era ben poca cosa”. A Dumfries toccò il compito di sviluppare la nuova e inaffidabile scatola del cambio da sei marce. Alla fine della fiera giunse due volte a punti e con l’arrivo di Honda e di Satoru Nakajima si ritrovò a piedi. Gli sforzi di rimanere in Formula Uno presero la forma di trattative con Tyrrell, le quali si risolsero in un nulla di fatto. A 1987 inoltrato giunsero le prime serie offerte dal mondo delle vetture prototipi. Iniziò a gareggiare con la Ecosse C2 a Silverstone, poi qualificò la Sauber-Mercedes a Le Mans e nella 1000 Km di Brands Hatch, nel ‘Britten Lloyd Racing’ con una Porsche 962 guidata assieme a Mauro Baldi arrivò un secondo posto. La carriera stava decollando nuovamente. Dumfries aveva tentato a lungo di mettersi in contatto con Tom Walkinshaw, ora, a parti invertite, era il compatriota a dargli la ‘caccia’: “Tom era una di quelle persone con cui potevi avere una sola possibilità e, dopo averti giudicato, se non ti riteneva all’altezza per lui non esistevi più. Dopo la gara di Brands Hatch fummo costretti a camminare assieme per un breve tratto, quel tunnel sotto il rettifilo dei box che porta alla sala stampa. A un certo punto lo sento alle mie spalle esclamare: - ‘Congratulazioni, bella mossa hai fatto oggi con questo risultato. Per la prossima stagione, fammi una chiamata se ti ritroverai senza volante’. Feci proprio quella telefonata e mi accasai per il 1988”. In realtà, Dumfries fece in tempo a debuttare già alla fine dell’anno per aiutare Raul Boesel ad agguantare il titolo. I meriti del debutto vittorioso in Belgio furono divisi fra lui, il brasiliano e Brundle. Nella sua ultima apparizione con la Sauber, al Nürburgring l’umore non era stato dei più felici: - “Mi toccai con una Gruppo C2 in quella chicane veloce alla ‘Veedol’ in prova. Il contatto fu talmente forte che l’altra vettura scomparve alla mia vista. La ragione la ravvisai in ciò: al momento in cui capitò l’incidente, il povero tizio che la guidava, di sicuro, stava ancora spingendo sull’acceleratore. Infatti, ricordo ancora adesso il suono ancora potente del suo motore ‘wheeeeee’, nonostante fosse arrivato il momento di sterzare bruscamente! Distrusse la sospensione frontale destra della mia Sauber e fui costretto a tornare ai box con la ruota appoggiata in una posa poco naturale sul parabrezza. I meccanici mi guardarono storto con un’espressione torva e con il morale sotto i tacchi, rimuginando un pensiero del tipo ‘Come ha potuto ridurre così la nostra bellissima creatura?’ Ah, beh, devo ammettere che pure il telaio era andato”. Dumfries usò, quindi, la vettura di riserva per la gara. “No, non andò così. In verità, Peter Sauber non mi fece più guidare le sue vetture da quel momento in poi!”. Un altro bel successo arrivò nella serie IMSA oltreoceano, dove Johnny fu messo al volante dal ‘Dyson Racing’ di una Porsche 962, ancora una volta per aiutare il pilota di punta della scuderia a vincere il campionato. Era Price Cobb: “Si trattava di una Porsche 962 non modificata, penso, e rammento ancora quanto fosse tremenda da condurre. Le sensazioni non erano delle migliori, veramente difficile da descrivere. In più, ero abbastanza infuriato perché mi ritrovavo a guidare questa m**** (il Conte usa un linguaggio poco elegante forse riferendosi non tanto alla vettura ma al livello del campionato o alle asperità della pista di Road America ndr) in mezzo al Wisconsin, mentre sentivo che il mio posto sarebbe dovuto essere in Formula Uno. A ogni modo, per fortuna, piovve in tempo per la gara. Io e Oscar Larrauri, là fuori, sembrammo due pazzi intenti a spazzare via l’intero parco partenti (in verità, il testo usa il verbo ‘destroy’: non saprei dire se in modo figurato, come l’ho usato, oppure nel senso di ‘andare a