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sundance76

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  1. Si disse che una vittoria di Collins avrebbe aiutato le vendite sul mercato britannico, e fra l'altro l'inglese aveva più punti dell'italiano. Fatto sta che nel marzo successivo Eugenio Castellotti morì in un incidente in prova a Modena, senza aver mai vinto un Gran Premio valido per il Campionato Mondiale Piloti.
  2. Speriamo bene. Questa tragedia mi ha sconvolto.
  3. Ho controllato, era proprio quella gara. Nella prima prova speciale, Monte Ceppo, quattro Fiat (su sette) finirono k.o.
  4. Ricordo un Sanremo, mi pare fosse il '74, dove tre quarti della squadra Fiat si ritirò nello stesso punto della stessa prova speciale.
  5. Non sono libri, bensì due fascicoli speciali che uscivano ogni anno a dicembre. Finora possedevo soltanto quelli del 1990, 1991, 1992 e 1993, che hanno coinciso con la mia adolescenza (dai 14 ai 17 anni), in pratica gli ultimi perché dal '94 la pubblicazione non esiste più. In una fumetteria avevo poi trovato quello 1984. Ora ho acquistato questi due, del 1979 e 1980. Li avessi comprati quando avevo 14-17 anni, sarei svenuto dalla contentezza. Oggi, dopo decenni di appassionate ricerche, libri, riviste e lo tsunami dello scibile presente sul web, non è la stessa cosa, ma devo dire che sono ugualmente bellissimi. Ci sono persino servizi dove si analizzano l'evoluzione e le innovazioni tecniche della Formula introdotta nel 1966 (che durerà venti anni), la più lunga e foriera di cambiamenti nel mondo dei Gran Premi. Ma si parla moltissimo anche di rallyes, corse di durata, formule minori. Era una specie di Almanacco Illustrato dell'annata agonistica. Oggi uno strumento inutile visto il web, ma (per me) sempre emozionante. Nel secondo, c'è persino il poster (come nuovo) che vi ho mostrato nel thread sul Mondiale rally, quello della Fiat campione mondiale '80.
  6. Sto ancora a pag. 320 del librone di Dal Monte. Finora non ho mai approfondito tale questione.
  7. Sì, sapevo era la seconda, ma nell'era-scratch (cioè quella dei rallyes intesi come gara di velocità e non di regolarità), l'unica affermazione Fiat è quella dell'80. Altrimenti (e qui non ti sei perso soltanto Rohrl) ci sarebbe anche un altro pilota a quota quattro vittorie, il signor Jean Trevoux. Ma all'epoca, appunto, era più una gara di regolarità che non di velocità. Non ne sono sicuro, ma credo che nel 1928 il rally fosse ancora costituito dalla sola lunga tappa di avvicinamento con partenze da varie città europee.
  8. Stamane, insieme al "Quattroruote Speciale Sport 1980" (era un numero annuale che usciva sempre a dicembre, con risultati e commenti sull'intero anno delle competizioni), mi è arrivato anche questo poster della Fiat campione mondiale '80. Quello fu anche l'anno dell'unica vittoria Fiat al Montecarlo, prima per Rohrl. La Casa torinese nell'80 ottenne il doppio titolo piloti-costruttori vincendo 5 rally, quattro con Rohrl (Montecarlo, Portogallo, Argentina, Sanremo) e un con Alen (Mille Laghi).
