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  1. [col][/col][col]Formula 1 Grande Premio Petrobras do Brasil 2012 - Sao Paulo 878° Gran Premio Round 20/20 23-24-25 Novembre 2012[/col] [col]INFO Lunghezza del circuito: 4,309 km Giri da percorrere: 71 Distanza totale: 305,909 km Numero di curve: 15 Senso di marcia: antiorario Mescole Pirelli: media/dura Apertura farfalla: 65% della percorrenza RECORD Giro gara: 1:11.473 - J Montoya - Williams - 2004 Distanza: 1h28:01.451 - J Montoya - Williams - 2004 Vittorie pilota: 6 - A Prost Vittorie team: 11 - McLaren Pole pilota: 6 - A Senna Pole team: 10 - McLaren, Williams Km in testa pilota: 1.140 - A Prost Km in testa team: 3.060 - McLaren Migliori giri pilota: 5 - M Schumacher Migliori giri team: 10 - Williams Podi pilota: 10 - M SChumacher Podi team: 30 - McLaren[/col][col]Orari del Gran Premio del Brasile Venerdì 23 Novembre 10:00-11:30 (13:00-14:30) Prove Libere 1 14:00-15:30 (17:00-18:30) Prove Libere 2 Sabato 24 Novembre 11:00-12:00 (14:00-15:00) Prove Libere 3 14:00-15:00 (17:00-18:00) Qualifiche - Rai Due/Rai HD Domenica 25 Novembre 14:00 (17:00) Gara - Rai Uno/Rai HD[/col] Archiviato con successo il Gran Premio degli Stati Uniti ad Austin, il circus della Formula 1 arriva in Brasile per l'ultima e decisiva prova del mondiale. Il tracciato di Interlagos alla periferia di San Paolo ci dirà chi sarà il Campione del Mondo 2012. La Formula 1 ha avuto una straordinaria accoglienza ad Austin. Sono stati venduti tutti i biglietti e il giorno della gara l'autodromo si è riempito fino a scoppiare. Bernie Ecclestone si è detto molto soddisfatto dell'accoglienza dei tifosi e ha aggiunto che il successo della gara americana è andato "oltre le aspettative". L'idea di Ecclestone è quella in futuro di portare a ben tre i Gran Premi da disputarsi negli Stati Uniti, con la gara del New Jersey già in programma per il 2013 (forse 2014) e un'altra nei dintorni di Los Angeles in un futuro prossimo. A trionfare è stato Lewis Hamilton. L'alfiere della McLaren partito dalla seconda posizione scatta male all'avvio e subisce un sorpasso da parte di Webber, dopo qualche giro l'inglese lo ripassa e si butta alla caccia di Vettel che ha guidato la gara fino al quarantaduesimo passaggio quando Hamilton è riuscito ad infilarlo alla fine del lungo rettilineo del circuito texano. Hamilton si è portato a quota ventuno vittorie superando un'altra leggenda della McLaren come Mika Hakkinen. Il pilota inglese dopo un finale di stagione davvero segnato dalla malasorte con i ritiri mentre era in testa a Singapore e ad Abu Dhabi ha salutato la McLaren con una bellissima prestazione. Alle sue spalle sono giunti Vettel ed Alonso. Il tedesco, campione in carica, ha allungato di tre punti il vantaggio in classifica sul pilota della Ferrari. Proprio la Ferrari ha offerto un'ennesima prova deludente. Alonso ha terminato la gara a quaranta secondi di distacco dai due di testa e onestamente continuare a parlare di mondiale da parte di un team che accusa distacchi del genere alla penultima gara dell'anno è francamente assurdo. La matematica tiene ancora in corsa lo spagnolo e la storia della Formula 1 ci ha insegnato che tutto può accadere, ma i freddi numeri raramente mentono: la Ferrari non ha una macchina in grado di permettere ad Alonso di lottare per il titolo. L'unica speranza del cavallino di poter agguantare il titolo è l'inaffidabilità della Red Bull: negli States sulla vettura di Webber si è rotto l'alternatore che già aveva fatto patire Vettel a Valencia e Monza. Inoltre c'è stata anche una piccola polemica poco prima della partenza che ha coinvolto proprio la Ferrari: Alonso sarebbe dovuto scattare dall'ottava posizione, sul lato sporco della griglia, la Ferrari ha però provveduto alla sostituzione del cambio di Massa arretrandolo di conseguenza di cinque posizioni facendo guadagnare una casella in griglia allo spagnolo per permettergli di partire dal lato pulito della griglia. Scelta poco sportiva? Senza dubbio, ma giunti a questo punto del mondiale si ha l'impressione che ogni mezzo sia lecito pur di non regalare punti agli avversari. Il Gran Premio del Brasile si disputa sul circuito di Interlagos, una