contatto e forzare al ritiro gli avversari’, il che potrebbe anche essere plausibile). Fu una bella sensazione, trionfai e Rob Dyson mi guardò pensando che fossi la cosa migliore che gli fosse potuta capitare dopo il pane in cassetta. Beh, almeno per cinque minuti ebbi il mio momento di gloria ...” Johnny fu richiamato da Dyson a correre a San Antonio ma commise un incidente con la vettura di Cobb verso gli ultimi giri. Ci fu un’altra occasione a Columbus: fu lo scozzese a incominciare la gara e terminò il turno portandola incolume al rifornimento di metà gara. Poi, si mise al volante di quella che Dyson stesso aveva guidato nella prima parte di gara: commise un errore e ci fu il pata-trac. Anzi, ce ne furono due, oltre a quello che coinvolse la vettura: “Lasciai il circuito prima della fine della gara, senza salutare nessuno. Pensai soltanto a prendere l’aereo e mandare af******* tutto quel carrozzone, il prima possibile. Quel modo di comportarmi avventatamente non mi aiutò, affatto, a entrare nelle grazie del buon vecchio Rob”. Allora torniamo a parlare delle cose positive, nel 1988 arrivò un momento speciale, quella vittoria a Le Mans con la Jaguar assieme a Lammers e Wallace: “Potevamo contare su un’organizzazione fantastica, dal momento che Tom Walkinshaw sapeva davvero condurre una squadra. Andy fu fantastico – la sua prima Le Mans, va detto anche questo – e Jan un leader naturale. Era dannatamente veloce e si fece carico di preparare l’assetto durante le prove, un lavoro davvero encomiabile. E’ la persona con cui legai di più in quell’ambiente. Sono contento di avere vinto quella gara assieme a lui, cementò il nostro rapporto personale”. Il resto della stagione non si dimostrò un vero successo: “Anzi, fu un vero pastrocchio. E’ risaputo che Tom non amava coloro che erano soliti fare incidenti troppo spesso e, infatti, mi diede il benservito alla fine dell’anno ...”. Messosi in luce con la prestazione di Le Mans, Dumfries si giocò le sue carte e firmò per la Toyota. Vi rimase due anni: “I giapponesi sono stati sempre attratti da Le Mans e il fatto di averla vinta mi spalancò le porte. Ai loro occhi, quella vittoria, era un incentivo a mettermi sotto contratto”. Iniziasti con un vecchio quattro cilindri, montato sulla Toyota 88C : “ Era potente, in modo sconcertante” e, poi, decisero di far debuttare la Toyota 89C-V ma mi trovaste in grande difficoltà nell’adattarvi alle stringenti regole sui consumi: “La sensazione di essere consapevoli nel potere andare veloci per cinque ore e, poi, doversi limitare per il resto della gara, era dannatamente demoralizzante (Dumfries usa un paragone poco lusinghiero dicendo, in realtà, ‘guidando come farebbe una donna anziana’ ndr). In aggiunta, i rapporti tra me e Lees non erano proprio lusinghieri. Lui era la stella del firmamento, si era già affermato in Giappone, io, però, volevo primeggiare”. Entrambi lottarono per affermarsi e diventare il pilota di punta della Toyota. Il programma Benetton di quegli anni era un altro progetto che tenne vive le sue speranze di tornare in Formula Uno. Tuttavia, la sua carriera stava raggiungendo velocemente il capolinea. Ci fu un tentativo di approdo nella CART, limitato enormemente dalle scarse possibilità di finanziamento. Gli sponsor non furono mai un punto forte di Dumfries. Il tempo di comparire a Le Mans un’ultima volta nel 1991 e poi la malattia del padre: arrivò il momento del ritiro. (....) Nel duemilatré fu tentato dalla sua vecchia conoscenza Dave Price, a ritornare in scena a Le Mans. La proposta di provare una DBA-Zytek gli fu presentata: “A essere sincero mi sono sentito sempre frustrato per il fatto di essere stato costretto al ritiro troppo presto. Accettai di buon grado di essere messo alla prova, tentare non avrebbe