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sundance76

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  1. “La pista mi piace, ma i rally mi piacciono di più. Penso che tutto dipenda dal mio modo di interpretare le competizioni. Quando sono in pista mi sembra di non poter dimostrare tutte le mie capacità. Penso sempre che, in fondo, non è così difficile percorrere correttamente otto, dieci curve di un circuito. Sono sempre le stesse, non cambiano mai e, soprattutto, su queste curve ci si è già passati un centinaio di volte... insomma, la pista mi piace ma non mi affascina. Forse perché in questa situazione non sono "il" più veloce, ma solamente uno come tutti gli altri. In un rally, invece, in una prova speciale si devono affrontare venti curve differenti e in ognuna c’è l’opportunità di esprimersi al meglio, in ognuna posso provare di essere il migliore” Walter Röhrl, campione del mondo rally 1980 e 1982
  2. “A me la pista piace, ma mi piace meno rispetto ai rally. Penso che tutto dipenda dal mio modo di interpretare le competizioni. Quando sono in pista mi sembra di non poter dimostrare tutte le mie capacità. Penso sempre che, in fondo, non è così difficile percorrere correttamente otto, dieci curve di un circuito. Sono sempre le stesse, non cambiano mai e, soprattutto, su queste curve ci si è già passati un centinaio di volte... insomma, la pista mi piace ma non mi affascina. Forse perché in questa situazione non sono il più veloce, ma solamente uno come tutti gli altri. In un rally, invece, in una prova speciale si devono affrontare venti curve differenti e in ognuna c’è l’opportunità di esprimersi al meglio, in ognuna posso provare di essere il migliore” Walter Röhrl
  3. Non credo sia questo il punto. Attualmente ogni caratteristica, ogni misura di ogni singolo componente del motore è dettata dal regolamento per avere motori il più possibile identici e intercambiabili (nel caso di defezione di qualche motorista) e persino la potenza deve essere il più possibile simile, addirittura arrivando a consentire di sviluppare un motore in deroga al congelamento ordinario se esso ha un divario di potenza oltre un certo limite rispetto agli altri motori. La standardizzazione si ottiene con un regolamento lunghissimo, che prescrive fino all'ultimo millimetro ogni particolare.
  4. Un recente articolo, 2021, in occasione del 90° anniversario della sua vittoria alla Mille Miglia, primo straniero (e unico con Moss) a riuscirci: https://www.pressreader.com/uk/autosport-uk/20210415/282986812757868
  5. Beh, le limitazioni di pressione al turbo non implicano necessariamente standardizzazione, visto che ogni motore a pari limitazioni di bar erogava potenze diverse, oltre ad avere architetture diverse. Il tutto era in prospettiva della successiva totale abolizione del turbo.
  6. Forse la prima decisa pietra è a metà anni '90 con la fissazione di un unico frazionamento dei propulsori.
  7. Similmente, nel Mondiale Rally abbiamo assistito all'anteprima di Tommi Makinen, quattro titoli consecutivi tra il 1996 e il 1999, ma poi dal 2004 ci sono stati 9 (NOVE) titoli consecutivi di Loeb, e 6 di Ogier (il quale ne ha ottenuti 8 in 9 anni), quindi 17 titoli "seriali" in nemmeno vent'anni.
  8. In 120 anni di Gran Premi (e un'ottantina di campionati relativi, prima e dopo il 1950), sono 5 i piloti che hanno vinto almeno 3 titoli consecutivi. Di questi, solo Fangio ce la fece nel 20° secolo. Tutti gli altri, Schumacher , Vettel, Hamilton, Verstappen lo hanno fatto in questo primo scorcio di 21° secolo. Cioè in 23 anni, abbiamo avuto una cinquina (Schumacher), due poker (Vettel e Hamilton), un tris (migliorabile, di Verstappen). In pratica 16 mondiali su 23 sono inclusi in lunghissime strisce seriali. Nell'86 fece scalpore il secondo titolo consecutivo di Prost, cosa che non accadeva da 26 anni (Jack Brabham nel 1959 e 1960). Siamo di fronte a una straordinaria congiunzione astrale, oppure ci sono motivi tecnico-regolamentari alla base di queste - a volte inverosimili - dittature di un unico conduttore? Domanda ovviamente pleonastica.
