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Drizzt

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  • 11 months later...

Massimo Miki Biasion (Bassano del Grappa, 7 gennaio 1958) è un ex pilota di rally italiano, attualmente pilota di rally raid, due volte campione del mondo rally, nel 1988 e nel 1989.

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Il primo successo, 1974, Campione Italiano di sci a soli 16 anni. Poi la licenza da pilota, le prime gare di motocross e titolo di Campione del Triveneto e di vice Campione Cadetti conquistato due anni più tardi, splendido presagio di quello che sarà il suo futuro. Pochi mesi e il grande salto verso quella che, qualche anno più tardi, sarà la sua favola mondiale non tarda arrivare. Una favola a quattro ruote. A 19 anni la prima auto, una Opel Kadett GTE (Gruppo 1): il sogno di correre nei rallies, quelli che contano, diventa realtà. E’ il 1979: undici partenze e altrettanti arrivi al traguardo consegnano il primo titolo, quell’italiano esordienti che lo proietta sullo scenario dell’affascinante mondo delle corse.

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Nel 1980, con l’Opel Ascona SR arriva il titolo di Gruppo 2 conquistato nei rallies internazionali. Un successo tanto atteso che gli spalanca le porte del primo ingaggio ufficiale, quello dell’Opel che lo schiera nella sua squadra corse. Nel 1982 conquista il titolo di Campione Italiano di Gruppo 4 e quello di vice campione assoluto nei rallies internazionali alla guida di una Opel Ascona 400. Il grande salto di qualità arriva nel 1983 quando indossa i colori Totip: una grande stagione sportiva alla guida di una Lancia Rally (Gruppo B) con la quale partecipa al Campionato Europeo vincendo 11 gare su 13 e conquistando contemporaneamente il titolo italiano ed europeo. E’ il 1984, l’anno della sua prima avventura mondiale: 2° al Rally di Corsica e 6° assoluto nel campionato piloti. Nel 1985, le prime due vittorie assolute: una al Costa Brava, l’altra in Grecia. Poi quel secondo posto in Portogallo che lo proietta sulla vetta della specialità.

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Nel 1986, l’anno che segna il suo passaggio alla squadra ufficiale Martini: già in Argentina porta a casa una splendida vittoria, a fine stagione arriva il 5° posto nella classifica mondiale. Nel 1987 con la Lancia Delta 4WD (Gruppo A) le vittorie a Montecarlo, in Argentina e a Sanremo nel Campionato del Mondo fanno ben sperare ma perde il titolo assoluto per un soffio arrivando secondo nella classifica piloti. Nel 1988 5 vittorie tra cui il leggendario Safari Rally in Kenya su una Lancia Delta Integrale. Primo e unico pilota italiano nella storia a conquistare il Campionato del Mondo. Nel 1989 raddoppia il titolo: altre 5 vittorie, a Montecarlo, in Portogallo, in Grecia, a Sanremo e di nuovo in Kenya, sulle piste sterrate del Safari.

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Nel 1990, le vittorie assolute al Portogallo e in Argentina gli consegnano il 4° posto nella classifica piloti, così come nel 1991. Nel 1992 si spengono i riflettori sulla Lancia che chiude la squadra corse anche se il prestigio che lega la casa automobilistica al mondo rally è ormai intramontabile. Passa alla Ford con un contratto triennale portando la Sierra al miglior risultato di sempre: 2° in Portogallo e 4° nella classifica del mondo.
Nel 1993, con una nuova Cosworth, ottiene ottimi risultati vincendo il rally di Grecia, arrivando secondo in Argentina e Portogallo classificandosi 4° nel mondiale. Anche il Campionato del 1994 doveva essere vincente tant’è che a 2/3 della stagione era in testa alla classifica ma alcuni inconvenienti tecnici lo fermano in tre gare consecutive facendolo terminare 6° assoluto. Nel 1995, due gare fra tutte: l’Acropoli con la Delta del Team Astra di Mauro Pregliasco (costretto al ritiro quando era al comando della gara) e il 3° posto al Sanremo con la Subaru dell’ART Italia. Dopo l’asfalto, neve e terra, per la prima volta si trova a correre su pista in quel trofeo Maserati che gli consegna il secondo posto assoluto. Nel 1997 dai rallies passa al tout terrain, per mettersi alla prova in quei raid che lo hanno sempre affascinato. Alla Parigi-Samarcanda-Mosca, maratona di 15 mila chilometri nelle steppe dei paesi dell’Est, con l’Eurocargo Iveco taglia il traguardo secondo assoluto. Nel 1998 e nel 1999 si aggiudica la Coppa del Mondo Rallies Raid Trucks alla guida dell’Iveco Eurocargo.

