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    Stefan Bellof

    XLII Gran Premio di Monaco, 3 giugno 1984. In pratica una delle gare più ricordate nella storia della Formula 1 a distanza di decenni, la corsa che, a detta di tutti gli addetti ai lavori e non solo, rivelò al mondo il talento dell’esordiente brasiliano Ayrton Senna. Ovvero colui che al volante della modesta Toleman stava ridicolizzando i grandi piloti della massima formula e solo una bandiera rossa privò del successo. Un drappo “benevolmente” esposto dopo soli 31 giri dei 78 previsti dal direttore di gara Jacky Ickx (pilota Porsche nel Mondiale Endurance) quando in testa alla corsa si trovava Alain Prost, pilota della McLaren–TAG Porsche. Come sempre capita in casi così discussi, il modo migliore per passare oltre le dietrologie e capire a fondo la corsa oltre i racconti viziati dal tempo e dalle opinioni personali è trovare una registrazione della diretta e gustarsi le immagini con curiosità. Riguardando il Gran Premio non è soltanto la rimonta del paulista a colpire, ma anche una rimonta “fotocopia”, compiuta giusto alle sue spalle da un pilota tedesco. Si trattava di un altro esordiente in quella annata 1984 che guidava un’altra vettura di livello modesto come la Tyrrell, ma che stava inanellando una serie di giri rapidi quanto quelli di Senna ed ugualmente conditi da sorpassi esaltanti. Il suo nome era Stefan Bellof, un ragazzo nato nemmeno 27 anni prima a Giessen, nell’allora Germania Occientale. Un giovane che stava scalando le gerarchie dell’automobilismo mondiale con una velocità impressionante. Quasi come quella che mostrava quando stringeva il volante di qualunque oggetto fosse dotato di almeno quattro ruote… Dopo un inizio di carriera passato al volante dei kart (dove fece suoi alcuni titoli nazionali) Bellof iniziò subito a bruciare le tappe. A 23 anni scarsi esordì in monoposto vincendo subito il campionato tedesco di Formula Ford 1600 per poi ripetersi l’anno dopo a livello internazionale esordendo parallelamente in Formula 3 con una Ralt RT3. Il suo programma era di sole sette gare, ma già alla terza il biondo giovanotto venuto dall’Assia si piazzò davanti a tutti, come avvenne anche in due gare successive. Correva davvero forte Stefan, non solo in pista ma anche nella carriera, come se il tempo per lui non dovesse bastare. Infatti nel 1982 passò subito in Formula 2 come pilota della artigianale Maurer, vettura tedesca dotata del potente motore BMW. Ovviamente anche questo passaggio alla categoria superiore non creò alcun problema a Bellof, che fece sue le prime due gare disputate a Silverstone, in cui mostrò le sue incredibili doti di guida sul bagnato, e ad Hockenheim. Per chiunque lo osservasse da bordo pista era impossibile non notare il talento purissimo del giovane tedesco al quale in quello stesso anno venne offerta la possibilità di esordire anche con le vetture sportprototipo. Il terreno giusto per il debutto fu il campionato nazionale tedesco, il DRM, con una Porsche del Kremer Racing all’Hockenheimring e successivamente anche alla 1000 km di Spa valida per il mondiale Endurance. Anche con le vetture a ruote coperte le capacità di Bellof furono sconcertanti fin da subito e la Rothmans, sponsor principale della squadra ufficiale Porsche che stava dominando nell’Endurance con la debuttante 956, non poteva farsi sfuggire il possibile “colpo” di inserire nella propria formazione ufficiale un giovane pilota tedesco. Ed infatti non se lo fece sfuggire. Pur continuando l’impegno con la Maurer in Formula 2, l’ingresso nella squadra ufficiale Porsche portò subito grandi soddisfazioni a Stefan, che