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    NASCAR 2023

    Cominciata la stagione 2023... Truex Jr. incanta il Colosseo di LA...
  2. A mezzanotte stasera le qualifiche.
  3. leopnd

    NASCAR 2022

  4. Williams da il via libera ad Aitken per dei test con la Ed Carpenter Racing
  5. Osrevinu

    Formula 1 Aramco United States Grand Prix 2021

    until
  6. leopnd

    Bobby Unser

    Sempre brutto aprire un 3D cosi', ma Bobby merita... RIP Campione. Proveniente dalla famosa famiglia di piloti automobilistici Robert William "Bobby" Unser, è il fratello di Al e Jerry, padre di Robby, e zio di Al Jr e Johnny. Corse 19 volte la 500 Miglia di Indianapolis, vincendola in tre occasioni 1968, 1975, 1981 e partendo due volte dalla pole-position 1972, 1981. È considerato inoltre il re della Pikes Peak International Hillclimb, avendola vinta 13 volte. Nel 1968 prese parte al Gran Premio degli Stati Uniti in Formula 1 con una BRM.
  7. leopnd

    Mark Donohue

    Oggi sono 45 anni dalla scomparsa di Mark Donohue, vogliamo ricordarlo con un bel racconto di Giorgio Terruzzi di qualche anno fa... Mi è venuto in mente così: pa-pam. Una Ferrari 512M, direi. Daytona, scommetterei. Anno? 1971. Ventiquattro ore di gara. Campionato Mondiale Marche, con quelle carrozzerie da vento bucato, velocità e fari nella notte che volavano in pista e nella fantasia di noi, ragazzini di allora. La Ferrari, quella là, era blu cobalto con fregi gialli, i colori dello sponsor, Sunoco. Ricordo di aver atteso notiziari radiofonici nella notte e poi all’alba. Perché quella macchina nata rossa, eccezionalmente dipinta di blu e giallo, mi piaceva da matti. Così come il pilota che la guidava: Mark Donohue. Una faccia da pacioccone molto yankee, la faccia di un ragazzo che portava nelle nostre stanze le tracce ancora rare e curiose di quell’America là. Camicie con i nomi ricamati a svolazzo sul petto, giubbotto con le maniche di colore diverso dal resto, l’adesivo “STP” da appiccicare ovunque, elettrodomestici cromati, bowling e automobili sterminate. Mark Donohue viaggerebbe verso il suo compleanno numero 80 nel 2017. Nato a Haddon, New Jersey, il 18 marzo 1937. Morto all’ospedale di Graz, in Austria il 19 agosto 1975, dopo un incidente in prova, alla vigilia di quel Gran Premio. Incidente che aveva causato la morte anche di un commissario di pista, colpito da alcuni frammenti della vettura. Guidava una March del team Penske, la squadra del suo amico Roger, Roger Penske appunto, con la quale aveva viaggiato forte e vinto un po’ dappertutto, in America soprattutto, compresa una 500 Miglia di Indianapolis, anno 1972, per non parlare delle gare Can Am, dominate in lungo e in largo. Di questo pilota eclettico, laureato in ingegneria meccanica, straordinariamente abile nella messa a punto, poco sapemmo e pochissimo è rimasto. Così mi pare bello e persino giusto ricordarlo ora qui. La sua carriera in F.1 fu breve, tre anni scarsi (1971, 1974 e 1975), con un terzo posto al debutto in Canada sopra una Penske che utilizzava telaio McLaren, una quantità di piazzamenti non proprio eccellenti, una qualità sempre riconosciuta e apprezzata...
  8. leopnd

    Laguna Seca

    Non ci credo che non avevamo il thread per Laguna Seca... Il WeatherTech Raceway Laguna Seca (in precedenza conosciuto come Mazda Raceway Laguna Seca e Laguna Seca Raceway) è un circuito per automobilismo e motociclismo sponsorizzato da WeatherTech. Si trova a 250 m sul livello del mare a circa 12 km da Monterey (CA, Stati Uniti). Ha una lunghezza pari a 3610 metri ed è stato costruito nel 1957. Adagiato sul fianco di una collinetta, il circuito si snoda partendo dal fondo della valle per poi salire bruscamente verso la cima a partire dalla curva 5 fino alla curva 8/8a, dove il circuito scollina per poi ridiscendere bruscamente verso il traguardo. Nel 1988 il circuito ha subito l'unica modifica importante al tracciato nel corso degli anni, con la realizzazione della sezione che va dalla curva 2 alla curva 5, necessaria a raggiungere la lunghezza minima richiesta dalla FIM. Di recente diverse sezioni sono state adattate alle nuove necessità in termini di sicurezza. La configurazione della pista è particolare e piuttosto diversa dalle altre piste del resto del mondo. La sezione più famosa è senz'altro quella di cui fa parte il Cavatappi (in inglese Corkscrew), una chicane spettacolare posta in cima alla collina, che si affronta a 80 km/h e che si snoda su di un dosso molto ripido. Un altro punto del circuito da tenere in considerazione è il rettilineo del traguardo, molto corto e con due lievi cambi di direzione dove viene raggiunta la velocità massima, che per le moto delle categorie Superbike e MotoGP è di circa 270 km/h, mentre per le auto di classe LMP1 si sfiorano i 300 km/h. I piloti testimoniano che si tratta di un circuito in cui i sorpassi non sono molto semplici, anche perché vi sono pochi punti adatti per tentare un attacco. Su richiesta degli stessi e degli organizzatori della MotoGP, l'impianto ha subito ingenti lavori nell'inverno tra il 2005 e il 2006 che non hanno interessato il disegno del tracciato (a parte l'intervento al dosso che precede la curva Cavatappi), ma che hanno ampliato in più punti le vie di fuga. Negli anni dal 1988 al 1994 e poi (ma solo la MotoGP) dal 2005 al 2013 ha ospitato il Gran Premio motociclistico degli USA. Sul circuito, attualmente, si svolgono prevalentemente gare riservate alle auto storiche, all'IndyCar e alle serie sotto l'egida dell'IMSA. www.weathertechraceway.com
  9. leopnd