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Nel 2001, dopo un anno di test con Fiat Auto per mettere a punto la Super 1600 che con Andreucci si aggiudicherà il titolo italiano, nel 2002 e nel 2003 è di nuovo in gara, questa volta alla corte della squadra ufficiale Mitsubishi: 3° al Rally di Dubai, con il Pajero conquista il 2° posto alla Dakar per poi essere penalizzato a fine gara per un problema tecnico. Sabbia e deserto nel 2003, anno che lo vede anche conquistare il secondo posto al Rally di Tunisia mentre nel 2004, in testa alla Dakar, uno spettacolare incidente pone fine al suo contratto con Mitsubishi. L’anno successivo è quello della Mille Miglia Storica a cui partecipa con una Lancia Aurelia B20 mentre nel 2006 ecco una nuova avventura alla Dakar, alla guida di una Panda Cross 4×4, che si conclude con il ritiro dalla gara per l’inesperienza del team. Nel 2007 con i colori della scuderia RalliArt Divisione Fuoristrada Italia scende in pista alla Baja Espana Madrid Aragon su un Pajero conquista l’11° piazzamento assoluto. Partecipa alla Dakar anche nelle edizioni 2008 e 2009. Il 21 ottobre 2011 vince il Rally del Marocco, categoria camion, su Iveco.
Nel 2012, partecipa nuovamente alla Dakar, con il camion Iveco, vincendo la nona tappa e classificandosi al sesto posto.

 

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Siiii, è proprio quello che ho visto io!!!!

Ero li e continuavo a credere che stesse guidando un Delta...

Quel "coso" non è certo un mostro di agilità, ma Miki, peraltro molto disponibile come persona, lo gestiva con una facilità sorprendente! Mai detto è più appropriato...la classe non è acqua!!

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  • 1 year later...
Il 24/1/2017 at 11:37 , leopnd ha scritto:

 

 Anche il Campionato del 1994 doveva essere vincente tant’è che a 2/3 della stagione era in testa alla classifica ma alcuni inconvenienti tecnici lo fermano in tre gare consecutive facendolo terminare 6° assoluto.

 

A me non risulta che fosse mai stato in testa alla classifica nel '94.

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Anche perché i tre ritiri erano nei primi 2/3 del campionato:zizi:

Comunque l'avventura con Ford fu un mezzo disastro... Gli americani (inglesi? Va beh...) non avevano proprio la mentalità vincente dei tempi d'oro della Lancia. Troppa "legnosità" nel prendere le decisioni, troppa programmazione, poca inventiva sul campo... Bravi ingegneri, ma decisamente poco estrosi:nonso:

Se vogliamo, quella Ford mi ricorda un po' la Toyota attuale:zizi:

Modificato da giovanesaggio
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1 ora fa, giovanesaggio ha scritto:

Anche perché i tre ritiri erano nei primi 2/3 del campionato:zizi:

Comunque l'avventura con Ford fu un mezzo disastro... Gli americani (inglesi? Va beh...) non avevano proprio la mentalità vincente dei tempi d'oro della Lancia. Troppa "legnosità" nel prendere le decisioni, troppa programmazione, poca inventiva sul campo... Bravi ingegneri, ma decisamente poco estrosi:nonso:

Se vogliamo, quella Ford mi ricorda un po' la Toyota attuale:zizi:

Biasion era in guerra con un tal ingegner Dunabin, che "spingeva" Delecour.

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  • 6 months later...

(la metto anche qui per completezza)