  9. La traduzione della parte centrale di un capitolo tratto dalla autobiografia di Rudi Caracciola, relativa alla sua vittoria alla Coppa Acerbo 1938. Spero di averla inserita anche nel thread di Caracciola: "[...] Il circuito di Pescara misura 25 chilometri. Una parte di esso è una meravigliosa strada piena di curve sulle colline e l’altra è costituita da due rettilinei infiniti, uno dei quali costeggia il mare. Quest’anno sono state costruite due chicanes sui rettilinei per limitare le velocità massime. Le chicanes sono curve artificiali che deviano dal tracciato e poi si ricongiungono ad esso. Le macchine italiane erano veloci e maneggevoli, ma le nostre Mercedes e le Auto Union erano considerevolmente più veloci sugli allunghi. Di conseguenza dovevamo sempre individuare nuovi modi per cercare di livellare le chances delle varie auto. Senza queste chicanes difficilmente le macchine italiane avrebbero avuto una possibilità di vincere. Gli Italiani dovevano cercare di rendere più difficile la vittoria alle macchine tedesche allo scopo di tener desto l’interesse del pubblico. Tecnicamente parlando, mettere a punto le macchine per il circuito di Pescara creava molti mal di testa. Il tratto pieno di curve richiedeva marce basse e pneumatici con battistrada profondamente disegnato. I lunghi rettilinei, invece, richiedevano marce alte e pneumatici scorrevoli, quasi lisci. Quindi doveva essere trovato un aureo compromesso che andasse abbastanza bene per entrambi i tratti ma che non sarebbe stato interamente soddisfacente in nessuno dei due. Dopo le ore di prove tutti noi della squadra ci riunivamo per un briefing tattico. Ogni pilota contribuiva con le sue idee. Io credo che queste occasioni erano quelle preferite da Neubauer (il mitico direttore sportivo Mercedes, n.d.t.). Come un generale egli si piazzava tra i suoi soldati, o anche come un pastore tra il suo gregge. Io credo che sembrasse più un pastore, la cui voce poteva essere udita da lontano. Difatti, quando Neubauer, Brauchitsch e io conversavamo i muri potevano quasi venire giù; avevamo, tutti e tre, le voci dei comandanti in campo durante la battaglia. “Allora, ascolta, Caracciola!” … “Ehi, stai attento Manfred, smettila di pensare a tutte quelle ragazze!”… “Lang, tu non stai ascoltando mentre ti parlo!” …. “Silenzio, ecco cosa farà ognuno di noi…” E così ogni preparativo veniva discusso nei dettagli. Durante le prove cercai varie soluzioni di guida. Dopo alcuni giri, elaborai un mio schema per la corsa. Dovevo preservare il motore sui rettilinei, in modo da essere abbastanza veloce, ma senza rovinarlo, così nel tratto misto collinare avrei riguadagnato i secondi che avrei perso. Oh ragazzi, che corsa sarebbe stata! E come avrebbero sofferto i freni quando dovevamo quasi fermarci prima delle chicane. Poco dopo le nove del mattino le macchine furono spinte sulla griglia nella loro posizione di partenza. Già faceva molto caldo; un calore oppressivo e umido. Le macchine dipinte di rosso, blu e argento creavano un quadro colorato e festoso. Le tribune erano piene ad ogni livello. Ragazzini dai capelli neri erano saliti sui pali che sostenevano le tribune per avere una migliore visuale. Si poteva avvertire l’entusiasmo e la suspense della folla di appassionati. Naturalmente essi speravano che la vittoria toccasse a una delle rosse macchine italiane, ma avrebbero applaudito sinceramente anche le performances dei piloti stranieri. Circa un minuto prima della corsa i motori furono accesi e dalle macchine si levò un rombo simultaneo. Gli spettatori potevano facilmente distinguere i suoni dei differenti motori. I nostri propulsori avevano il suono più alto e metallico; squarciava l’aria. Non sentivo nessun altro suono al di fuori di un sordo ronzio nella mia testa. Le mie orecchie, come quelle di tutti gli altri piloti, erano riempite con tappi di cera per prevenire danni ai timpani. Nonostante i tappi, a volte dopo la corsa dovevano passare ore prima che noi potessimo riacquistare un udito normale. La partenza era sempre il momento più eccitante e ogni pilota affrontava la tensione a suo modo. Nuvolari sembrava un cavallo da corsa, che quasi non riusciva a controllare il suo temperamento fin quando la bandiera non si abbassava. Brauchitsch serrava le labbra e dava un’impressione di serrata tensione. Lang era apparentemente molto calmo. Partiti! Brauchitsch scattò magnificamente come un razzo. Io sorpassai Nuvolari molto presto e mi piazzai a una distanza di alcuni secondi dietro Manfred. Per tre giri rimanemmo a stretto contatto; poi vidi una nube di fumo uscire dalla macchina di Manfred. Ha avuto