    Willy T. Ribbs

    Prima che Lewis Hamilton diventasse campione del mondo per la prima volta, nel 2008, i piloti con un colore della pelle diverso dal bianco si contavano sulle dita di una mano. Ma uno di loro, in particolare, ha vissuto una storia così travagliata e piena di significati, Willy T. Ribbs, il primo pilota afroamericano a qualificarsi per la 500 Miglia di Indianapolis. William Theodore Ribbs Jr. nacque il 3 gennaio 1955 a San Jose in California. Suo padre era un pilota amatoriale, amico con il pilota Indycar Joe Leonard. Famiglia medio-borghese, Ribbs vinse le resistenze familiari per andare a correre all’estero, e nel 1977 vinse 6 gare del campionato britannico di Formula Ford, attirando l’interesse del paddock. Finito il sogno europeo per mancanza di budget, fece una competitiva comparsata in Formula Atlantic e poi consacrò il suo talento nel campionato Trans-Am, dove vinse 17 gare laureandosi anche Rookie of The Year 1983. In seguito prese parte anche a 46 gare di Formula Cart/Indycar e ebbe qualche deludente esperienza anche nella Nascar. Il suo obiettivo era di prendere parte alla 500 Miglia di Indianapolis, e ci riuscì due volte con un 21° posto come miglior risultato nel 1993.
  10. leopnd

    John Andretti

    E’ morto John Andretti, nipote del pilota Mario. Aveva solo 56 anni e nelle scorse ore ha perso la sua personale battaglia contro il cancro. Era la primavera 2017 quando i dottori diagnosticarono ad Andretti il tumore al colon. Una notizia terribile ma John non si era abbattuto ed aveva iniziato a lottare come un leone fino alla buona notizia del 2018. Un anno dopo la diagnosi, infatti, lo stesso uscì allo scoperto dopo aver concluso il ciclo di chemioterapie, spiegando che il cancro si era fermato, e che quel terribile nemico aveva perso la sua battaglia. Nel frattempo lo stesso John aveva deciso di iniziare una campagna di sensibilizzazione attraverso la sua esperienza, #CheckIt4Andretti: “Non avrei mai parlato della mia situazione – raccontò in un’intervista di poco tempo fa – se non avessi pensato che questa cosa potesse essere utile per aiutare qualcuno. Sono una persona riservata”. Peccato però che il cancro, nel 2018, aveva perso solo una battaglia, e si stava riorganizzando per la guerra, che si è appunto conclusa, con la sua triste vittoria, in queste ore. John Andretti non ce l’ha fatta, come comunicato dalla Andretti Autosport. Così come la maggior parte della sua famiglia, aveva dedicato la sua vita alle corse automobilistiche, anche se senza ottenere mai risultati esagerati. Il punto più alto è stato senza dubbio la vittoria con le Nascar a Daytona, pista storica, nel 1997. Con le stock car ha corso fino al 2010, ottenendo in totale due vittorie (l’altra nel 1999 a Martinsville) e disputando ben 393 gare. 37 volte si è piazzato nelle prime dieci posizioni. John Andretti ha corso anche tre stagioni nelle Indy Car, altra storica serie motoristica d’oltre oceano, vincendo una volta, in Australia nel 1991. Ha corso per ben 12 volte la 500 miglia di Indianapolis e sempre nel 1991 ha ottenuto il suo miglior piazzamento, il quinto posto.
  11. leopnd

    Formula 1 - Austin

    until
    Formula 1 Emirates United States Grand Prix www.circuitoftheamericas.com
  12. Orari e info nell'event...
  13. leopnd

    IMSA - Detroit

    until
    Chevrolet Detroit Grand Prix Presented By Lear www.imsa.com
  14. leopnd

    Kyle Kaiser

    Dopo aver costruito un bel curriculum nel karting a partire dai 7 anni, il californiano Kyle Kaiser (05.03.1996.) è passato alla formula con Skip Barber nel 2009, vincendo il titolo di Rookie of the Year della Western Region e classificandosi 2° assoluto nel campionato 2009-10. Dopo il 3° posto nel Campionato Skip Barber Western Region 2010/11, Kaiser è entrato a far parte della World Speed Motorsports e ha conquistato il campionato Pro Mazda nella Formula Car Challenge 2012, vincendo 8 gare e terminando sul podio in 11 delle 14 gare. Ha fatto il suo debutto professionale a ruote scoperte nel settembre 2012 in Star Mazda (ora Indy Pro 2000 Series) a Laguna Seca. Kaiser ha chiuso al settimo posto nel Pro Mazda Championship 2013 e sesto nel 2014. Si è trasferito dalla Indy Lights nel 2015 al fianco del compagno di squadra Spencer Pigot. Nel 2016, Kaiser ha conquistato il terzo posto nella classifica finale del campionato, con vittorie a Phoenix e Laguna Seca e otto podi totali. Kaiser ha vinto il titolo Indy Lights del 2017 - e la borsa di studio Mazda che lo ha aiutato a laurearsi nella serie IndyCar NTT - con tre vittorie, tre pole position e otto podi in 16 gare.
  15. leopnd

    Al Unser Jr.