venne inserito in equipaggio con l’esperto Derek Bell a fargli da “tutor”. Il risultato fu quello ormai consueto: pole position e vittoria a Silverstone bissata da altre due vittorie (sempre con pole) al Fuji e a Kyalami. Ma come dicevamo qualche riga fa, ormai nessuno si sorprendeva più per i risultati straordinari di Bellof. Fu un’altra impresa unica a consegnarlo nella leggenda in quello stesso 1983, al volante di quella Porsche 956 con la quale stava creando una simbiosi che avrebbe legato indissolubilmente il suo nome a quello della vettura e viceversa. L’ultimo fine settimana di maggio era infatti in programma la 1000 chilomentri del Nurburgring, ultima gara di un campionato del mondo disputata sulla terribile Nordschleife fino all’arrivo del WTCC ben trentadue anni dopo. Un anello di asfalto da 20,835 km che sembrano la porta dell’inferno, tra curve e saliscendi disseminati in una fitta foresta che incantano la fantasia di appassionati veri e “tuner” incalliti. Oltre che costituire una vera università della guida e un veicolo pubblicitario unico per ogni casa automobilistica che voglia promuovere un suo nuovo prodotto a quattro ruote, magari pubblicizzando un tempo record. Già, il record. Forse nemmeno ci pensava Stefan Bellof, eppure quella nebbiosa mattina del 28 maggio 1983 proprio un record lo avrebbe consegnato alla leggenda. Doveva qualificare la Porsche 956 telaio #007 con il numero 2 sulle fiancate che la squadra tedesca aveva affidato a lui ed al suo “coequipier” Derek Bell per quell’ultima gara sul vecchio ‘Ring quando scese in pista buttandosi giù nelle “esse” in discesa della sezione di Hazenbach. Nessuno però poteva immaginare che quel giro di qualifica Stefan lo avrebbe compiuto in preda al puro istinto della velocità che possedeva innato in sè. I primi dati raccolti dalle fotocellule sparse lungo il lunghissimo circuito trasmettevano cifre che disegnavano i contorni di qualcosa di eccezionale. I tempi segnati dalla Porsche numero 2 sembravano inverosimili e permettevano di calcolare una media superiore ai duecento chilometri orari. Non pareva possibile sulla Nordschleife, non lo era mai stato fino a quel giorno. La Porsche intanto era arrivata sul rettilineo del Dottinger Hohe, ancora poche curve e si sarebbe capito col passaggio sul traguardo se quei dati fossero reali. Bellof tagliò la linea ed il risultato fu chiarissimo: tempo di 6’11″13 pari ad una media di 202,073 chilometri orari. Il secondo, ovvero il compagno di squadra Jochen Mass, aveva un comunque ottimo tempo di 5,7 secondi superiore. Il primo “degli altri” , ovvero la Lancia LC2 di Patrese-Alboreto, aveva messo a referto un 6’41″170. Quello di Bellof era un tempo semplicemente sconcertante e lo fu ancora di più quando il tedesco ammise tranquillamente che poteva fare meglio avendo incontrato sul suo cammino una Porsche 911 ed avendo commesso due errori, senza rendersi conto che nessuno poteva migliorare quel responso cronometrico. La Porsche lo fece scendere dalla vettura, ma Stefan in cuor suo sapeva di poter migliorare il giorno dopo in gara. Cosa che puntualmente tentò di fare nel suo secondo turno di guida, quando il meteo ideale ed il vantaggio di quasi mezzo minuto sugli inseguitori spinsero Stefan ad osare. Dopo i primi rilevamenti in cui i tempi erano ancora migliori rispetto alle prove, qualcosa andò storto. Un atterraggio impreciso in uno dei diversi punti in cui la vettura si staccava da terra con le quattro ruote proiettò la 956 contro le barriere, innescando un incidente terrificante dal quale per fortuna Bellof uscì illeso. Peccato, potevo farcela, pensò Stefan. Senza nemmeno