nuociuto. Dave si fece in quattro per convincermi e io apprezzai, davvero, il gesto. Quando mi trovai lì, sapete cosa successe? Mi capitò di pensare ‘No, non fa più per me’. Il problema di fondo era che, davvero, non mi sentivo più in grado e senza voglia. Non mi interessava più salire in macchina con quelle velocità, non vi ravvisavo più divertimento, non avrei cambiato idea neanche se fossero state le colline di Goodwood. Mi sono goduto ogni singolo secondo negli anni in cui correvo. Oggi, però, quei giorni rappresentano per me il passato”. Già, di questi tempi, a parte occuparsi della manutenzione e amministrazione della tenuta di famiglia a Mount Stuart, un’attrazione turistica tra l’altro, gestisce due aziende di proprietà e un’impresa manifatturiera tessile, la ‘Bute Fabrics’. Non dimentichiamoci, poi, dei suoi sei figli! Tutto questo – e anche il nome Johnny Bute -, ora rappresenta il futuro. ________________________________ ‘mau65’ chiedeva delle origini di Dumfries. Dal momento che l’ordine gerarchico dei titoli nobiliari scozzese è stato soppiantato con l’unione dei due Regni nella prima decade del secolo Settecento, dobbiamo rifarci a quello in auge, tuttora, in Gran Bretagna, il quale è, pressappoco, questo in ordine ascendente: ‘Baron’ (che corrisponde al nostro baronato, i cui beneficiari hanno il titolo di ‘Lord’), ‘Viscount’ (Visconte), ‘Earl’ (Conte), ‘Marquess’ (Marchese), ‘Duke’ (Duca) e, poi, i più conosciuti ‘Prince’, ‘King’ e ‘Emperor’. Le differenze terminologiche fra il nostro ordine e il loro sono dovute, ovviamente, alle diverse vicende storiche che si sono ripercosse in un diverso sostrato culturale-linguistico: colui a cui ci si rivolge con il titolo di ‘earl’, da noi sarebbe ossequiato con l’appellativo di ‘conte’, dal latino ‘comes’ (‘compagno di guerra’: chi si distingueva in battaglia per il valore militare aveva la possibilità di ricevere delle terre) . Da loro si chiama ‘earl’ in quanto, mi sono documentato un po’, deriverebbe dallo scandinavo ‘jarl’. Tale parola avrebbe lo stesso significato di ‘conte’ . Avrebbe anche un senso, dal momento che gli Anglo Sassoni derivano da popolazioni che, scese dalla Scandinavia, si stanziarono prima nello Jutland (Danimarca), Schleswig –Holstein (la Stato federale tedesco dove si trova Kiel, per intendersi) e Alta Sassonia (da cui Sassoni), poi in Frisia e da lì trasmigrarono verso le isole britanniche. Inoltre, ho avuto modo di venire a conoscenza che anche il termine ‘Holstein’ è antico sassone della tribù mezzana fra le tre di quella zona, visto che in latino venivano chiamati ‘Holcetae’. ‘Marquess’, invece, è molto simile al nostro ‘marchese’ in quanto è entrato nella nostra lingua essendo un apporto linguistico germanico: i Franchi crearono le ‘marche’, dei territori di frontiera, che, in quanto ai margini del regno in formazione dovevano essere protette con più vigore, ecco perché venivano affidate a persone verso cui il re riponeva maggiore fiducia e, quindi, i marchesi avevano più poteri dei conti. Poi, i Romani avevano già avuto la distinzione fra territori di frontiera e i territori interni (province senatorie), da Ottaviano Augusto in poi, quindi, non abbiamo fatto fatica a digerire la novità linguistica. Quindi, Dumfries, alla morte del padre, ha perso il titolo minore (earl = conte) per ereditare quello maggiore di ‘marchese’ già appartenuto al padre. In più, si fa chiamare ‘Lord’, pur essendo un appellativo proprio dei baroni, poiché in Inghilterra è consuetudine farsi chiamare così anche se ‘Conti’ o ‘Marchesi’. Ha flebili legami di sangue – sarebbe imparentato secondo la linea collaterale ascendente ma non legalmente parlando, con i monarchi Windsor, cioè con Elisabetta II d’Inghilterra. Infatti, entrambi hanno uno stipite