piccola località alla periferia sud di San Paolo. Il nome Interlagos vuol dire "tra i laghi" perchè questo quartiere sorge proprio in una striscia di terra che separa due laghi artificiali, il Guarapiranga e il Billings costruiti all'inizio del '900 per rifornire di acqua ed energia elettrica la città . La collocazione del tracciato fa sì che il terreno sia molto instabile e per questo sono in corso continui lavori di manutenzione. La sede stradale non è molto larga e bisogna prestare particolare attenzione alla prima curva seguita dalla S di Senna in discesa dove in partenza si crea un vero e proprio imbuto che può rivelarsi fatale se si rimane incastrati in mezzo al gruppo. La storia del Brasile nel mondo dell'automobilismo è molto lunga e affascinante. Il paese carioca, entrato nel giro iridato agli inizi degli anni ’70, in realtà ha una tradizione molto più risalente nel tempo, anche a livello internazionale. Infatti la prima corsa automobilistica in Brasile si disputò addirittura il 26 luglio 1908, organizzata dall’Automòvel Club De Sao Paulo utilizzando un percorso tra Serra e San Paolo (nella zona detta “Itapecerica”). Vinse un certo Sylvio Alvares Penteado, al volante di una Fiat 40C (!), davanti a circa diecimila persone. Ma è negli anni ’30 che vengono organizzati i primi veri Gran Premi ufficialmente riconosciuti dalla Federazione Brasiliana. Nel 1933, sugli oltre 11 km del tortuoso e terrificante circuito stradale della Gà vea, detto anche “Trampolin do Diablo”, nome che non ha bisogno di spiegazioni, tra muri, pali, case e strapiombi sul mare di decine di metri, con un fondo che muta tra asfalto, cemento, ghiaia, sabbia e binari del tram, Manuel de Teffé su Alfa Romeo 1750 vince il primo “Gran Premio della città di Rio de Janeiro”. L’anno successivo, sempre sul tracciato della Gavea, il pilota locale Irineu Correa vince su una Ford Special 3.6 ma il Trampolin do Diablo non perdona: l’anno seguente il corridore brasiliano perderà la vita cadendo con la sua auto in un canale ai lati della strada al primo giro. Ma è nel 1936 che affluiscono i primi concorrenti stranieri di prestigio, con lo sbarco delle Alfa Romeo gestite dalla Scuderia Ferrari che schiera Carlo Pintacuda e Attilio Marinoni. L’eterogeneo parco macchine locale, comprendente mezzi spesso datati tra Bugatti, Fiat, Ford, Hispano Suiza, può ben poco contro la collaudata organizzazione modenese che domina la gara con Pintacuda fino a che un guasto al differenziale blocca la corsa dell’italiano favorendo la vittoria dell’argentino Coppoli su una Bugatti 51. Il successo del Gran Premio di Rio induce la città “rivale” di San Paolo a organizzare una gara analoga sempre nel 1936, ma quel primo Gran Premio di San Paolo, disputato tra le vie della città , sarà ricordato per il grave incidente che coinvolge la pilotessa Mariette Hélène Delangle, meglio conosciuta come “Hellé Nice” (“ella è bella”), famosa anche per i suoi atteggiamenti disinibiti fuori dai circuiti. Non si sa se a causa di uno spettatore esagitato al punto da gettare una balla di paglia in pista, o dell’attraversamento della strada da parte di un poliziotto, oppure per un errore di guida, fatto sta che la ragazza finisce sulle tribune a 160 km all’ora riportando diverse ferite e provocando la morte di quattro (o sei, non si hanno dati certi) spettatori e il ferimento di oltre trenta. Per la cronaca, stavolta la Scuderia Ferrari fa bottino pieno con Pintacuda e Marinoni primo e secondo. A Rio invece continua il successo internazionale del Gran Premio, coronato nel 1937 dalla seconda partecipazione consecutiva della Scuderia Ferrari, con Pintacuda stavolta affiancato da Brivio, e addirittura dalla sorprendente partecipazione dell’Auto Union che iscrive il suo pilota Hans Stuck (principale fautore dell’insolita trasferta) con la poderosa Type C di 6 litri a 16 cilindri (per la verità non del tutto adatta al tormentato circuito). L’italiano dell’Alfa, grazie anche a un leggera pioggerellina che neutralizza la brutale potenza della monoposto dei quattro anelli, batte l’accoppiata tedesca con un vantaggio di sei secondi, uno dei pochi successi di una vettura italiana in quell’epoca dominata