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Showing content with the highest reputation on 05/06/21 in messaggi

  1. Questo editoriale a firma di Marcello Sabbatini, scritto all'indomani della seconda vittoria stagionale nel 1972, offre alla lettura alcuni passaggi interessanti. [...] Quello che piace di Emerson è la sua simpatia umana. Perché lui, come Reuteman, come il fratello Wilson e lo stesso Carlos Pace che – lo avete visto tutti – è andato a sventolare entusiasta la bandiera gialla e verde sotto il podio di Nivelles, sono fatti della stessa pasta. Quella festa brasiliana in Belgio è un simbolo. Faceva tenerezza quasi, osservare quel foltissimo gruppone di brasiliani che accompagnavano in tutto il G.P. l'irruente slalom della nera Lotus n.32 con lo stesso cha-cha-cha ritmato che i telespettatori di tutto il mondo ricordano, quando le folle impazzite esaltavano gli affondi di Pelè o le veroniche di Garrincha. È il ritmo per il nuovo idolo che nasce, per la nouvelle vague dei piloti che appare all'orizzonte automobilistico. Anzi, riappare. Perché è un soffio di emozione nuova per i giovani, lo è ritrovata per coloro che hanno ancora nel ricordo i campioni del volante dagli anni '30 ai '50. Allora lo sport dell'automobile non era ancora il feudo dei computers anglosassoni, quelli che hanno tutto razionalizzato e condito a suon di dollari e di sterline, mummificato nel tecnicismo che poco più nulla concede all'estro dell'improvvisazione agonistica, che riduce i contatti umani a freddi carnet programmati, a rapporti ipocriti nei singoli tornaconti, ad eufemismi di calcoli sin troppo interessati, dove la sincerità lascia troppo posto al gioco interessato senza più il fair play o le manifestazioni pur umanissime, il risentimento come l'amarezza, il dispetto come la rabbia. Il mondo dove la gioia diventa artefatta, calcolata, computerizzata. Sul podio quei campiioni non si bagnano più di champagne per il gusto quasi goliardico di un momento anche fanciullesco di esaltazione, ma perché c'è il public-relation che tiene conto della scritta sulla bottiglia che si agita, del cappellino con le scritte giuste sostituito al casco, degli autografi che è già preventivato concedere nel numero prefissato dal contratto pubblicitario. Quando finì l'era dei campioni latini era la metà o poco più degli anni '50. Ritiratosi Fangio, scomparsi Castellotti, Musso, Behra, finirono – dopo gli anni ruggenti di Nuvolari e Ascari – anche gli anni d'oro della ritrovata verve agonistica del rilancio post-bellico. Vennero di moda i piloti costruttori, i self-made-men delle corse, gli operai del volante, molti dei quali trovarono in questo sport anche il riscatto sociale di una vita durissima. Ma senza l'esuberanza piacevole e anche sbarazzina tipica dell'emigrato di ceppo latino, ma invece con tutta la determinazione e la freddezza del «colono» angolosasssone. Il mondo delle corse era cambiato, come sapete, arrivando al tecnocraticismo in tutte le sue espressioni, senza più la carica che dovrebbe, per forza, mantenersi se si vuole dare credito al significato originario della parola sport, cioè «deporte», cioè svago. Nel ricorrente ciclo delle vicende umane, anche lo sport dell'automobile, però, sta ritrovando questa perduta espressione; quella che sola può riumanizzarlo, ridandoci anche il piacere di una dimensione meno assoluta sul piano tecnico e più viscerale su quello umano. La dimensione delle cose anche gioiosamente improvvisate, pur nel rischio sempre immanente del dramma che questo tipo di agonismo implica. Per arrivare a questo doveva avvicendarsi anche la generazione dei piloti, la razza intesa come nazionalità. Al freddo egocentrismo anglosassione, tanto meglio se torna a succedere l'esuberanza dei paesi cosidetti a ceppo latino. Tagliati fuori gli italiani, nel perenne controsenso della nostra esterofilia che piace tanto ai costruttori di casa (le famose campagne di Sabbatini a favore dei piloti italiani, volte a punzecchiare la Ferrari e l'Alfa Romeo: in particolare, quell'anno aveva un occhio di riguardo per Galli e nel mirino era entrata anche la Tecno ndr), ecco spuntare i campioni del terzo mondo del volante. Ritorna tutta la entusiasmante e coreografica esuberanza dei sud americani, dei quali il nuovo simbolo è proprio Emerson Fittipaldi, il ragazzo dal viso butterato dal vaiolo il cui padre decanta le gesta da quel podio oratorio dei mass-media moderni che è il microfono radiotelevisivo, mentre al suo box c'è una fresca fanciulla acqua e sapone, una moglie che non si ripete con la burocratica efficienza delle colleghe anglosassoni nel contargli i giri al suo cronometro, ma che ogni tanto sa anche andare a cinematografarsi