    Alfred Unser Jr. (Albuquerque, 19 aprile 1962) è un pilota automobilistico statunitense. Nel 1982 ha vinto il Campionato CanAm al volante di una Frissbee GR3-Chevrolet del Team Galles, mentre nel 1986 e nel 1988, ha vinto la International Race of Champions pilotando in entrambe le occasioni una Chevrolet Camaro. Ha gareggiato nella CART World Series dal 1982 al 1999, conquistando 31 vittorie, 7 pole position e vincendo il titolo nel 1990 con il Team Galles e nel 1994 con il Marlboro Team Penske. Con gli stessi team ha vinto due volte anche la 500 Miglia di Indianapolis (nel 1992 con il team Galles, nel 1994 con il team Penske), diventando il terzo Unser a vincere la 500 miglia, dopo suo zio Bobby (1968, 1975, 1981) e suo padre Al Sr. (1970, 1971, 1978, 1987). Tra l'altro la 500 miglia di Indianapolis vinta nel 1992 lo vide trionfare con 43 millesimi di vantaggio su Scott Goodyear, in quello che è tuttora il distacco più risicato della storia della competizione. Dal 2000 al 2003, ha preso parte alle intere stagioni della Indy Racing League, con ottimi risultati e 3 vittorie all'attivo. Negli anni seguenti, fino al 2007, ha corso solo alcune gare del campionato, tra cui l'immancabile 500 miglia di Indianapolis, non ottenendo però risultati di rilievo...
  16. leopnd

    Santino Ferrucci

    Santino Ferrucci è un pilota automobilistico statunitense. Nato a Woodbury il 31 maggio 1998, nello stato del Connecticut, Ferrucci inizia la sua carriera sui kart nel 2005. Nel 2009 ottiene il primo posto nella Florida Winter Tour - Comer Cadet e nel 2010 vince il Rotax Max Challenge Northeast Regional Series, categoria Mini Max. Ferrucci debutta nelle monoposto nel 2012-13, gareggiando nel campionato SB Formula 2000 Winter series e nella Formula 2000, terminando al quinto posto in classifica generale. Nella stagione 2014 fa il suo debutto nella F3 europea con il team EuroInternational, piazzandosi al diciannovesimo posto in campionato. Partecipa anche alla F3 tedesca e alla F3 britannica, ottenendo due vittorie nella serie inglese. Nella successiva stagione 2015 prosegue nella categoria, passando al team Mücke Motorsport. Ottiene un podio nella gara 2 di Spa e conclude il campionato in undicesima posizione. Nella stessa stagione compete anche nella Formula Toyota, conquistando una vittoria e ottenendo il terzo posto in campionato. Nel 2016 Ferucci partecipa all'intera stagione di GP3 Series con il team DAMS. Nella sua prima stagione nella categoria ottiene un podio nella gara sprint di Spa e si classifica al dodicesimo posto in classifica generale. Nella stagione successiva prosegue nella categoria, rinnovando il contratto con la DAMS. Partecipa ai primi 3 round ottenendo 3 punti. A partire dalla gara dell'Hungaroring sale di categoria approdando in Formula 2. Nel 2017 Ferrucci partecipa agli ultimi 5 appuntamenti della stagione di Formula 2 con il team Trident. Ottiene 2 piazzamenti a punti (due volte nono) e si attesta al 22º posto in classifica generale. Nella stagione 2018 viene confermato dal team per la stagione completa. Dopo aver ottenuto tre piazzamenti a punti nella prima parte della stagione, durante la Sprint Race della gara di Silverstone ottiene molteplici penalità causate da un'accesa battaglia con il compagno di squadra Maini. Oltre ad accompagnarlo fuori pista durante la gara, Ferrucci sperona Maini nel giro di rientro ai box dopo la gara, e successivamente si rifiuta di presentarsi davanti ai commissari. Questo atteggiamento lo porta ad una squalifica dalla gara stessa e un'esclusione dai due successivi appuntamenti dell'Hungaroring e di Spa-Francorchamps. Inoltre la squadra Trident prende le distanze dal comportamento del pilota statunitense, con messaggi di scuse all'altro pilota Maini. Il 18 Luglio 2018, a seguito degli avvenimenti occorsi a Silverstone, la scuderia Trident Racing annuncia il licenziamento del giovane pilota, anche a causa di gravi inadempienze economiche. Il 10 marzo 2016 viene annunciato come collaudatore del team Haas di Formula 1, e partecipa ai test di Silverstone a luglio, soddisfacendo i vertici della scuderia. Viene confermato come pilota di sviluppo del team anche per la stagione 2017. Prende parte ai test dell'Hungaroring, partecipando ad entrambi i giorni di test e facendo segnare, rispettivamente, il decimo e il dodicesimo tempo. Il 17 Agosto 2018 viene confermata la sua partecipazione agli ultimi due round della serie Indycar. L'americano si e' aggiunto a Sébastien Bourdais e Pietro Fittipaldi nel team Dale Coyne Racing. Ferrucci aveva già partecipato con lo stesso team alla tappa di Detroit in sostituzione di Fittipaldi... Nel 2019. e' pilota stabile della Dale Coyne Racing.
  17. leopnd

    IMSA - Long Beach

    BUBBA Burger Sports Car Grand Prix At Long Beach Domenica, 14.04.2019. 02:05h https://sportscarchampionship.imsa.com
  18. leopnd

    Colton Herta

    Figlio del campione Indy Lights 1993. nonché due volte vincitore della 500 miglia di Indianapolis, Bryan Herta, Colton Herta ha iniziato a correre subito dopo aver imparato a camminare. Passando dalla dirt bike al kart e alle open wheel, tra cui la Pacific F1600 series (che ha vinto nel 2013), Herta è entrato a far parte della Mazda Road to Indy Presented by Cooper Tires nel 2014. Non ha corso il al apertura del campionato Cooper Tires USF2000 Powered by Mazda a causa dell'età minima, ma poi ha centrato sei piazzamenti nella top 10 nel suo anno da principiante. Alla fine della stagione, ha preso la decisione di trasferirsi in Inghilterra per realizzare il sogno di correre in Europa. Herta è arrivato terzo nel campionato britannico F4 nel 2015. e terzo nel campionato Euroformula Open F3 nel 2016. Nel 2017 è tornato negli Stati Uniti al volante di una nuova Indy Lights, con l'Andretti-Steinbrenner Racing, uno sforzo congiunto tra Andretti Autosport e George Michael Steinbrenner IV, nipote del proprietario di lunga data degli Yankees, George Steinbrenner. Herta è arrivato terzo nella sua stagione da rookie, con sette pole position e due vittorie conquistate. Nel 2018, ha combattuto contro il compagno di squadra Patricio O'Ward, finendo secondo in campionato con tre pole, quattro vittorie e 13 podi in 17 gare... Nel 2019. passa al'Indycar, e ieri, 24. marzo 2019. scrive la storia diventando il piu' giovane vincitore di sempre con il successo ad Austin...
  19. leopnd