da Mercedes e, appunto, Auto Union. Pintacuda fa il bis a Rio trionfando anche nel 1938. Visti i suoi tre successi in terra brasiliana (contando anche la vittoria a San Paolo), il suo cognome diventa proverbiale in Brasile per indicare chi guida in modo particolarmente veloce, fino ad essere omaggiato in film e canzoni. Nonostante l’inaugurazione del circuito di Interlagos nel 1940, il Gran Premio di Rio alla Gà vea continua a disputarsi anche dopo la Seconda Guerra Mondiale con carattere prevalentemente locale, ma talvolta nuovamente frequentato dai migliori assi del mondo, come alla fine degli anni ’40, sull’onda della “Temporada Argentina” (serie di gare durante il letargo della stagione europea). Il nostro Gigi Villoresi è protagonista con una doppietta nel 1949 quando in una sola settimana vince il quarto Gran Premio di Interlagos (20 marzo) per ripetersi una settimana più tardi trionfando nel settimo GP di Rio de Janeiro, entrambe le volte al volante di una Maserati, battendo le Ferrari di uno sfortunato Farina (comunque secondo a Rio) e Ascari. Dopo tre anni in cui i motori tacciono, nel 1952 si assiste a un duopolio argentino: Gonzalez alla guida di una Ferrari vince a Rio, mentre il connazionale Fangio trionfa a Interlagos. Con l’avanzare degli anni ’50 le gare organizzate a Rio e Interlagos tornano ad una dimensione prevalentemente nazionale (pur se va ricordato che furono organizzate anche due edizioni del "Gran Premio di Boa Vista" nel 1952 e 1957, curiosamente entrambe vinte da Fangio), fino appunto al principio degli anni ’70. Interlagos è la pista che ospita il “debutto” del Brasile nel Mondiale di Formula 1: è il 1973, dopo che l’anno precedente si era disputata l'edizione inaugurale (non valida per il campionato) vinta da Reutemann su Brabham. Non era la Interlagos così come la conosciamo oggi, bensì una pista molto più lunga, quasi 8 chilometri, che alternava curve veloci, curve molto lente e rettilinei velocissimi. Fu progettato per permettere la visibilità quasi dell’intero circuito dalle tribune del traguardo. A vincere in quella prima edizione “mondiale” è proprio il fresco campione del mondo e idolo di casa Emerson Fittipaldi sulla intramontabile Lotus 72, vittoria poi bissata l’anno dopo ma con una McLaren, al termine di una gara accorciata di otto giri per uno scroscio di pioggia. Nel 1975 c’è la sorpresa della pole position della piccola scuderia Shadow guidata da Jarier, che sembra imbattibile anche in gara, ma a sette giri dalla fine si ritira e per la terza volta in tre anni la vittoria va a un pilota brasiliano, il giovane Carlos Pace (su Brabham) alla sua prima e purtroppo unica vittoria. Nel 1976 siamo in piena era Lauda-Ferrari e Niki, iridato in carica, vince a mani basse nonostante la pole di Hunt e una sfuriata iniziale in testa di Regazzoni. Nel 1977 e 1978 vince ancora la Ferrari, entrambe le volte con Reutemann, grazie anche alle gomme Michelin, ma nel 1978 la pista è quella, inedita, di Jacarepagua, a Rio de Janeiro. Nel 1979 si ritorna a Interlagos, e le Ligier di Laffite e Depailler dominano stracciando la concorrenza, e tutti pensano che le vetture francesi domineranno il campionato, ma non sarà così. Nel 1980 si assiste alla prima vittoria di Arnoux sulla Renault turbocompressa, ma alla partenza è Villeneuve a dare spettacolo partendo a razzo dalla terza posizione e scavalcando Jabouille e Pironi di traverso a ruote fumanti, portando per l’unica volta in tutta la stagione la disastrosa Ferrari T5 al comando di una gara. L’anno dopo si assiste al primo dei tanti “dissidi” di casa Williams: piove a dirotto, Piquet sbaglia le gomme, le due Williams di Reutemann e Jones (campione in carica) dominano fino a che dal box esce il cartello che segnala a Carlos di far passare Alan: Reutemann non ci sta e va a vincere. Da quel momento sarà guerra dichiarata tra i due con la squadra spaccata a metà , e a fine stagione Reutemann perderà il titolo per un punto a favore di Piquet, per la gioia di Jones. Sembrano maturi i tempi per una vittoria di Piquet nel suo Brasile, infatti nell’82 dopo una sfuriata di Villeneuve, in testa per i primi 29 giri e poi fuori pista per le gomme finite, Piquet