  9. https://www.p300.it/wrc-rally-del-cile-2023-tanak-ritrova-la-vittoria-uscita-di-suninen-regala-il-costruttori-a-toyota/ Tanak si conferma a mio parere il più forte pilota del mondiale, penalizzato dall'inaffidabilità e dalla mancanza del pieno appoggio di una squadra ufficiale, per quanto l'M-Sport di Wilson sia un team di prim'ordine.
  10. Pazzesco. Al rally mondiale di Sanremo '83, che durava dal 2 all'8 ottobre, c'erano persino le guide-programma per ogni singola tappa!!! Ecco quella per la tappa di Pisa (4-5 ottobre):
  11. Accidenti, oggi finisce l'Acropolis con l'ultima tappa, composta da... 3 prove speciali. Eh, lo so, un massacro, ma questo è niente: la gara in totale ne prevedeva ben... 15!! Ieri guardavo il filmato dell'edizione '82: 29th ROTHMANS ACROPOLIS RALLY 1982 (31 maggio 1982 – 3 giugno 1982) Prove Speciali complessive 57, così suddivise: - 1^ tappa: 18 PS (1 cancellata) - 2^ tappa: 16 PS - 3^ tappa: 14 PS (1 cancellata) - 4^ tappa: 9 PS In sostanza, l'intera gara 2023 non fa nemmeno una tappa dell'82. E piloti e Case vogliono ancora accorciare i rallyes....
  12. A forza di tagliare, faranno una gita tra il porto e il Partenone: https://www.autohebdo.fr/breves/rallye/rallye-de-lacropole-les-es14-et-es15-raccourcies-des-speciales-encore-impraticables.html E ci volevano dei geni per spostare l'Acropolis, che per secoli si disputava a fine maggio-inizi giugno, a fine estate.
  13. (Carlo Cavicchi – dal libro “Destra3 lunga chiude” – prefazione): I rally compresi tra gli anni ‘60 e i primi anni ‘90 erano molto diversi dagli attuali, e in comune c'è soltanto la dicitura che qualifica la disciplina sportiva. I piloti dell'epoca non andavano più forte di quelli di oggi, difficile anche stabilire se erano o non erano più bravi. Di sicuro erano dei personaggi diversi costretti a correre gare molto differenti per durezza e lunghezza, disponendo di mezzi meccanici che si rompevano con crudele frequenza. Ma la differenza più grande rispetto alle gare di oggi è che a quel tempo i piloti professionisti al via erano sempre tantissimi, spesso mescolati in elenchi-iscritti sterminati, punteggiati da vetture spettacolarmente differenti tra di loro. I numeri al riguardo non mentono: a Montecarlo furono 299 nel 1982, erano ancora 207 nel 1995 poi crollarono ad appena 23 nel 1997, dopo le restrizioni assurde e incomprensibili imposte dalla Federazione internazionale. E furono 250 al Rac (oggi rally di Gran Bretagna) del 1975 superando ancora i 200 nel 1989. Ma avevano partenti record anche la Corsica (181 nel 1982) oppure la Finlandia (200 nel 1989) e si parla di gare blasonatissime del giro iridato. Anche il rally di Sanremo, punta di diamante delle corse italiane, se la passava benissimo e ancora nel 1998 poteva vantarsi di 160 iscritti quando già si parlava di tempi grami alle porte. Perché una disciplina che portava centinaia di migliaia di spettatori sulle strade (a Sanremo qualche ottimista aveva parlato persino di milioni quando la gara raggiungeva anche gli sterrati della Toscana) si sia ridotta alla miseria di oggi è un discorso molto lungo. Di certo la scelta di obbligare gli iscritti ai vari campionati a partecipare a tutte le gare in calendario, con trasferte a volte costose e un numero di appuntamenti al limite dell'assurdo, ha convinto molti costruttori a rinunciare. Così siamo passati da una media di oltre 