    Peter Revson

    Affascinante, educato e dotato di grande intelligenza, nonchè erede designato della famiglia prioritaria del gruppo Revlon (leader mondiale nella cosmesi), Peter Jeffrey Revson non esitò un attimo a rinunciare a tutto pur di soddisfare il proprio sogno di correre in auto: americano di New York, debuttò a 16 anni con una Morgan mettendosi subito in luce nelle numerose gare della Costa Est. Usando parte del suo capitale personale (12000 dollari) si trasferì in Europa e partecipò al campionato di formula Junior con una Holbay motorizzata prima Cooper e poi Cosworth, in quel periodo tra l’altro risiedeva a Londra in un piccolo appartamento in condivisione con due altri grandissimi talenti della sua generazione, ovvero Chris Amon e Mike Hailwood. Il debutto in Formula 1 avvenne nel 1964 alla guida della Lotus ma i risultati non arrivarono, contemporaneamente corse e vinse in Formula 3 a Montecarlo ma, una volta tornato in Patria, gli venne intimato un alt dal padre che lo portò a scegliere tra la gestione dell’attività di famiglia o continuare a correre rinunciando del tutto alla cospicua eredità. Per questo la sua carriera si interruppe e ripartì poi da zero. Ancora lontano dalla Formula 1, ritornò al volante vincendo a Sebring e Spa nelle gare di durata con una Ford Gt40 e iniziò a brillare in Can-Am, anche se la morte del fratello, avvenuta durante una gara di Formula 3 in Danimarca, lo spinse a pensare definitivamente al ritiro, ma la passione vinse ancora una volta. Nel corso degli anni trovò in Steve McQueen un compagno d’eccezione con cui condivise diverse gare in Porsche; le prestazioni di Revson nel frattempo di facevano sempre più consistenti, nella 500 Miglia di Indianapolis del 1969 fu protagonista di un capolavoro arrivando quinto assoluto con una vecchia Brabham, due anni più tardi sempre a Indianapolis centrò pole position e secondo posto davanti alla famiglia, ricomparsa ai box dopo tre anni di silenzio. Finalmente rientrò in Formula 1 disputando con la Tyrrell il gran premio degli Stati Uniti, poi firmò un biennale con la McLaren, scuderia con cui la sua stella brillò definitivamente: nel 1972 fu terzo a Kyalami, Brands Hatch e Zeltweg e secondo a Mosport, in Canada, dietro a Jackie Stewart e dopo aver firmato la pole-position, chiudendo il campionato al quinto posto, posizione confermata l’anno seguente quando, oltre a due podi a Kyalami e Monza, vinse due gran premi a Silverstone battendo Peterson e proprio a Mosport davanti a Fittipaldi; contemporaneamente ricucì del tutto i rapporti con la famiglia, nonostante lo sponsor che campeggiava sulla sua McLaren, ovvero la Yardley, principale concorrente della Revlon! All’apice della carriera fece una scelta controcorrente, scegliendo l’emergente Shadow nonostante il crescente interesse di alcuni team di punti, tra cui la Ferrari; la Dn3 nera di Revson era in costante crescita e il futuro appariva roseo, ma a Kyalami un dado in titanio della sospensione anteriore sinistra cedette alla curva Barbecue e l’impatto fu fatale. Revson morì a 34 anni, riposa accanto al fratello Douglas all’interno del Ferncliff Cemetary nello stato di New York. Tratto da Cavalieri del rischio
  20. leopnd