batte Rosberg e vince, ma a fine gara vengono entrambi squalificati per vetture sottopeso (siamo nel pieno della guerra Fisa-Foca e gli inglesi avevano il famoso trucco dei serbatoi per l’acqua “di raffreddamento” per correre sottopeso e contrastare la superiorità dei turbo Ferrari e Renault). Il vincitore diviene così Prost, alla prima di una lunga serie di vittorie in terra brasiliana. Nel 1983 Piquet si riprende il dovuto, vincendo stavolta senza discussioni. L’anno successivo Alain Prost, all’esordio con la McLaren-Porsche, vince dopo un ottimo inizio di Alboreto che debutta sulla Ferrari con 11 giri al comando prima di un guasto ai freni. Prost si ripete l’anno dopo iniziando così la scalata al suo primo mondiale battendo un Alboreto ancor più competitivo partito dalla pole ma urtato da Mansell al via. Piquet vince ancora davanti alla torcida nell’86 debuttando al meglio con la Williams e arrivando davanti all’emergente connazionale Ayrton Senna. Prost ancora primo nei due anni successivi, in particolare nell’88 approfitta di un problema in partenza del suo nuovo compagno di squadra, che è proprio Senna, e va a vincere, primo atto di una rivalità che farà epoca. Nel 1989 triplice inaspettato debutto vincente: all’ultima edizione a tutt’oggi disputata a Jacarepagua, eliminatisi in partenza Patrese, Berger e Senna (che ancora una volta non riesce a vincere in casa), Mansell esordisce sulla Ferrari con una vittoria totalmente inattesa visti i ricorrenti guai di affidabilità del nuovissimo cambio automatico, anch’esso al debutto, battezzando in modo vincente anche la prima gara di Cesare Fiorio come diesse della Rossa. Dodici mesi dopo Mansell viene raggiunto in Ferrari da Prost, che vince per la sesta volta in Brasile (record di vittorie nella stessa gara) approfittando anche di un errore di Senna, leader della gara, nel doppiaggio di Nakajima (suo ex-compagno in Lotus); nel pre-gara il presidente FIA Balestre, che dopo i fatti di Suzuka 1989 aveva minacciato di squalificare Senna, viene fatto oggetto nella pit lane di un eccezionale lancio di arance e pomodori da parte dei tifosi brasiliani inferociti. Ayrton riesce una volta per tutte a sconfiggere la macumba che non lo voleva vincitore in Brasile e nel 1991 trionfa con una gara leggendaria, guidando negli ultimi giri col cambio rimasto in sesta marcia, battendo la sempre più forte Williams-Renault di Patrese: l’urlo di Senna sul traguardo, misto di gioia e di fatica, rimbalzano dalla cronaca direttamente alla leggenda. Dopo l’indiscutibile dominio di Mansell sulla fantascientifica Williams 1992, Senna fa il bis nel 1993 e viene premiato dal cinque volte mondiale Fangio, approfittando della pioggia amica che induce all’errore l’arcirivale Prost, che non lo aveva voluto a fianco a sé sulla sempre invincibile Williams. Nel 1994, la stella di Senna brilla per l’ultima volta con una pole strappata coi denti all’emergente Schumacher con la Benetton, il quale però in gara è imprendibile e costringe Ayrton all’errore. Sarà l’ultima volta che i brasiliani vedranno correre il loro idolo prima che un muretto sul Santerno lo fermi per sempre. Schumacher rivince nel 1995 davanti a Coulthard, ma a fine gara ecco la grana: la benzina dei due “non è conforme”, Berger viene dichiarato vincitore, ma il tribunale FIA ridà la vittoria ai primi due, togliendo però i punti alle squadre: un guazzabuglio tipico delle non-decisioni salomoniche di questo sport. Vittorie nette di Hill e Villeneuve nei due anni successivi, e doppietta del finlandese Hakkinen nel biennio 1998-99, preludio ai due titoli vinti da Mika in quelle stagioni. Nel 2000 Michael Schumacher, al quinto anno con la Ferrari riesce a vincere e a portarsi decisamente in testa al mondiale, che a fine anno prenderà finalmente la via di Maranello dopo 21 anni di digiuno. Nel 2001 (vittoria di Coulthard) la F1 rimane impressionata da Montoya, colombiano che viene dalle gare USA, che in gara affianca Schumacher e lo sposta letteralmente a ruotate per poi passare in testa, prima di venir eliminato dal doppiato Verstappen (non nuovo a incidenti spettacolari in Brasile dopo quello incredibile del 1994). Nel 2002 il dominio incontrastato