il marito alla curva più difficile con curiosità da bambina. [...] Se Emerson Fittipaldi vincerà il mondiale '72 potremo dire davvero che il mondo dell'automobilismo agonistico ha ritrovato la sua svolta; una svolta più umana. Dietro la curva troveremo certamente più entusiasmo e anche più piacere nel raccontare le gesta di questi piloti che pretendono di contare, come molti di loro ormai già fanno, le parole che ti elargiscono. No, questo con Fittipaldi non succede. Perché, casomai, rimane con te, tu giornalista o tifoso, a parlare per un'ora e, poi, con l'accattivante sorriso che potrebbe benissimo procurargli una scrittura per un carosello, si scusa: «Oddio, adesso devo proprio andare, ho una riunione alla GPDA. È cominciata alle 11!». Ed erano le 12,30. Il rispetto per i colleghi aveva abdicato alla cortesia per l'interlocutore del momento. AS n.16/1972 pagg. 8-9
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  2. IL RETROSCENA FERRARISTA Reduci dal GP a Le Castellet che si era disputato solo sette giorni prima, le vetture vennero portate direttamente a Silverstone senza ripassare da casa. In Francia la Ferrari aveva provato in qualifica una nuova specifica di motore che presentava delle modifiche alla forma della testa e all'alzata valvole con conseguente rifacimento della testa dei pistoni. Non era andata male perchè in prova Gerhard, terzo, aveva girato poco sopra il tempo di Senna. Tale motore faceva guadagnare una manciatina di cavalli che permettevano sul Mistral di leggere un paio di centinaia di giri in più. Era stato studiato in funzione di Monza, ma, per un certo motivo, si era deciso di anticiparne il debutto in concomitanza di due GP dove la velocità contava eccome: Silverstone ed Hockenheim. Dopo le qualifiche, il fatto che il GP sarebbe stato bagnato non rese affatto felici i ferraristi (erano certi di aver trovato un bilanciamento migliore delle McLaren) e, in quelle condizioni, sarebbe stato più sicuro montare la vecchia specifica di motore: peccato fossero rimaste tutte a Maranello. Dopo circa un quarto di gara, Michele cominciò ad avere una progressiva perdita di potenza e, a metà gara lo stesso malfunzionamento si presentò anche a Gerhard. Oltre ad aver lasciato un centinaio abbondante di cavalli per la strada, il debimetro segnalava un consumo eccessivo di carburante: cosa impossibile in una gara bagnata. Gerard arrivò in fondo staccato di un giro (e in quel giro perse ben tre posizioni e la zona punti), Michele si fermò a tre giri dal termine, non perchè fosse finito il carburante (come appare in alcune statistiche, forse un po' imbeccate da Maranello) ma perchè ormai il motore "tirava indietro" ed era inutile fare un'insalata di bielle gratuita. Subito nei box i meccanici tirarono giù un paio di candele per macchina per vedere se si capiva qualcosa. Il primo verdetto, su Berger, fu che le candele erano imbrattate. Peccato che quando ripeterono l'operazione su quella di Alboreto, le sue candele erano cotte. Gli ingegneri rimasti a Maranello non sapevano come interpretare quelle notizie che arrivavano per telefono. Ma le sorprese non finirono lì. Quando dopo due giorni le macchine arrivarono a casa, i tecnici si buttarono sui motori col cuore in gola. Esito: le candele delle bancate di destra erano imbrattate, quelle di sinistra erano cotte. Questo su ambedue le vetture. Certo, vista l'esiguità di spazio di lavoro nei box dell'epoca, al termine della gara erano state smontate le candele più facili da raggiungere e siccome le macchine erano affiancate, si erano prese quelle sul lato esterno. La scoperta non aiutò più di tanto, ma perlomeno il sapere che avevano subito lo stesso inconveniente, rendeva (se possibile) più facile l'individuazione del guasto. La rese tanto "facile" che ci misero due mesi per capirlo (o almeno sperarono di averlo capito). Dunque: in quei maledetti 200 giri in più, che a Silverstone si mantenevano per molto tempo, complici anche i rapporti più corti montati per il bagnato, si creavano delle vibrazioni torsionali che mandavano fuori fase la pompa d'iniezione, smagrendo una bancata e ingrassando l'altra. Su quest'ultimo fatto fu difficile ottenere ulteriori spiegazioni. Il mistero rimase tale, anche perchè semplicemente cambiando (dopo altri innumerevoli tentativi) la battuta dello spinotto, allungato di un millimetro per lato, le vibrazioni miracolosamente sparirono. Quella specifica riapparve per il GP di Monza, e lì la Ferrari fu competitiva. Anche se era ormai troppo tardi: quella specifica di motore era stata anticipata di due mesi senza troppi test anche perché si era capito che Enzo Ferrari era al capolinea, e si voleva dare un'ultima soddisfazione al Capo.