un problema, pensai. E così era. Manfred rallentò, poi mi fece segno di passare. Ora era il mio turno. Lang mi seguiva da vicino. Aumentai leggermente velocità. Record sul giro. Dal rombo sentivo che il motore era in piena efficienza. Feci il record in 11 minuti netti (su 25 km, n.d.t.), il che significava una media oraria di 140,640 km. Su uno dei due rettilinei i cronometri rilevarono per la mia macchina una velocità massima di 277 km/h. Brauchitsch si era ritirato. Ora il conte Trossi (detto Didi) e la sua Maserati stavano progressivamente avanzando. I segnali dai box mi informarono che egli aveva sorpassato Farina ed ora occupava la terza posizione dietro a Lang. Avrebbe potuto diventare pericoloso. Dovevo assicurarmi un vantaggio maggiore, altrimenti avrebbe potuto superarmi quando io sarei dovuto fermarmi per il rifornimento. Didi Trossi urtò un muretto e ebbe un duro colpo a un braccio. Nonostante il dolore, riuscì a portare l’auto ai box e Gigi Villoresi, la cui macchina aveva reso l’anima, salì sull’auto di Trossi. Il combattivo Gigi fece un giro che mozzò il fiato a tutti. Con un tempo di 10’57” era stato tre secondi più veloce di me. Non so se egli possa reggere questo ritmo, pensai. Non poteva. Il motore di Villoresi cedette. In mezzo a tutti questi inseguimenti, rinunciai al mio famoso ed “esemplare” stile di guida e ora prendevo le curve del tratto collinare all’impazzata, come un maniaco. I sassi a bordo strada schizzavano via. Controsterzando, sbandavo nelle curve. Solo così potevo permettermi di mollare il gas sui rettilinei, per dare al motore la possibilità di recuperare. Il pannello dai box mi segnalava che Nuvolari era fuori corsa. Più tardi appresi che aveva avuto un guasto meccanico. Lang non era molto distante dietro di me. Oltre la prima chicane vidi del fuoco. Una macchina era in fiamme. Passai vicino alla staccionata di legno della chicane per evitare le lunghe fiamme. Era una Mercedes, quella di Lang! Da quel che potei vedere attraverso il fumo lui non era nella macchina, grazie a Dio! Fu un incendio terribile. Non era rimasto nulla da spegnere. La macchina era completamente bruciata coi 200 litri di carburante e il serbatoio poteva esplodere. La benzina era altamente esplosiva, noi dicevamo che era dinamite. Quando le nostre macchine venivano messe in moto ai box per riscaldare i motori, le persone intorno dovevano andar via. I fumi pungenti entravano nei polmoni, irritavano gli occhi, e comunque non era certo salubre essere vicini quando quel carburante veniva usato. Se per qualche ragione si creava una scintilla, in un attimo si sarebbero scatenate le fiamme. Dapprima si vedrebbe tremare e scintillare l’aria sul cofano e il calore sarebbe diventato insopportabile; poi si sarebbe scatenato il fuoco. Lang aveva riconosciuto l’aria tremolante ed era saltato dalla macchina prima di bruciarsi. Nei giri seguenti l’acre odore delle gomme bruciate era avvertibile da lontano. Lentamente le fiamme si placarono e il fuoco cominciò a mangiare lo scheletro della macchina. Per diverse ore dopo la gara rimase un cumulo orrendo di contorto metallo rovente. I segnali mi informarono che l’Auto Union di Muller era seconda, a una distanza di due chilometri. Più tardi anche Muller si ritirò; ero l’unico tedesco, l’unico del nostro team rimasto in gara. Ogni volta che passavo davanti ai box, Neubauer era quasi al centro della pista. Da lontano vedevo che alzava le mani e faceva segnali con le bandiere, come per dirmi “Piano, lentamente, caro Rudi, solo tu puoi salvare la giornata!” Io annuivo facendo un segno di ringraziamento e poi finì anche l’ultimo giro. Pensavo che il cuore mi sarebbe scoppiato di gioia. La strategia che avevo elaborato era stata quella giusta, e anche la Dea Fortuna era stata dalla nostra parte sin dal via. Vittoria! Era solo mia! Come sempre, Neubauer fu il primo ad arrivare alla mia macchina. Mi abbracciò, e in quell’abbraccio c’era gratitudine, amicizia e ammirazione per la mia impresa. Poi vennero tutti gli altri intorno a me a stringermi fin quasi a soffocarmi. C’erano tutti, tutti quelli che avevano reso possibile la vittoria.: il caro vecchio Walz, Zimmer, Lindemeyer, Grupp, Bunz, Mueller, Woerner e gli altri meccanici. C’era il maestro, il grande, indimenticabile maestro Dietrich coi suoi mustacchi alla Kaiser Guglielmo, responsabile del Servizio Corse della Continental, nostro fornitore di gomme. C’erano gli specialisti della Bosch, fra cui Bamminger. C’era anche Eberhard Hundt, il famoso reporter sportivo, che seguiva entusiasticamente le corse e le descriveva con grande accuratezza tecnica. Accanto a lui Fabian, il reporter del Berliner Zeitung. E finalmente, c’era la mia donna (Alice Hoffman, sposata nel '37, ex di Chiron, n.d.t.), la nostra cronometrista, grazie a lei sapevamo sempre come eravamo messi in gara e ogni altra cosa che accadeva in pista: ella fermò i cronometri, piegò il foglio dei tempi, ed era raggiante perché avevo finito un’altra corsa senza nessun osso rotto. Gli spettatori avevano invaso la pista ed eravamo imprigionati in mezzo a una folla impenetrabile. Passò molto tempo prima che potessimo fare ritorno in albergo. I fotografi della stampa cercarono di scattare qualche foto presentabile, dato il mio viso tutto sporco d’olio. "