della Ferrari continua con una nuova vittoria di Schumi, stavolta all’esordio con la inedita F2002 che alla vigilia sembrava troppo poco collaudata per puntare alla vittoria (e Pelè dimentica di sventolare la bandiera a scacchi), invece sarà l’inizio di una stagione in cui gli avversari vedranno la Rossa solo da lontano. L’anno successivo la pioggia provoca incidenti a raffica e dal groviglio di incidenti (Schumi sfiora una gru nella via di fuga) esce fuori la sorpresa Fisichella, alla sua prima vittoria, con la Jordan, tuttavia i confusionari commissari rovinano la sua legittima gioia perchè in un primo tempo assegnano la vittoria a Raikkonen, e solo dopo due settimane Fisichella vedrà riconosciuta la vittoria. Nel 2004, altra stagione tutta-Ferrari, il Brasile viene spostato a fine stagione e Montoya si congeda dalla Williams con una vittoria, che per il team di Sir Frank sarà l’ultima per otto lunghi anni, fino al trionfo di Maldonado alcuni mesi fa in Spagna. Juan Pablo fa il bis nel 2005 ma con la McLaren-Mercedes, proprio nel giorno del matematico primo titolo mondiale di Alonso con la Renault, che diventa il più giovane campione del mondo della storia della F1. Lo spagnolo rivincerà il titolo nel 2006 di nuovo in Brasile, gara che vede la vittoria del pilota di casa Felipe Massa, primo brasiliano a trionfare in casa dai tempi di Senna, mentre passa alla storia la gara d’addio alla F1 di Schumacher, che viene attardato da un guaio in prova e da un contatto in gara con Fisichella che gli provoca una foratura: Michael comincia una epica rimonta, degna di Clark e di Stewart, che lo porta a rimontare un giro di ritardo fino alla quarta posizione finale, con sorpassi eccezionali come quello a Raikkonen, suo successore in Ferrari. E proprio Raikkonen nel 2007 compie l’impresa che nessuno realisticamente pensava: è ormai storia, ma difficilmente si potrà dimenticare (dopo una stagione segnata dalla clamorosa spy-story) l’harakiri del giovane Hamilton che con la sua McLaren-Mercedes partiva con un vantaggio di sette punti sul finlandese della Ferrari e quattro sul suo compagno-rivale, il due volte campione in carica Alonso. Raikkonen, coadiuvato al meglio dal team-mate Massa, sempre fortissimo in casa, va a vincere la gara, mentre dietro Hamilton, prima con un errore in frenata poi con un momentaneo problema al cambio, resta invischiato in una difficile rimonta che lo relega a un inutile settimo posto finale, con Raikkonen campione del mondo per un solo punto sulla coppia, separata in casa, della McLaren. Nel dopo-corsa il colpo di scena, con la possibile squalifica per carburante irregolare di Williams e BMW che, se attuata, consegnerebbe il titolo a Hamilton, ma poi il risultato in pista viene confermato e in Ferrari si può festeggiare. Il miracolo non si ripete l’anno successivo, quando Massa perde il titolo per un punto a favore di Hamilton che agguanta all’ultimissima curva il piazzamento che gli serve per diventare il più giovane iridato della storia fino a quel momento. Interlagos è il luogo della consacrazione anche per Button nel 2009, mentre nel 2010 la vittoria di Vettel nella penultima gara stagionale non sembrava affatto preludere al suo primo titolo mondiale, come poi avvenne nel successivo appuntamento di Abu Dhabi. Il Brasile quindi ancora una volta decreterà il vincitore del mondiale di Formula 1. Vettel o Alonso? Chi la spunterà in terra carioca? La logica dice Vettel. Il pilota tedesco ha tredici punti di margine sullo spagnolo e soprattutto una vettura molto più forte della Ferrari. Anche in caso di vittoria (improbabile) di Alonso, al campione di Heppenheim basterebbe un quinto posto per portarsi a casa l'iride. Il mondiale è giunto all'epilogo e tutto sommato è stato un bel campionato: l'incertezza delle prime gare, con sette vinciori diversi, si è poi trasformata in stabilità . Se alla fine di luglio il vantaggio in classifica di Alonso sembrava confortante e ampiamente gestibile, gli zero punti di Spa hanno fatto vacillare le certezze dei ferraristi che poi si sono totalmente spente dopo l'altro zero in classifica rimediato a Suzuka. Se Vettel vincerà questo mondiale dovrà comunque ringraziare