La corsa ebbe un avvio velocissimo: Piero Taruffi sulla sua Maserati n. 6 a sedici cilindri (stesso telaio su cui trovò la morte a Monthlery Amedeo Ruggeri nel '32, ma Taruffi questo non lo sapeva...) si portò decisamente in testa.
Al primo passaggio davanti alle tribune Taruffi aveva un centinaio di metri di vantaggio su Chiron e circa duecento metri su Varzi. Gli altri erano già staccati.
Il romano sfruttava abilmente la maggior velocità massima della Maserati che aveva un motore di ben 5 litri di cilindrata, ma la pesantezza della vettura e l'instabilità nelle sei, pur veloci, curve del circuito cominciarono a farsi sentire.
Chiron con la sua Alfa P3 lo incalzava da vicino, e superò Taruffi al 4° giro.
Nella stessa tornata, col tempo di 3'55"4 Chiron stabilì il giro più veloce della corsa, alla media record di 200,339 km all'ora.
Anche l'altra Alfa, quella del favorito Achille Varzi, cominciò ad attaccare Taruffi, ma il sorpasso non ebbe luogo: alla curva dell'Aeroporto la pesante Maserati del romano volò fuori pista. Era il 7° giro.
Ecco l'incidente nelle parole di Taruffi stesso:
"Dopo pochi giri, la frenata della mia macchina divenne irregolare e quindi i freni si bloccarono all'improvviso. Ho ancora davanti agli occhi lo spettacolo delle ruote anteriori immobili e il fumo prodotto dalle gomme che fondevano per il tremendo attrito sul terreno. Ebbi la percezione che la macchina non si sarebbe fermata; era come se scivolasse su di una macchia d'olio. Era una sensazione penosa...
La curva si avvicinava rapidamente. In tutto non passarono più di sei, sette secondi nei quali il mio cervello lavorava rapidamente.
Finalmente le ruote si sbloccarono e riuscii a controllare la direzione della macchina, ma non osai spingere di nuovo il pedale del freno; così pensai di rallentare l'andatura contro alcune dune di sabbia ai bordi della pista.
Bisognava decidersi, stavo arrivando alla curva.
Decisi di uscire di pista dritto, per non rischiare di capovolgermi, sperando di fermarmi sul terreno sabbioso che intravedevo a circa un metro più in basso della pista.
Presi la mira tra due paracarri e mi affidai a Dio: decollai, ebbi la sensazione di essere uno di quei sassi piatti che da ragazzo lanciavo sul pelo dell'acqua immobile dell'Adriatico.
Spiattellai due o tre volte, poi di colpo la vettura si impennò mettendosi in verticale. Il mio corpo, per inerzia, venne proiettato fuori. Per aria, ricordo di aver portato istintivamente il braccio sinistro a protezione della testa; presi contatto col terreno vedendo, prima di avvertirla, la mia macchina che mi cadeva addosso. Ma non avvenne nulla, la macchina restò dritta, come sospesa in aria, miracolosamente.
Dal serbatoio della macchina cominciò a cadere la benzina che pensai che di lì a poco avrebbe preso fuoco. Cercai di far forza con le braccia per allontanarmi, ma solo allora mi accorsi che il braccio sinistro cedeva, era fratturato.
Alcune robuste braccia mi aiutarono; fui messo in barella e portato sotto la tenda della Croce Rossa. Da qui, con una autolettiga traballante, arrivai alla sala operatoria dell'ospedale.
I particolari dell'incidente li ebbi da mia sorella e da un amico che si erano sistemati proprio in quella curva per farmi delle segnalazioni. La mia macchina si era fermata per aver urtato il cartellone pubblicitario di una fabbrica di birra.
La conferma di ciò la ebbi dopo qualche giorno, con una garbata lettera della Ditta che, nel compiacimento dei dirigenti per aver io avuta salva la vita per il loro provvidenziale cartello.. si avanzava garbatamente richiesta di indennizzo".