  10. Sta per uscire questo film che mi dicono essere molto bello. Ascoltate lo speaker (il giornalista e scrittore Richard Williams) in questi primi minuti, è significativo:
  11. Erano macchine molto avanzate, come lo sono in ogni epoca. Però i circuiti erano ricavati dall'ambiente, dalle colline, dai rettilinei nelle spianate di provincia, dalle curve nei paesi e nelle città. Non c'era quell'ambiente asettico, da laboratorio, staccato totalmente dalla realtà, dei circuiti moderni, concepiti a tavolino in una spianata desertica per riprodurre gli assetti teorici delle gallerie del vento. Mi dispiace non aver potuto vedere almeno una volta dal vivo un Gran Premio come quelli. D'altronde, gli inglesi negli anni '60 continuavano a ripetere la frase che ho in firma, che avevano coniato dopo aver visto all'opera le macchine tedesche a Donington nel 1937-1938. Mi sarebbe "bastata" anche una Mille Miglia o una Targa Florio.
  12. IL BICCHIERE DI MONTEPULCIANO «Fresco della mia vittoria nella Coppa Ciano a Livorno, assieme a tutta la squadra Mercedes attraversammo l’Italia per raggiungere Pescara e disputare la Coppa Acerbo, in programma il 14 agosto 1938. Era un circuito molto impegnativo, che saliva fino sulle colline e ridiscendeva verso la costa, con la percorrenza di un rettilineo molto lungo. Su questo tratto gli organizzatori italiani avevano realizzato una “chicane” per ridurre la velocità delle vetture che sfiorava i 310 km/h. Al quinto giro stavo viaggiando sul rettifilo proprio prima della “chicane”, quando vidi le fiamme avvolgere tutta la vettura, dal motore fino alle parti interne dell’abitacolo. Non avevo più freni, quindi non mi curai più della chicane, anche perché la tuta che indossavo aveva cominciato a prender fuoco: lasciai lo sterzo e saltai fuori dalla vettura. La mia Mercedes fu quasi completamente distrutta dalla conseguente esplosione, con pezzi di carrozzeria spazzati via come briciole. Fu uno spettacolo terrificante, tanto che solamente le parti in acciaio avevano resistito al botto che lasciò la vettura praticamente irriconoscibile. Se non avete mai visto un cammello disteso nel deserto, non saprete mai com’è fatto. A fine gara i resti della Mercedes furono addirittura raccolti con una pala e depositati in un camion. Scampato il pericolo mi incamminai sulla strada e arrivai nei pressi di un’abitazione dove una famiglia stava consumando il pranzo. Mi offrirono del cibo, ma avevo bisogno urgentemente di un telefono per chiamare i box ed informarli sull’accaduto. Mi dissero: “Non abbiamo il telefono, ma abbiamo del buon vino: prego si accomodi”. Mi feci un bicchiere di Montepulciano, ringraziai e ripresi a camminare lungo il rettilineo. Fu così che vidi transitare René Dreyfus, un tipo in gamba, che nello stesso giro in cui la mia vettura andò a fuoco, aveva cominciato ad accusare alcuni problemi alla sua Delahaye. La trasmissione della vettura del pilota francese aveva cominciato a fare le bizze, ma invece di ritirarsi subito ai box, decise di fare un giro in più (di 25 km, n.d.r.) per caricarmi sul serbatoio della sua Delahaye: un gesto davvero sportivo. Nel frattempo ai box era cominciata a circolare la voce sul mio incidente, ma nessuno conosceva le mie condizioni di salute così, quando arrivammo assieme nella zona del traguardo, ci fu una clamorosa dimostrazione di simpatia e di gioia nel sapermi sano e salvo. Questa era Pescara! Anche il nostro direttore sportivo Neubauer si rallegrò nel vedermi ancora vivo e cercò di sdrammatizzare la situazione con queste parole: “Possiamo costruire quando vogliamo una nuova vettura da corsa, ma non un nuovo Lang!”» HERMANN LANG
  13. E pensare che quando la Lancia vinceva sempre, magari anche con un campione italiano al volante, sembrava quasi normale. Proprio vero che l'importanza di qualcosa si coglie quando l'hai persa. Chissà com'è per i giovanissimi di oggi immaginare una Casa italiana con un pilota italiano che domina il Mondiale...