il suo team che non ha mai mollato, neanche durante il periodo di crisi estiva quando il tedesco sembrava fuori dalla lotta per il titolo. A partire dal Gran Premio di Singapore la musica è radicalmente cambiata: la McLaren, che giungeva da tre vittorie di fila, si è arresa ai problemi di affidabilità che altrimenti avrebbero permesso anche ad Hamilton di essere della partita, la Ferrari è sprofondata in una crisi tecnica e prestazionale, mentre la Red Bull grazie agli aggiornamenti studiati da Adrian Newey si è imposta in quattro gare di fila permettendo a Vettel di prendere il comando della classifca iridata. Chiunque tra i due contendenti dovesse trionfare, il prossimo anno sarebbe il pilota più titolato presente sulla griglia di partenza con tre titoli mondiali. Infatti questa brasiliana sarà la trecentottava ed ultima gara di Michael Schumacher. Il sette volte campione del mondo metterà definitivamente fine alla sua carriera sportiva alla soglia dei quarantaquattro anni. Al termine del Gran Premio del Brasile inizierà il lungo inverno d'attesa. Tra la fine di Gennaio e l'inizio di Febbraio verranno presentate le nuove vetture e piloti e tecnici saranno impegnati nelle sessioni collettive di test per poi dare l'appuntamento a tutti i tifosi e gli appassionati al prossimo 17 Marzo per il Gran Premio d'Australia! Arrivederci a tutti! Domenico Della Valle - Francesco Ferrandino - http://www.passionea...-presentazione/ Passione a 300 all'ora
  2. Benvenuti e bentrovati a tutti. Dove eravamo rimasti? Il rapporto tra gli USA e la F1 è una storia fatta di ammiccamenti, proposte più o meno indecenti, gravi incidenti e glamour Questa è la cinquantunesima volta che si corre sul suolo statunitense a partire dal 1959, senza tenere conto delle 11 edizioni della 500 MIglia di Indianapolis che sono state inserite nel calendario iridato tra il 1950 e il 1960 ma che non sono mai state prese in considerazione dai team europei - eccezion fatta per la Ferrari che tentò inutilmente l'impresa con Alberto Ascari nel 1952 - anche perchè le due formule erano molto diverse tra loro. Curiosamente, i team di F1 presero in considerazione seriamente (e vinsero) la gara più famosa del mondo solo dopo che questa ebbe perduto la validità mondiale, ma questa è un'altra storia. Nel 1959 si corse a Sebring, in Florida, un tracciato ricavato da un vecchio aeroporto militare in disuso e che ospita ancora oggi una delle corse di durata più importanti: la "12 Ore". Quel GP vide la prima vittoria del 22enne neozelandese Bruce McLaren al volante dell Cooper-Climax. L'anno successivo si corse a Riverside, in California, su un circuito che oggi non esiste più. Vinse Stirling Moss. A partire dal 1961 il GP degli USA trovò una sede fissa a Watkins Glen, nello stato di New York al confine tra la Pennsylvania e il Canada. Il tracciato era tanto veloce e spettacolare quanto pericoloso, caratterizzato da una velocissima S in salita che costituiva un sovrappasso sulla strada di accesso al paddock, dal Loop (una curva parabolica a quasi 180°) e dai guardrail verniciati di azzurro. Nel 1969 Graham Hill ebbe un gravissimo incidente in prova in cui fu sbalzato fuori dall'abitacolo della sua Lotus 49B e riportò serissime fratture alle gambe. Conseguentemente il tracciato fu modificato allungato con una parte più lenta ma nel 1973 fu teatro dell'atroce morte di Francois Cevert. Il Glen di solito era la gara conclusiva del campionato e si correva a ottobre, per cui il clima non era mai dei più caldi e il pubblico, che in granparte campeggiava a bordo pista, trovava modo di scaldarsi accendendo numerosissimi falò e bevendo ettolitri di birra. Questo comportava delle conseguenze spesso imbarazzanti con megarisse, auto incendiate e soprattutto con i commissari che dovevano spesso ripulire la pista dai cocci di bottiglia lanciati dalle persone ormai fuori controllo. Tra l'altro, essendo appunto l'ultimo GP dell'anno, i meccanici ne approfittavano organizzando dei mercatini improvvisati nei quali vendevano ai fans memorabilia e pezzi di auto ormai inutilizzabili arrotondando così il loro salario. Nel 1976 Bernie Ecclestone tentò la sua difficile “scalata” agli USA raddoppiando