    Kyle Busch

    Kyle Busch, una carriera leggendaria ancora tutta da scrivere Vorrei iniziare questo omaggio a Kyle Busch con una domanda (se volete retorica) che mi sono fatto pensando alla sua carriera: quando uno sportivo diventa una leggenda? Quando vince a ripetizione? O quando porta a casa una serie di campionati? Quando continua a trionfare nonostante l’età che avanza? Oppure quando conquista successi in diverse ere della categoria? Quando raggiunge traguardi mai toccati da nessuno? Sicuramente è una combinazione di tutte queste cose e non lo si diventa da un giorno all'altro. Io invece sono una persona più pratica che filosofica e quindi ho bisogno di dati e statistiche, non di riflessioni. E dunque vi espongo la mia – discutibile – proposta: uno sportivo nell'era di Internet diventa una leggenda quando su Wikipedia la lista completa delle sue vittorie è una voce separata da quella personale. Lo so, è una interpretazione puramente basata sui numeri e su parametri di formalità estetica di una enciclopedia online, ma è pur sempre un dato notevole, riservato a ben pochi sportivi. E allora posso dire che Kyle Busch è “diventato” una leggenda dello sport il 18 gennaio del 2017. E non passa settimana che questa voce venga aggiornata. Dopo questa dissertazione, torniamo al vero omaggio a questo pilota che lo scorso weekend ha raggiunto la quota incredibile di 200 vittorie in Nascar. Lo sappiamo bene, non si possono fare confronti con le 200 vittorie di Richard Petty e nemmeno lo stesso Kyle vuole che siano fatti. Sarebbe come confrontare le mele con le pere. Possibilità diverse, categorie diverse, regolamenti diversi, tutto è cambiato dal 1984, anno dell’ultima vittoria di Petty, al 2004, quando ci fu il primo successo di Busch. Richard Petty ha conquistato 200 vittorie in Cup Series e questo basterebbe per chiudere i conti. Ma anche lui ha i suoi asterischi. Ad esempio, ha vinto anche una gara nelle Convertible, una categoria che allora (alla fine degli anni '50) era considerata alla stregua della Xfinity o dei Truck, ma non viene conteggiata nelle 200. Petty poi ha corso quasi 15 anni nella prima era della Nascar, quella ad esempio in cui il calendario del 1964 prevedeva 62 gare (e Richard le corse in pratica tutte vincendone “solo” 9). E’ l’era pre-Winston Cup (iniziata nel 1972), l’era delle 27 vittorie in 48 gare disputate nel 1967. Periodi che – come si può capire – non si possono comparare. Quando Kyle Busch nasce a Las Vegas il 2 maggio 1985, Petty ha già conquistato la 200esima e ultima vittoria l’anno precedente, il 4 luglio 1984 a Daytona, in una giornata storica cominciata con Ronald Reagan che dall'Air Force One in viaggio verso la Florida dice il classico “Gentleman, start your engines!” e poi, una volta atterrato, va in tribuna stampa, commenta una fase della gara alla radio e poi alla fine si fa ovviamente una foto col più vincente di tutti i tempi. La carriera di “The King” durerà ancora fino al 1992 ma in quel 1985 ha già 47 anni. Quel 2 maggio è un giovedì, la domenica precedente Petty è arrivato settimo a Martinsville, la domenica dopo si ritirerà a Talladega per la rottura di una valvola e sicuramente non lo sa che dall'altra parte dell’America è nato uno dei suoi eredi. La carriera di Busch inizia in una delle classiche downtown americane, quelle con le casette indipendenti e le stradine chiuse con pochissimo traffico. E' qui, in Duneville Street, che papà Tom, ex pilota sugli short track, costruisce due kart per i suoi due figli, Kurt (di sette anni più grande) e Kyle. Da qui il passo verso il Bullring, lo storico ovale sterrato di Las Vegas, è breve. Il primo ad arrivarci è ovviamente Kurt, ma il fratellino ad appena 10 anni lo segue e ne diventa il crew chief. Poi, a 13 anni, scende anche lui in pista e le vittorie fra Legends e Late Model arrivano numerose fra il 1998 e il 2001. Ma al suo fianco non c'è più il fratellone, dato che nel 2000 è stato scelto da Jack Roush per la Truck Series (arriverà secondo in campionato) e a fine stagione debutterà in Cup Series. Kyle Busch ha 16 anni quando - evidentemente anche su consiglio di Kurt - viene scelto anch'egli da Roush per sostituire a metà stagione sulla vettura #99 il facilmente dimenticato Nathan Haseleu (che a sua volta aveva preso il posto di Kurt passato definitivamente in Cup Series). Il debutto ufficiale arriva il 3 agosto 2001 (a soli 16 anni e 3 mesi di età) all'Indianapolis Raceway Park. Qui Kyle si qualifica "solo" 23°, ma poi in gara risale fino al nono posto finale. E così arriva subito la prima (di 642) top10 in Nascar. Il suo nome è già sulla bocca di tutti. Due settimane dopo - all'ora demolito Chicago Motor Speedway - parte quinto ed è per la prima volta in testa ad una gara al giro 147, quando ne mancano soltanto 28 alla fine. Poi arriva una caution e alla ripartenza ai -12 rimane senza carburante, spegnendo i suoi sogni di vittoria. Kyle capisce che può vincere e inizia a spingere, ma arrivano ovviamente anche i guai di gioventù: a Richmond va in testacoda (22°), a South Boston perde una gomma (33°), in Texas va a muro (25°), infine a Las Vegas arriva un altro nono posto dopo essere partito terzo. L'ultima gara in programma per Kyle in questa stagione di debutto è a Fontana. E nelle libere - al debutto su un ovale da due miglia - è in testa. Poi però arrivano i responsabili della Nascar e gli dicono che non potrà gareggiare. Il problema è che la corsa dei Truck - un po' come avviene ancora oggi in Texas - si svolge in combinato con la gara della CART (vinta poi da Cristiano Da Matta) e questa è sponsorizzata dalla Marlboro. E secondo il "Tobacco Master Settlement Agreement" del 1998 un pilota minorenne non può partecipare ad un evento sponsorizzato da una marca di sigarette. E' una interpretazione particolare della legge (dato che la gara dei Truck non è sponsorizzata direttamente dalla Marlboro), ma Kyle non può fare altro che togliersi il casco e tornare a casa. La sua stagione da rookie termina così, bruscamente. Archiviato questo caso si può pensare al 2002, vero? No, purtroppo per Kyle no. Sei settimane più tardi la Nascar impone che tutti i partecipanti alle sue competizioni abbiano almeno 18 anni, dato che - bisogna ricordarlo - la Cup Series è sponsorizzata dalla Winston e quindi il problema si ripropone. Dunque cosa si fa? Si passa alla ASA (ottavo in campionato), ma soprattutto viene scelto come dal Team Hendrick per il suo junior team. Nel 2003, in attesa che arrivi maggio, disputa due gare nella ARCA Series (due vittorie), poi il 24 maggio arriva il "secondo debutto" a Charlotte, stavolta in Xfinity (allora Busch) Series sulla vettura #87 del NEMCO Motorsports. In qualifica è quinto, poco dopo metà gara è in testa e nel finale la caution provocata da Greg Biffle gli impedisce di attaccare Matt Kenseth; arriva "solo" un secondo posto, bissato poi a Darlington a fine estate. Dopo due anni di ritardo, il 2004 è dunque la prima stagione completa in Nascar e il sedile è quello della vettura #5 del team Hendrick in Xfinity Series. Dopo qualche corsa di ambientamento, il 14 maggio 2004 a Richmond parte dalla pole, domina guidando per 236 giri su 250 e vince la prima delle sue 200 gare in Nascar. E a 19 anni e 12 giorni manca il record di vincitore più giovane della categoria (Casey Atwood, 1999) per un paio di mesi. Ma non gli sfugge il record - eguagliato, 5 - di maggior numero di vittorie