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  3. Verissimo, per esempio nei resoconti e nelle analisi delle gare, per avere un quadro più chiaro della situazione molto spesso bisogna prendere con le pinze i testi e condurre una ricerca avendo a mente altre fonti più imparziali. Tra l'altro, quanto a Fittipaldi c'è una statistica che corrobora il 'non è mai stato il più veloce', perlomeno per quanto riguarda il 1972: al di là del fatto che Emerson non fece segnare nessun giro veloce in gara (in prova, al contrario, sì), curiosamente, fu Stewart a detenere il maggior numero di giri in testa, considerati tutti e dodici gli appuntamenti e di sicuro Canada e USA contribuirono parecchio a creare questo dato. Su Road&Track fecero alcuni calcoli e ne uscì questo: Stewart 320 giri (887,6 miglia) distribuiti in sette gare, mentre Emerson 240 giri (605,6 miglia) distribuiti in sei gare. Il più regolare, invece, non fu né l'uno né l'altro, bensì Hulme, seguito addirittura da Peterson, che, al contrario degli altri tre, non trovò proprio il bandolo della matassa quell'anno, ma quella è un'altra storia a parte.
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  4. Tutto vero quel che Sabbatini scrisse, ma va contestualizzato in quel preciso momento e poco oltre... Autosprint era un grandissimo settimanale col "privilegio" (chiamiamolo così) di scrivere in un periodo d'oro delle corse, fattore che rende le vecchie copie una sorta di Bibbia. Di questo si deve senz'altro conto a Marcello Sabbatini, principale divulgatore dell'automobilismo in Italia e che in talune occasioni ha scritto pezzi memorabili e condivisibili appieno, non solo nell'ambito delle corse ma anche dei problemi dell' automobile di tutti i giorni (cose che all'epoca non capivo e poco mi interessavano, vista la mia età). Sta di fatto che le opinioni su Fittipaldi cambiarono un poco da lì in futuro, anzi già su AS Anno si premuravano di specificare, dati alla mano, che "...non è mai stato il più veloce". Ma l' Emerson occasionale fortuniere di fine anno sparì con le prime vittorie dell'anno seguente "...quelli che avevano il coraggio di chiamarlo fortunato!" (beh talvolta proprio loro...). Tralasciamo ciò che scrissero qualche anno dopo sui principeschi contratti Marlboro e Copersucar (eh...il "piano umano") o presentandolo come pilota ormai finito. Tornava umano e pilota vero solo quando c'era da contrapporlo a Lauda però. Perchè diciamo la verità , Autosprint ripeto era un grande giornale e Sabbatini a suo modo un grande giornalista (sinceramente mi dispiacque quando morì) ma lui e soprattutto certi suoi reggicoda scrivevano troppo sull'impeto del momento, polemicamente e partigianamente, eppure in seguito smentendosi spesso seppur con lo spirito del "noi l'avevamo detto". Incredibile. Tralasciamo poi l'epoca Lauda davvero ai limiti dell'infamia e dello... stalking, o ancora peggio della vicenda Peterson/Monza cercando di sviare le colpe su James Hunt. Sabbatini era fatto così, prendere o lasciare, i meriti sono notissimi ma l'altra faccia della medaglia pure. Io lo prendo, ma...ecco. A mio parere
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  5. Alcuni piloti dovranno fare doppio lavoro
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  6. Entry list per Magny-Cours. Questo fine settimana c'è anche il GTWC Australia al Bend.
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  7. Non avranno Ferrari, Porsche, Bmw ed altre, ma va detto che le auto tra i 30k ed i 60k gli Americani le sanno fare Senza considerare il mercato dell'usato e di quanto costa poco mantenerle.
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  9. In viaggio nel tempo... Daniel Ricciardo ai box Ferrari... photo credit: Enzo Campagnolo‎
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  10. Per adesso no... La vedo dura, a febbraio si parlava di forfait...
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