quindi le gare americane: una in aprile, l'altra a fine stagione. La località prescelta era Long Beach, una ex-città portuale che viveva una poderosa riqualificazione. Un uomo d’affari inglese, Chris Pook, la volle trasformare nella Montecarlo californiana e convinse Ecclestone ad organizzarvi un GP di F1. Dopo la positiva “prova generale” del 1975, quando si disputò una gara di F5000 con piloti europei e statunitensi, nacque il GP degli USA Ovest (al Watkins Glen si correva quello degli USA Est). Il tracciato si snodava tra le strade del porto turistico, partendo dalla parte alta, più lenta, per scendere sul lungomare (la Shoreline Drive) passando per ampi parcheggi. A delimitare la pista vi erano botti di ferro piene di sabbia e, per la prima volta nella storia della F1, muretti di cemento prefabbricati spessi e pesanti. Il paddock era ricavato all’interno del Long Beach Exhibition Center, la locale Fiera. L’edizione 1976 venne dominata da Clay Regazzoni, autore anche della pole position, che rischiò di saltare il GP per cause di forza maggiore. Il sabato, dopo le prove, lui e Jacques Laffite fecero conoscenza con due ragazze del posto, decisero di andare in albergo con loro e presero la prima spider che trovarono con le chiavi inserite. Il proprietario informò la polizia che rintracciò Clay, autore materiale del “noleggio agevolato”, e lo portò in guardina. Solo l'apparato diplomatico della Ferrari gli permise di essere in autodromo il giorno dopo. Nel 1978 si mise in luce per la prima volta il talento di Gilles Villeneuve, al suo 7° GP, che condusse con sicurezza fino a metà gara prima di volare sulle ruote della Shadow di Regazzoni a causa di un doppiaggio un po' troppo ottimistico. Il GP del 1980 celebrò la prima vittoria in carriera di Nelson Piquet, con la Brabham, ma vide terminare drammaticamente la carriera di Clay Regazzoni. Partito 23°, il ticinese in giornata di grazia rimontò fino al 4° posto a due terzi di gara ma all’improvviso, in fondo al lunghissimo rettilineo della Shoreline Drive, il pedale del freno della Ensign #14 si ruppe improvvisamente. In quell’occasione la Ensign montava per la prima volta pedali in titanio per ottenere maggior leggerezza. Lo svizzero picchiò prima contro la gomma posteriore destra e il lato destro della Brabham di Ricardo Zunino, parcheggiata e non rimossa nella via di fuga fin dal via, e si schiantò contro i blocchi di cemento posti in fondo al tornante spostandoli di un metro. La violenza dell’impatto fu tale che il motore della sua Ensign si staccò dal telaio colpendolo alla schiena e lesionandogli la spina dorsale. Trasportato al St. Mary Hospital di Long Beach, dopo 17 giorni venne trasferito al Paraplegikerzentrum di Basilea ed affidato alle cure del primario, il dottor Guido Zà¤ch. Successivamente gli “esperimenti” neurochirurgici del cinese prof. Carl Kao (lo stesso che operò Christopher Reeve) gli fecero perdere definitivamente ogni speranza di riprendere l’uso delle gambe. Quello del 1982 fu un GP storico per il ritorno alla vittoria di Niki Lauda dopo i due anni di pausa nei quali si dedicò alla Lauda Air. Dopo aver lasciato “sfogare” Andrea De Cesaris, autore della pole con l’Alfa Romeo, il vecchio volpone approfittò di un’indecisione del romano in un doppiaggio e si portò in testa andando a vincere indisturbato. Un successo che rilanciò definitivamente la carriera dell’austriaco. Anche l’anno successivo Long Beach fu testimone di un’impresa strepitosa. Le McLaren di John Watson e Niki Lauda ottennero un'incredibile doppietta dopo essere scattate della 22ma e 23ma posizione di partenza, un record ancora imbattuto. Gli scarsi guadagni e lo scarso interesse degli americani per la F1 fecero interrompere a questo punto l’esperienza di Long Beach. Abbandonato il Glen per motivi organizzativi e di sicurezza, Ecclestone decise di non perdere il 2° GP statunitense ed organizzò la gara decisiva del mondiale 1981 a Las Vegas, nel parcheggio del Caesar’s Palace, un casinò talmente grande e pacchiano da risultare disgustoso quanto il tracciato. In questo ambiente surreale Nelson Piquet conquistò il suo primo titolo iridato concludendo la gara stremato per la disidratazione. L’anno