per un rookie, dato che verrà battuto solo nel 2018 da un suo protetto, Christopher Bell. Potrebbe anche laurearsi campione, ma una estate terribile (in sette gare ottiene una vittoria e poi zero top10) lo penalizza e il titolo va al suo attuale compagno di squadra al JGR Martin Truex Jr. Ad ottobre Terry Labonte, a 48 anni e dopo i titoli del 1984 e 1996, annuncia il ritiro dall'attività a tempo pieno e quindi il suo erede sulla vettura #5 per il 2005 non può che essere Kyle Busch. Così, dopo il debutto saltato a Homestead nel 2003 e le 9 gare non esaltanti del 2004 (tre DNQ e zero top20), arriva il turno per dimostrare tutto il suo talento. L'apice della stagione lo raggiunge a Fontana, due volte: alla seconda gara stagionale, a soli 19 anni, 9 mesi e 25 giorni diventa il più giovane poleman della storia della Cup Series e a settembre ne diventa a 20 anni, 4 mesi e 2 giorni il più giovane vincitore di una gara; curiosamente entrambi i record verranno battuti fra 2009 e 2010 da Joey Logano, quello della pole per appena due giorni. Sono solo i primi record ottenuti dal pilota di Las Vegas. Il 2005 è anche l'inizio della prolifica collaborazione con il team di Billy Ballew nei Truck: alla prima gara insieme a Charlotte, Kyle vince subito. Ha 20 anni e 18 giorni e anche qui è il più giovane della storia, ma questo record, a differenza di quello della Cup Series, non sarà sorpassato di soli due giorni ma verrà abbattuto prima da Ryan Blaney, poi da Chase Elliott, Erik Jones e infine da Cole Custer che ora detiene il primato ad appena 16 anni, 7 mesi e 28 giorni, perché nel frattempo la "regola Kyle Busch" - introdotta nel 2001 a causa della Winston - non è più in vigore e il limite minimo d'età per gareggiare nelle categorie minori è sceso a 16 anni. I successivi due anni sono buoni, ma non eccezionali, sicuramente non all'altezza delle aspettative. Dopo le due vittorie (Fontana e Phoenix) dell'anno da rookie e l'unica del 2006 (New Hampshire; sarà 10° in campionato), il 2007 è l'anno cruciale della sua carriera: vince subito a Bristol - è il debutto della "Car of Tomorrow" e nonostante il risultato Kyle, che non ha peli sulla lingua, dice chiaramente di non amarla - poi si susseguono buoni risultati ma zero successi e i rapporti col team cominciano a degenerare. I primi segnali arrivano ad aprile, quando in Texas al giro 253 tampona Dale Jr. nella nuvola creata dal testacoda di Stewart. Kyle porta la vettura nel garage, pensa che sia la fine della sua gara e lascia il circuito senza dire nulla a nessuno. Peccato per lui che i meccanici riescono a riparare la vettura, ma gli manca il pilota. E chi trovano pronto nel garage? Proprio Dale Jr.! Così il pilota del DEI sale a bordo di una vettura del Team Hendrick. E' solo la scintilla: un mese dopo Jr. ufficializza la rottura - già nell'aria - col team fondato da suo padre e ora controllato dalla matrigna. Inizia la caccia al pezzo pregiato del mercato (in tutti i sensi, visto il giro economico attorno a Jr.) e parte l'effetto valanga: a maggio alla All-Star Race Kyle si scontra con il fratello Kurt e ci vuole solo l'intervento della nonna alla Festa del Ringraziamento per farli riconciliare e il 13 giugno Dale annuncia il suo approdo al team Hendrick. Chi se ne andrà dunque? Gordon e Johnson sicuramente no, dunque sarà uno fra Casey Mears e Kyle Busch, ma tutti sanno già chi; la conferma arriverà dallo stesso Busch due giorni dopo. Ad agosto firma con il Joe Gibbs Racing per sostituire JJ Yeley e può iniziare la fase attuale della sua carriera. Si apre così una nuova pagina per Busch, e che pagina: con le nuove Toyota del JGR ottiene subito otto vittorie, tra cui quella di Atlanta, il primo successo del costruttore giapponese in Cup Series, e quelle di Talladega in primavera e Daytona in estate, a tutt'oggi gli unici suoi successi su uno superspeedway. Non mancano le polemiche: nella prima gara di Richmond spedisce a muro ovviamente Dale Jr. (che nella sua mente gli ha rubato il posto), poi Jr. si vendicherà su Kyle nella seconda gara in Virginia. Nasce così una piccola faida ricomposta soltanto l'anno scorso. L'ottava vittoria arriva al Glen ad agosto e qui è in testa alla generale con 242 punti di vantaggio su Edwards. Tutto sembra in discesa verso il titolo malgrado il reset della Chase. E invece da lì in poi implode e chiuderà solo decimo. Poco male, si consola con 10 vittorie in Xfinity Series (sesto in campionato nonostante quattro gare saltate) e tre nei Truck per un totale di 21. E questo sesto posto in campionato gli impone di presenziare al banchetto finale e così salta un'occasione diventata poi unica: poter guidare la Toyota di F1. Il 2009 è finalmente il primo anno di gloria per Kyle Busch: sette vittorie nel consueto part-time nei Truck, "solo" quattro in Cup (fra cui la 50esima in carriera a Richmond), ma in questa stagione decide di dedicarsi completamente alla Xfinity Series per conquistare il titolo. La sfida è con il parigrado Carl Edwards e il giovane Keselowski (che diventerà in fretta il suo nemico #1). E' il periodo dei cosiddetti "Buschwhacker", non dal cognome di Kyle, ma dall'allora sponsor del campionato Busch. I big della Cup Series continuavano a voler correre nella seconda categoria per tutta la stagione, offuscando i giovani talenti grazie alle vetture (e gli aerei che permettono loro di volare per l'America nello stesso weekend) dei team più ricchi. Una tendenza che - oltre ai suoi comportamenti in pista - non lo ha reso molto simpatico ai tifosi dato che è stato lui uno dei principali vincitori di questa fase. Ma a Kyle piace correre e se c'è questa chance allora la sfrutta. A fine stagione i successi sono nove e il primo titolo Nascar è suo. Conseguito questo obiettivo, Kyle cambia strada. E la nuova sfida si chiama Kyle Busch Motorsports, un suo team per la Truck Series, per gareggiarci lui e per farci correre i nuovi giovani talenti della Toyota. E i Truck acquistati dal team Roush - quello che lo fece debuttare ma che adesso ha chiuso - e poi sviluppati da lui vanno molto veloce. Il 2010 è l'anno più vincente della carriera di Busch: tre successi in Cup Series, 13 (!) in Xfinity e otto nei Truck per un totale di 24. Inoltre a Bristol, nella prestigiosa tripla gara notturna di fine agosto, compie un'impresa mai ottenuta prima andando a vincere nello stesso weekend tutte e tre le gare. Ma a questo punto la Nascar si stufa dei Buschwhacker e impone ai piloti di poter ottenere punti solo in un campionato e non più dovunque corressero. E' solo il primo passo verso le regole attuali. E Kyle entra in una fase buia. Forse privato delle libertà di prima, non è più così sereno. In Cup arrivano le consuete quattro vittorie, in Xfinity in altre otto (di cui quella in New Hampshire è il successo n°100 e quella di Bristol gli permette di battere il record nella categoria di Mark Martin) e nei Truck sei, ma l'ultima apparizione stagionale rappresenterà il punto più basso della sua carriera. Texas, 4 novembre. La stagione dei Truck sta volgendo al termine e in lizza per il titolo ci sono ancora almeno cinque piloti. Austin Dillon ha una manciata di punti di vantaggio su James Buescher, Ron Hornaday Jr. e Johnny Sauter. Kyle Busch non è fra di essi - appunto - per le regole introdotte quell'anno. E' un battitore libero che punta solo alla vittoria parziale, ma quel giorno diventa troppo libero. Dopo appena 14 giri, durante