comune in Guglielmo IV che regnò nella prima metà dell’Ottocento. Il legame è rappresentato da una donna, tale Elizabeth Hay. Elizabeth Hay, Contessa di Erroll fu quella che, oggi, in Italia chiameremo ‘figlia nata fuori dal matrimonio’ (o ‘figlia naturale’ o ‘figlia illegittima’ ndr) del re Guglielmo IV d’Inghilterra, zio della famosa regina Vittoria. Costui come si sa, morì senza lasciare in vita figli legittimi e fu costretto a lasciare il trono alla nipote, ultima esponente regnante del Casato di Hannover in Gran Bretagna. Il trono della Gran Bretagna e Irlanda (non quello di Hannover che ebbe un diverso trattamento per via della legge salica) morendo Vittoria, passò al casato ‘Sassonia-Coburgo e Gotha’ nella persona di suo figlio Edoardo VII: il nipote in linea retta discendente di terzo grado, Giorgio V (il nonno paterno di Elisabetta II), dopo la fine della prima guerra mondiale cambiò il nome al casato per ragioni di opportunità politica. Comunque, tornando a Dumfries questa ascendente di Dumfries acquisì il titolo di contessa soltanto grazie al matrimonio che la madre riuscì a farle contrarre, dal momento che la stessa madre, l’amante di Guglielmo IV, era una donna di spettacolo che non aveva origini nobili e il padre biologico non avrebbe potuto lasciarle alcun titolo, in virtù dello svantaggioso status di filiazione. Dalla primogenita di questa Elizabeth, tale Lady Ida Harriet Augusta Hay discende Dumfries. Va detto che questa Lady Ida Hay era sorella gemella di colui che poi ereditò il titolo di Conte di Erroll in quanto primogenito maschio, quindi, Johnny Dumfries non ha preso questo titolo ulteriore. Non saprei dire se questa sia la linea paterna o materna di Johnny Dumfries (o Lord Bute come vuole essere chiamato oggi). Quanto al nome ‘Stuart-Chricton’ le origini, ovviamente, vanno fatte risalire al padre di Dumfries. La linea paterna prende le mosse da un tale John Stewart vissuto nella seconda metà del Trecento, figlio illegittimo di Roberto II di Scozia della casata degli Stewart, quando questi ancora non era salito al trono della Scozia. Roberto II era il nipote di terzo grado in linea retta discendente di quel famoso Robert Bruce - divenuto, in seguito, Roberto I – che, assieme a William Wallace, lottò per l’indipendenza della Scozia alla fine del ‘200 (fatti storici ripresi, più o meno, da Mel Gibson con ‘Braveheart’). Più esattamente, era il figlio della figlia avuta dalla prima moglie. Però, dobbiamo considerare che, al tempo, erano in uso le regole di diritto germanico (fatte proprie dal diritto canonico) quanto a computo dei gradi di parentela: quindi, era il nipote di secondo grado. Comunque, questo John Stewart (o Steward secondo alcune fonti) ebbe in concessione le terre di Bute dal padre , il quale non era legato alla linea di Robert Bruce. Poi, i discendenti, attorno alla seconda metà del Cinquecento, cambiarono il loro cognome in ‘Stuart’, non si sa bene per quale ragione (forse per rivendicare di essere imparentati con Maria Stuarda?). In questo periodo, uno degli avi di Dumfries acquisì il titolo di ‘Baronet’, che nella scala gerarchica peculiare dei titoli nobiliari nella fase in cui la Scozia era indipendente, quindi anteriormente ai cosiddetti ‘Acts’ del 1707, quando vi fu la riforma, era anche definito ‘Lord of Parlament’. Equivaleva al nostro baronato e dava la possibilità di rappresentare i ‘Bute’ nel Parlamento scozzese. Poco prima della perdita dell’indipendenza, il titolo fu portato a un rango superiore, potendo fregiarsi i possessori delle terre di Bute del titolo di ‘Earl’. Alla fine del secolo XIX, per via dei molteplici possedimenti e titoli, furono innalzati ulteriormente di rango e divennero ‘Marchesi’.
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