immaginare che quel suo 6’11″13 sarebbe rimasto per sempre il record assoluto sulla Nordschleife. Dopo queste prestazioni incredibili arrivò per Bellof anche l’attenzione delle squadre della massima Formula. Dopo un test per la McLaren nel 1983 in cui gli altri “esaminati” erano Martin Brundle ed Ayrton Senna che non ebbe seguito per l’opposizione della Rothmans a cedere il suo pupillo ad una squadra patrocinata dalla Marlboro, il tedesco trovò una sistemazione per il 1984 nella squadra del “boscaiolo” Ken Tyrrell. Vettura che guidava anche quel giorno a Montecarlo da cui abbiamo dato il via a questa storia. Il materiale tecnico non era di prim’ordine nè in quell’anno nè nel successivo, ma il talento di Bellof ebbe modo di mostrarsi con altri due splendidi piazzamenti: un sesto posto a Estoril nel giorno del primo trionfo di Senna (ancora lui) in una gara bagnatissima (ancora una volta) e un ancora migliore quarto posto a Detroit sull’asciutto. Le soddisfazioni per il tedesco continuavano però nel Campionato Mondiale Endurance. Nel 1984, alternandosi tra una Porsche 956B ufficiale e una della Brun Motorsport, vinse le gare di Monza, Nurburgring, Spa-Francorchamps, Imola, Fuji e Sandown Park, si laureò campione del mondo tra i piloti e, già che c’era, si prese anche il titolo tedesco. Ormai era chiaro a tutti che Bellof era il pilota che univa l’istinto puro della velocità e l’incoscienza di un Gilles Villeneuve alla diabolica capacità di guida sul bagnato dell’altro giovane rivale Ayrton Senna, sommandovi la straordinaria capacità di saltare da una vettura all’altra sempre primeggiando di un Jacky Ickx. Proprio il belga, stella indiscussa della squadra Porsche, si era ritrovato in casa questo velocissimo tedesco che dalle parti di Stoccarda non avevano più voluto tra i suoi piloti ufficiali per il 1985. Forse i vertici della casa volevano cercare di “calmare” l’ardore agonistico di Bellof, forse volevano evitare discussioni interne, non lo sapremo mai. Di sicuro c’è che Stefan anche al volante della più datata 956 della Brun Motorsport dopo 78 giri della 1000 chilometri di Spa del 1985 era riuscito ad annullare il distacco accumulato dalla più moderna 962 di Jacky Ickx e si sentì pronto per tentare un attacco alla prima posizione. Non in un punto qualunque ma nella curva simbolo del tracciato di casa dell’avversario: la mitica Eau Rouge. Peccato che Ickx stesse già impostando la traiettoria migliore anche in vista della successiva “esse” in salita del Radillon e il contatto tra le due vetture fu inevitabile. La vettura del belga si girò e colpì le barriere, allora poste subito all’esterno della piega, con il posteriore, senza creare alcun problema al pilota. Quella di Bellof invece le colpì frontalmente ad una velocità di circa 260 chilometri orari, demolendosi all’anteriore ed incendiandosi. Il camera-car della vettura di Ickx mostra come Jacky fu il primo tra i soccorritori del collega, ma fu tutto inutile. Bellof rimase imprigionato nell’incendio con gravissime lesioni al torace, alle gambe ed alla spina dorsale che lo portarono alla morte prima dell’arrivo in ospedale. La storia di Bellof si chiudeva così, a nemmeno 28 anni, senza i successi in Formula 1 che lo avrebbero fatto ricordare al grande pubblico ma con il ricordo indelebile di quel tempo mostruoso al ‘Ring. Mentre a noi piace ricordarlo con la semplice risposta data dal collega John Watson in un’intervista ad Autosprint, quando alla domanda su chi fosse stato il più grande talento dimenticato della storia delle corse l’ex pilota nordirlandese rispose sicuro: Stefan Bellof.
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