20 piloti ufficiali per gara, con punte anche di 40, alla miseria di oggi dove a lottare sono al massimo in quattro o cinque, e a vincere quando va bene appena in due o tre (il terzo si materializza quando accade qualche cosa fuori dall'ordinario). I favoriti al via erano sempre tanti come un giovane appassionato fatica anche soltanto ad immaginarsi: nomi altisonanti mescolati spesso a quelli degli specialisti locali che sulle loro strade sapevano tenere testa ai migliori. Ma era una festa anche di rumori perché si scontravano vetture a 2, 4, 6 e 8 cilindri, spesso con carrozzerie dalle forme più disparate perché grosse berline e coupé, spider e utilitarie si combinavano insieme per il piacere degli occhi. Auto a trazione anteriore, posteriore o integrale, calzate con gomme di fabbricanti molto differenti e tutti agguerriti: Pirelli e Michelin, ma pure Kléber, Dunlop e Yokohama fino ad arrivare alle marche più disparate e alle coperture ricoperte per i più disperati. Senza parlare dei pneumatici da neve che erano costruiti a mano da produttori del nord Europa, capaci di montarci sopra chiodi lunghi come le unghie della matrigna di Biancaneve. Ecco, in un mondo così, a volte con gare lunghe quasi una settimana e senza pause per riposare, era quasi inevitabile che capitassero fatti al confine con la leggenda o che si registrassero gesti clamorosi e che ci fossero degli epiloghi inaspettati. In molti rally si contavano oltre 80 prove speciali, in altri nessuna ma con tutti i controlli orari pressoché impossibili da rispettare e pertanto si era a piede giù dalla partenza all'arrivo. Un esempio-limite era la “Transmarocchina”, una prova di quasi 800 km (!!) nel corso della quale bisognava fare più volte rifornimento e puntualmente sostituire le gomme. E si badi bene, quella non fu l'unica prova speciale di quella gara, ma una delle 9 dispute ... In quella corsa il vincitore, Jean-Pierre Nicolas, impiegò 20 ore e 20' di soli tratti cronometrati, e se vi sembra tanto dovete sapere che lo stesso Nicolas quando vinse in Costa d'Avorio nel 1978 di ore ne impiegò 54 e 28’... Per capire la differenza basta sottolineare che il vincitore del Tour de Corse 2015, Latvala, ha impiegato in tutto 2 ore e 39'. Quei rally, che oggi trovano tanti fans a fare da spettatori agli appuntamenti per vetture storiche, furono una fortuna per il pubblico del tempo, per i piloti dell'epoca e anche per i pochi giornalisti che li seguivano, in particolare quelli che si portavano lungo la strada per giorni e notti di fila correndo a loro modo la loro personalissima gara. Le assistenze erano dopo ogni prova e non confinate in parchi asettici vietati agli spettatori, così il clima si respirava dal vivo e le disavventure, frequentissime, si ascoltavano in diretta dalla viva voce dei protagonisti: il cronista assieme al direttore sportivo perché il pilota arrivava, imprecava e poi ripartiva. Tutto senza filtri: avventure che poi finivano sui giornali e chi a casa le leggeva, s'innamorava della disciplina e non vedeva l'ora di portarsi su un campo di gara a respirare quell'atmosfera.
  14. Non me ne vanto, anzi mi dispiace profondamente pensando all'amore immenso e multiforme che tuttora provo per l'automobilismo, ma saranno ormai due o tre anni che non guardo un GP intero, io che sin dai primissimi anni '90 li guardavo sempre tutti, registrandoli regolarmente.