successivo fu Michele Alboreto a trionfare per la prima volta riportando la Tyrrell alla vittoria dopo 4 anni di digiuno. Fu l’ultima volta che si corse a Las Vegas. Sempre nel 1982, Ecclestone riuscì a portare la F1 a Detroit, la capitale mondiale dell’automobile dove hanno sede la Ford e la General Motors. Il circuito si snodava tra le strade attorno al Renaissance Center delimitate da guardrail e dagli ormai usuali muretti in cemento. L’asfalto era particolarmente irregolare e le lamentele da parte di teams e piloti si sprecavano. La prima travagliata edizione fu vinta dalla McLaren di Watson per somma di tempi dopo un’interruzione dovuta ad un incidente. Nel 1983 Alboreto approfittò di una foratura di Piquet e conquistò l’ultima vittoria per la Tyrrell e per il vecchio Ford Cosworth. L’edizione del 1987 fu caratterizzata dalla prima vittoria di una F1 dotata di sospensioni attive: la Lotus 99T Dopo l’edizione del 1988, nella quale Pier Luigi Martini conquistò il primo punto mondiale per la Minardi, il Circus abbandonò definitivamente Detroit. Quello di Dallas si rivelò il più fallimentare tra gli esperimenti cittadini tentati da Ecclestone. Anche qui l’organizzazione era pressoché dilettantistica, l’asfalto era inadeguato alla potenza delle F1, si sbriciolava ad ogni passaggio delle vetture e costrinse gli organizzatori a rattoppare la sede stradale con cemento a presa rapida la mattina prima del GP. In compenso (sic!) facevano bella presenza ai box JR Ewing e Sue Ellen, protagonisti del teletormentone Dallas, recentemente "riesumato" e immediatamente sepolto per la seconda volta. Nigel Mansell ottenne la sua prima pole ma il GP fu un disastro a causa dell’asfalto scivoloso: alla fine 12 monoposto andarono a muro. Vinse Keke Rosberg che ottenne la prima vittoria per il motore Honda V6 turbo. Mansell, dopo essersi fermato all’ultimo giro per la rottura del differenziale, cercò di spingere la vettura fino al traguardo ma cadde stremato per lo sforzo sull’asfalto rovente. Con il quinto posto di Piercarlo Ghinzani, l’Osella conquistò i suoi ultimi 2 punti. Nel 1989 Ecclestone si fece tentare di nuovo dai muretti a stelle e strisce e strinse un accordo per far correre la F1 a Phoenix su un ennesimo circuito insulso, simile a Detroit. L’unico motivo per cui si ricorda Phoenix è il duello tra Ayrton Senna ed il quasi deb Jean Alesi che infiammò per un paio di giri la gara del 1990. Il resto furono solo ritiri e toccate contro il muro. Lo scarso interesse degli statunitensi per la F1 si evidenziò dai dati che parlavano di appena 25.000 spettatori paganti per l’edizione del 1991 e della mancata diffusione televisiva della gara sul territorio nazionale. Pochi mesi dopo gli organizzatori vendettero addirittura tutta l’attrezzatura servita per l’allestimento del GP, compresi anche i guard-rail, nonostante l’accordo prevedesse altre 2 edizioni. Nel 2000 si cominciò a correre a Indianapolis, su un tracciato abbastanza ridicolo (Irvine lo definì un mix di Monza e Budapest) ricavato all'interno del catino più famoso del mondo. Il rettilineo di partenza veniva percorso in senso contrario rispetto alle monoposto della F.Indy. La prima edizione vide un pubblico di 250.000 spettatori, record assoluto per la F1 e fu vinta da Michael Schumacher. Il pubblico però si rivoltò contro il Circus nel 2005 dopo il patetico episodio delle gomme Michelin che si sfaldavano: solo 6 monoposto in gara. L'ultima edizione si tenne nel 2007 e vide la vittoria di Lewis Hamilton davanti al compagno di squadra Fernando Alonso. Domenica si correrà ad Austin, la meno "texana" delle città dello stato guerriero per eccellenza. Il tracciato, ricavato a pochissimi km dalla città e adiacente all'aeroporto Bergstrom, è un misto veloce da oltre 200 kmh di media. Libere 1: venerdì 16 dalle 16.00 alle 17.30 Libere 2: venerdì 16 dalle 20.00 alle 21.30 Libere 3: sabato 17 dalle 16.00 alle 17.00 Qualifiche: sabato 17 dalle 19.00 Gara: Domenica 18 alle 20.00 Sarà molto interessante seguire il duello tra Vettel e Alonso. Che vinca il migliore! Programma del GP in PDF http://www.youtube.com/watch?v=S5gLoxNE7ms
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