un doppiaggio, Hornaday perde la linea e lui e Busch si appoggiano al muro. Sarebbe tutto a posto se non fosse che pochi istanti dopo, appena chiamata la caution, Busch decide di vendicarsi spedendo a muro Hornaday, il quale quindi perde una grossa chance di vincere il quinto titolo in carriera. E' una manovra oltraggiosa, tant'è che Kyle viene squalificato per tutto il weekend, saltando così anche le gare di Xfinity e Cup Series, fatto per cui perde anche lui un - seppur improbabile, ma ancora matematicamente possibile - campionato. Ai guai del 2011 possiamo aggiungere anche la multa presa al volante della sua Lexus LFA quando viaggiava a 206 km/h (!) quando il limite era di 72, ma qui trascendiamo nella vita fuori dalla pista. Può essere il 2012 peggiore del 2011? Sì. Disputa 36 gare in Cup Series, 22 in Xfinity con il suo KBM e non con il JGR e tre nei Truck da cui evidentemente si prende una pausa di riflessione per un totale di 61. E porta a casa solo un trofeo con la vittoria di Richmond in Cup Series, successo che non gli basta per qualificarsi alla Chase. Per fortuna Kyle è in grado di reagire, grazie alla fiducia confermatagli dal JGR e anche grazie al matrimonio con Samantha. E il 2013 e 2014 tornano sulla falsariga degli anni precedenti: tante vittorie complessive (21 nel 2013 e 15 nel 2014) ma il successo più agognato (il titolo della Cup Series) sembra sempre lontano. Inizia così il 2015, un anno importante per Kyle dato che compie 30 anni. Il suo debutto ufficiale a Daytona in Xfinity Series rischia di essere anche la fine della sua stagione: a 9 giri dalla fine sul rettilineo principale arriva il big-one e la vettura di Busch punta dritta verso il muro interno prima di curva 1. Kyle riesce a scendere dalla vettura e basta, la diagnosi è severa: frattura di tibia e perone della gamba destra e del piede sinistro. Dopo che diversi sostituti si prendono cura della #18 (fra cui da notare l'unica gara in Cup Series di Matt Crafton proprio alla Daytona500 del giorno dopo), Busch annuncia il suo ritorno alla All-Star Race dopo tre mesi di convalescenza e per sua fortuna l'esistenza della Chase non gli ha fatto perdere l'anno. Quel che basta è vincere una gara ed essere nella top30 in campionato. La seconda pratica è semplice, la prima - essendo Kyle Busch - ancora di più dato che in cinque gare estive ne vince quattro di cui tre consecutive. Rowdy è tornato e a Bristol in Xfinity Series ottiene anche la vittoria n°150 in carriera. I playoff sembrano andare come tutti gli anni passati, senza vittorie, ma alla fine grazie ad un terzo round di ottimo livello riesce a qualificarsi per il gran finale di Homestead. E' la prima vera chance che ha di conquistare il titolo e ovviamente non se la lascia scappare. Dopo il campionato della Xfinity Series del 2009 arriva per Busch anche quello della Cup Series e a questo punto non si possono più muovere critiche al suo palmarés. Queste ultime stagioni di Busch sono in linea con le precedenti, con tante vittorie, seppur limitate dai nuovi regolamenti che gli impediscono di correre quanto vuole in Xfinity e Truck Series (ora il numero massimo è rispettivamente di sette e cinque gare stagionali), ma non per questo i record non continuano ad arrivare. Nel 2017 bissa la tripletta di Bristol del 2010, nel 2018 con la vittoria alla CocaCola600 di Charlotte diventa il primo pilota della storia della Cup Series ad aver vinto almeno una gara su tutti i circuiti in cui ha corso (dopo possiamo discutere se il nuovo roval gli abbia rovinato di nuovo il tabellino oppure no), e infine ad Atlanta lo scorso febbraio sorpassa le 51 vittorie nella Truck Series di Ron Hornaday Jr. Il conto alla rovescia è iniziato da tempo, ma durante questo inverno il ticchettio si è fatto più rumoroso. Dal -6 della off-season, dopo Atlanta si è scesi a -5, poi dopo il weekend in casa a -3, il cappotto di Phoenix lo ha portato ad un solo passo dal numero magico. Arriva così il weekend di Fontana, proprio là dove venne fermato a 16 anni quando era in testa alle libere dei Truck e dove ottenne i primi risultati di rilievo in Cup Series nel 2005. Al sabato domina la gara della Xfinity Series ma poi una penalità lo ricaccia in fondo al gruppo e la rimonta finale, unita ad un ottimo Cole Custer, lo obbligano a rinviare le celebrazioni di almeno 24 ore. Si capisce che domenica mattina Kyle si è svegliato arrabbiato e domina di nuovo la gara. Poi incappa in un'altra penalità come il giorno prima, ma stavolta la fortuna lo aiuta con una caution al momento adatto. Anche la sorte si deve inchinare al talento immenso di Busch e il sorpasso a Logano e Keselowski in un colpo solo per ritornare in testa lo dimostra ampiamente. La bandiera con scritto 200 lo accompagna per il giro d'onore e anche gli avversari devono riconoscere che non c'era possibilità di battere Kyle (anche) oggi. Cosa manca adesso a Kyle Busch? Due cose sono sicure, la vittoria della Daytona500, talmente sospirata che a casa nello scaffale dei trofei ha lasciato lo spazio vuoto appunto per l' "Harley J. Earl Trophy" e un titolo nei Truck che completerebbe una tripletta di campionati mai realizzata da nessuno. Manca la "quota 100" - è a 94 - nella Xfinity Series, dopo la quale ha ammesso che si ritirerà dalla categoria, e dopo la vittoria di Phoenix ha dichiarato che vuole raggiungere anche le 100 vittorie in Cup Series (ora ne ha 53). Qualsiasi cosa manchi, o qualsiasi numero irreale voglia raggiungere, Kyle Busch ha dalla sua due vantaggi, il primo l'amore per questo sport - e questo anche i suoi numerosissimi haters, compresi quelli del "Ti piace vincere facile?", devono ammetterlo - e la seconda è l'età. Sembra incredibile ma Rowdy ha ottenuto tutto questo e non ha ancora compiuto 34 anni. Davanti a sé potrebbe averne ancora 10 di carriera e ciò spaventa sicuramente i suoi avversari. Intanto ha lasciato la sua impronta anche in questo 2019 in cui si è preso il ruolo di favorito nonostante siano passate solo cinque gare. Si è qualificato per Homestead in quattro delle cinque edizioni e dovunque si corra (escluse forse solo Daytona e Talladega) bisogna inserirlo sempre tra i favoriti. Per le 200 vittorie di Kyle Busch non possiamo parlare di record perché è l'unico in Nascar che ha mai tentato un'impresa del genere, l'unico che si è impegnato su più fronti in ogni weekend. Parliamo allora di traguardo storico, anche perché sarà quasi impossibile batterlo. Poi si può discutere quanto si vuole sulla posizione nella classifica dei migliori piloti di tutti i tempi, ad esempio alla sua età Jeff Gordon e Jimmie Johnson avevano vinto più gare e/o titoli in Cup Series, ma di questo è meglio parlarne alla fine della carriera. E a proposito di cifre tonde, la prossima milestone sarà decisamente più facile da ottenere: quella di domenica a Fontana era la sua gara n°998 in carriera, sabato nei Truck ci sarà la 999 e infine domenica a Martinsville, proprio sul tracciato più antico della Nascar, ci sarà la bandiera verde numero 1000. E quasi quasi c'è il dispiacere che i due dati impressionanti non siano arrivati in contemporanea bensì a sette giorni di distanza. Quello che è certo è che davanti a dei numeri del genere e davanti a una carriera così, possiamo solo inchinarci, così come ama festeggiare Kyle Busch dopo ogni vittoria. Qui trovate un file Excel completo con la lista delle vittorie di Kyle Busch. by @Gabriele Dri
  21. leopnd