LA "CHIAVE" DEL SUCCESSO AL SAFARI

Il calore del sole sfumava i contorni del paesaggio.
La pista, davanti ai miei occhi, si perdeva in un fastidioso riverbero tremolante. Le colline degli altipiani del Kenya mi apparivano sfuocate quasi che, improvvisamente, la mia vista fosse stata intaccata da una forte miopia. 
Sul “red ground” la Delta lasciava una scia di polvere rossa. Lunghissima. Una cometa.
Avevo il viso sudato, impastato dal quel maledetto pulviscolo che entrava dappertutto. Nelle cuffie la voce, forte e chiara di Tiziano. 
Ero in testa al Safari Rally ma i presagi non promettevano niente di buono.
Troppe le negatività che si erano succedute nel corso della preparazione di quell’edizione 1988.
Anche per uno come me, per nulla superstizioso.
A febbraio, nel corso delle prime ricognizioni nella savana, avevo avuto un grave incidente. In piena velocità, a 180 chilometri all’ora, la macchina era decollata su un avallamento ed era capottata. Ero uscito indenne, Tiziano invece lamentava la frattura di una costola e una forte botta alla schiena. 
Situazione medica non grave ma, per il recupero completo del mio navigatore, il tempo non sarebbe stato breve. La conferma, infatti, era arrivata al rientro in Italia. 
Dopo i controlli la sua partecipazione al rally del Portogallo, che si sarebbe corso all’inizio di marzo, era apparsa impossibile. 
Come sostituto la Lancia aveva indicato Carlo Cassina.
Nella mia carriera ho sempre avuto al mio fianco Tiziano.
Tranne in tre occasioni, lo rammento perfettamente: il 100.000 Trabucchi, corso nel 1980 assieme al povero Loris Roggia con l’Opel; il rally della Lana, 1982, con “Rudy”, ancora con l’Ascona 400 e il Portogallo, appunto, con Cassina. 
Dire che la cosa mi disturbava era dire poco.
La mia inquietudine, laggiù all’Equatore, era aumentata alcuni giorni prima del via. 
Nel corso di una delle ultime ricognizioni il muletto era letteralmente affondato nel fango. Per cercare di uscire dalla trappola mi ero messo a spingere anch’io. Il ginocchio ne era uscito malconcio. Avevo avvertito un dolore lancinante tanto che Ben Bartoletti era stato costretto ad iniettarmi degli antidolorifici per alleviare la sofferenza. 
E Tiziano non era ancora al massimo delle condizioni. 
Non avevamo avuto un momento tranquillo. E non era finita.
In gara la sfortuna ci aveva perseguitato non poco: nella tappa verso nord si era spaccato il turbo e una zebra era finita sotto le ruote, per fortuna le protezioni anteriori aveva resistito bene al grande colpo. Episodi da Safari, ma ne avremmo fatto volentieri a meno dopo tutto quanto avevamo patito.
Con una grande sofferenza, ma eravamo ancora in gara. 
Comunque i cattivi presagi continuavano ad aleggiare sopra la nostra Delta numero 6. 
In cuor mio mi aggrappavo ad una frase di un masai. L’avevo incontrato durante le prove di febbraio.
“Tu piccolo italiano vincerai il Safari”, aveva profetizzato.
Continuavo ad essere in testa. Il timore di altre disavventure era salito durante la notte. In Africa, più nera della pece. Nonostante la batteria dei fari anteriori e i due posizionati sui parafanghi, vedevo solo qualche decina di metri più avanti. L’attenzione era massima. Le ultime ore erano state vissute con una trepidazione incredibile.
Kirkland, con la Nissan 200 SX, mi seguiva a nove minuti, un niente. Sarebbe bastata anche una foratura per compromettere tutto. 
Per questo Cesare Fiorio e Ninni Russo, quest’ultimo a bordo di un piccolo aereo Cessa a tenere i collegamenti radio, avevano riorganizzato completamente le assistenze. Ai 25 meccanici del team era stato chiesto il massimo sforzo.
Troppo importante la posta in palio. Per tutti.
Le forze erano state divise: alcuni uomini dislocati ai controlli orari, tutti gli altri erano stati piazzati lungo la pista, pronti ad intervenire nel momento in cui avessimo avuto bisogno. 
Una strategia perfetta, ognuno sapeva cosa fare. 
I chilometri sembravano senza fine. 
Nel corso di uno dei parchi assistenza pensavo mi venisse un infarto. Io e Tiziano eravamo andati nel camper a rifocillarci a al ritorno la nostra Delta non c’era più. Scomparsa, svanita. 
Mi sentii morire.