  14. Gran 6° posto. Ultimo piazzamento a punti del grande Jean, che riuscì a tenere a bada fin sul traguardo la ben più potente Williams-BMW di Ralf Schumacher, vincitore di ben tre Gran Premi quell'anno... Mi sembra ieri, e lo dico davvero.
  15. Su facebook ho creato una pagina dedicata a Moll.
  16. Altro prospetto per comprendere la diversità tra le varie gare, ma anche l'assenza dell'attuale ossessione per i "campionati": http://www.kolumbus.fi/leif.snellman/gpw4.htm
  17. In realtà la visione delle cose era totalmente diversa. Non devi ragionare col "Campionato" al centro. Questa è una visione successiva. Ogni anno veniva stilato un calendario di gare, che avevano diversa importanza, da quelle di rilevanza locale, nazionale fino a quella internazionale. Fra quelle internazionali (ad esempio Coppa Acerbo, i vari GP col nome della nazione ospitante,o anche i GP di Tripoli, Coppa Ciano, Barcellona, Marna, Avus, Donington ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.) le più importanti erano i Grand Prix col nome della nazione ospitante (GP Italia, GP Francia, GP Spagna, GP Germania, GP Belgio, GP Svizzera, GP Monaco). In determinati anni, quando la Federazione (che all'epoca si chiamava "Aiacr", Associazione internazionale degli automobil club riconosciuti) provava a organizzare campionati sovranazionali (perché c'erano già campionati nazionali, in Italia a partire del 1927), ecco che tra quei GP col nome della nazione ospitante venivano scelti alcuni per determinare un riconoscimento come quello di Campione d'Europa (ci fu nel 1931 e 1932, e poi dal 1935 al 1939). I veri e propri "Grand Prix", quelli che avevano la priorità nella scelta della data in calendario, dovevano ad esempio avere un chilometraggio minimo (500 km), ma poi succedeva che anche altre gare prestigiose (GP di Tripoli o Coppa Acerbo a Pescara) avessero lo stesso chilometraggio pur non essendo veri e propri "Grand Prix" (nel nostro paese c'era già ovviamente il Gran Premio d'Italia), anche se si correvano con macchine rispondenti alla Formula Grand Prix. Ma quando venivano stilati i calendari stagionali, piloti e squadre non stavano a guardare se quell'anno ci fosse oppure no un Campionato internazionale. Quello era un "di più". Negli anni '50 e '60 c'erano un equilibrio differente: una decina di gare "iridate" valide per il Mondiale, e almeno un'altra decina totalmente slegate dal campionato. Dagli anni '70 a oggi la prospettiva è capovolta: ogni Gran Premio è sempre valido per il Campionato, al punto che l'unica cosa che davvero conta è vincere il titolo. Negli anni '30 non era così, o meglio non era del tutto così. Il discorso è un po' articolato, ci vuole un certo prolungato contatto con le usanze e la mentalità dell'epoca, per comprendere quella realtà. Per cominciare, si può dare un occhio qui:
  18. Diciamo che la categoria maggiore si chiamava ancora "Formula Grand Prix"
  19. sundance76

    Ferrari 246 '58

    Tuttavia non sono sicuro che la vettura '59 fosse ufficialmente denominata "256" anche all'interno della Ferrari stessa...
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