    Joey Logano

    Ventotto anni, nativo di Middletown (Connecticut), Joey Logano è il nuovo campione NASCAR. Uno dei più giovani, uno dei più brillanti, anzi… "scavezzacollo" dell’intera categoria, spesso al centro di episodi controversi iniziati in pista, proseguiti nella pit lane ed in qualche occasione finiti con un accenno di rissa o qualcosa di più tra diretti interessati, meccanici, team managers… Insomma un vero e proprio "bad boy", il neocampione Logano, che però nel giorno più importante della sua carriera mette la testa a posto e, dietro la coda della sua gialla Fusion numero 22, tutti gli avversari. Joey Logano è stato l'unico a mantenere le promesse dell'ultima settimana. Prima di Phoenix aveva detto audacemente: "Sono io il favorito per il campionato" e tecnicamente era vero dato che allora era ancora l'unico ad essersi qualificato per Homestead. Poi ha dichiarato: "Io e il mio team abbiamo imparato dagli errori precedenti" e infatti la squadra è stata perfetta in ogni situazione, non si è lasciata prendere dal panico nonostante le difficoltà iniziali e quelle durante la gara. La Ford #22 del Team Penske non era la più veloce in generale, ma lo è stata nella fase decisiva della gara, quando tutti i diretti avversari sono nei paraggi e davanti a te ci sono solo pochi giri per andare a conquistare il primo titolo della Cup Series in carriera.
  22. leopnd

    Don Panoz

    RIP Don Panoz, grandissimo personaggio del endurance oltreoceano, fondatore della American Le Mans Series...
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