“L’hanno rubata”, avevo pensato immediatamente. Incontrai Danilo Dalla Benetta, un amico meccanico di Vicenza, che stava seguendo il Safari per la Mazda. Un passato di navigatore al fianco di Antonillo Zordan, unico pilota privato nella storia dei rally ad aver battuto una Lancia Stratos ufficiale. Successe al Campagnolo 1976 e i due vicentini, con una Porsche preparata da loro stessi, riuscirono nell’impresa di superare Tony Carello in coppia con Arnaldo Bernacchini.
“Miki, guarda che la macchina è laggiù”, mi aveva detto indicandomi la direzione con la mano. L’avevo inquadrata tirando un sospiro di sollievo. Il piazzale era in leggera discesa e, a causa delle pastiglie che si erano raffreddate, il freno a mano aveva perduto d’efficacia. La macchina si era andata ad appoggiare contro il tronco di un albero. Nessun danno, le protezioni anti animali, avevano fatto il loro dovere. 
Non era finita. Quando andai per aprire la portiera non trovai le chiavi. 
“Dove sono finite?”. Cercai nelle tasche, niente. “Tiziano, le hai prese tu?”, fu l’inizio di un ping pong delle responsabilità. 
Intanto passavano i minuti e dovevamo riprendere la marcia per non incappare in una penalizzazione.
“Ragazzi, faccio io…”, disse Danilo chiudendo ogni discorso. Tempo trenta secondi e mi potevo riinfilare nell’abitacolo.
I cattivi presagi continuavano. 
La nostra Delta Integrale era irriconoscibile, stava insieme con il filo di ferro dopo oltre quattromila chilometri di pietraie, polvere e guadi. Percorsi ad oltre 125 chilometri all’ora di media. 
Avevo perfino paura di parlare, sapevo che ormai era fatta, che mi stavo avviando verso un’impresa storica, ma sudavo freddo pensando che anche, negli ultimi metri, sarebbe potuto accadere qualcosa. 
Anche all’ingresso di Nairobi, a velocità ridotta, controllavo le spie sul cruscotto. Avevo paura che qualcuna si accendesse. 
Avevo perfino ripensato ai Safari perduti da Sandro Munari, una gara stregata per lui. 
Bastava un niente, sembra incredibile ma è così. 
Nell’abitacolo la tensione era ancora altissima nonostante ormai fosse questione di poco. Tiziano continuava a leggere il radar, scandiva le parole in maniera ancora più chiara per azzerare le possibili incomprensioni. 
Lo sguardo davanti, contagiri e spie, avevo socchiuso gli occhi per avere maggiormente a fuoco tutti i particolari. Proprio come fossimo ancora in prova.
Nel centro della capitale del Kenya la gente si era accalcata numerosa lungo la strada. 
A centinaia, a migliaia, sempre di più. A seguire l’evento dell’anno.
E io e Tiziano eravamo là, davanti a tutti.
Primi al Safari, i primi italiani. Con una macchina italiana.
All’Equatore avevamo conquistato il nostro Everest. Il tetto del mondo.
Sulla pedana d’arrivo del Kenyatta Conference Center chiusi gli occhi.
Stavo vivendo il momento più bello della mia vita.
Era il 4 aprile 1988, lunedì di Pasqua.
Gli amici irriducibili, al rientro a Bassano, mi avevano atteso nel solito locale vicino al ponte degli Alpini.
“Né la zebra né el leon possono fermar Miki Biasion”, era stato il canto goliardico di saluto.
Nei giorni successivi ero andato a Verona a verificare la situazione del ginocchio. Nello stesso tempo Ben Bartoletti mi preparò una tabella per recuperare, in breve tempo, gli oltre sei chili che avevo perduto durante la gara in Africa.
Una settimana dopo il rientro in Italia mi chiamò Danilo.
“Miki, mi inviti a cena?”, chiese.
Era il minimo che potessi fare dopo l’aiuto in Kenya.
Nel corso della rimpatriata mi consegnò un pacco. Lo scartai, all’interno c’era un quadro. Una bella cornice, la prima pagina del Nation, il quotidiano di Nairobi.
Un titolone, “MiKilimanjaro”, una foto gigante a colori di quella fantastica giornata e, sotto, incollata, la chiave della Delta che avevamo perduto.
Danilo l’aveva trovata in mezzo all’erba dopo che eravamo ripartiti.
Non lo dimenticherò mai.

* Tratto dal libro "Miki Biasion storia inedita di un grande campione" di Miki Biasion e Beppe Donazzan (Giorgio Nada Editore)

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  • 2 years later...

Stasera, qui all'Isola d'Elba ho brindato al mio compleanno nel solito ristorante dove è mia abitudine festeggiare.

All'entrata c'era un enorme tavolo vuoto apparecchiato per 15-16.

Il titolare del ristorante viene a salutarci e mi chiede: "Hai visto il due volte mondiale al tavolo 1?" "No chi c'è?" "Sono due! Biasion e Siviero!" Sempre insieme...

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  • 2 weeks later...

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