  15. Negli anni '70 Autosprint dedicava poster ai campioni di 40 anni prima
  16. sundance76

    Miki Biasion

    PARTITA DOPPIA "Credevo di avere fatto il pieno di emozioni rallistiche (la prima vittoria nel mondiale al rally di Argentina '86; il Montecarlo '87 e la sfida sul Turini; il Safari '88; la conquista del titolo iridato) ma mi mancava il Sanremo '89. In Italia ogni limite veniva battuto. Quando la prova italiana di campionato del mondo prendeva il via, non pensavo certamente che si sarebbe trasformata nella corsa a più alto tasso di suspense della mia carriera, in un folle inseguimento alla vittoria. Al Sanremo la Lancia schierava la Delta Integrale con motore a 16 valvole, una vettura pensata in funzione della stagione '90 e che aveva già compiuto parecchi test. Ma che era al debutto in gara. La bianca livrea Martini aveva lasciato posto a un aggressivo colore rosso e subito la nuova arrivata era stata soprannominata la «signora in rosso». Al rally di Italia di signore in rosso ce n'erano due, una per me e un'altra affidata a Auriol. La scuderia Jolly Club, invece, continuava con la solita Delta Integrale a 8 valvole. La rosa dei contendenti al successo finale era ristretta a noi del team Martini, a Fiorio e Cerrato del Jolly, e ai due uomini della Toyota, Carlos Sainz e Juha Kankkunen con quest'ultimo che aveva già sottoscritto il contratto '90 con la Lancia. Come dire, il mio nuovo compagno di squadra. Un vero e proprio blitz, l'ingaggio del finlandese da parte dei responsabili della Casa italiana, un'operazione volutamente soprattutto per indebolire la Toyota. "Cosa ne pensi del ritorno di Kankkunen in Lancia?». Nei giorni antecedenti la gara sembrava che tutti si fossero messi d'accordo nel pormi la stessa domanda. E per tutti la stessa risposta: "In Lancia o in un'altra squadra, Juha rimane sempre un avversario, uno tra più ostici". Il secondo titolo iridato consecutivo, proprio come il finlandese, me lo sentivo già in tasca: al Sanremo, per avere la certezza matematica, mi sarebbe bastato arrivare terzo. Comunque, visto che il succo della vita è soprattutto lottare, impegnarsi, esprimere il meglio di sé, niente strategie ma piuttosto puntare diritto alla vittoria. L'incognita, tuttavia, era proprio la "signora in rosso": una nuova vettura è ancora tutta da scoprire e le sorprese sono sempre tante. Sull'asfalto delle prime speciali, nell'entroterra imperiese, la Delta 16v rispondeva bene e con Auriol otteneva tempi da assoluto, mentre io mi limitavo a controllare la situazione. Ma quando arrivava la terra della Toscana, il francese-tutto-attacco finiva fuori strada. Per una "signora in rosso" che lasciava la testa del rally, eccone un'altra pronta a rilevarla: diventavo leader del Sanremo. Per una sola speciale, però, perché nella prova in salita-discesa-salita di Ulignano si metteva un cerchio difettoso a ribaltare tutto: il pneumatico fuoriusciva dalla sua sede e con esso se ne andavano oltre due minuti. La gara sembrava irrimediabilmente compromessa. Ad Arezzo, alla fine della prima tappa, ero quarto in classifica, ma nella mia mente era maturata la certezza che se fossi riuscito a presentarmi al via della frazione finale, tutta su asfalto, con un distacco dal primo inferiore ai due minuti, avrei potuto tentare l'assalto. Ma dovevo anche risparmiare la Delta sugli sterrati. In una situazione difficile: recuperare sui primi e al tempo stesso non sacrificare il mezzo. Sulla terra il primato inizialmente era di Fiorio, successivamente passava nelle mani di Sainz e della Toyota. Mi lasciavo alle spalle la Toscana, i suoi borghi e le dolci colline, con 1'44" da Sainz e 42" da Fiorio. Nel trasferimento verso Genova, dove si disputava una superspeciale tra pile di vecchi pneumatici e nella quale ottenevo il miglior tempo (altri 3 " strappati allo spagnolo e uno ad Alex), il successo, e con esso il secondo titolo, non mi sembrava più una meta irraggiungibile. Qualche ora di riposo, poi lo squillo del telefono all'Hotel Londra di Sanremo mi annunciava che era il momento di alzarsi, indossare la tuta e incominciare il conto alla rovescia dell'ultima notte di gara con i suoi centocinquanta chilometri di speciali. Mancavano un paio d'ore allo scoccare della mezzanotte di mercoledì 11 ottobre e in classifica ero terzo a 1'41 "da Sainz e a 41" da Fiorio. Sui centocinquanta chilometri di prove tra le montagne liguri potevo recuperare, in teoria, un centinaio di secondi. Giusto lo svantaggio con cui mi presentavo al via dell'ultimissima frazione. Il calcolo lo avevo effettuato con i tecnici della Lancia sulla base dei tempi ottenuti nel corso della prima tappa, nella quale la Delta 16V, sulle stesse strade, era risultata più veloce della Celica di poco meno di un secondo a chilometro. Ma, allora, la vettura era fresca, ancora vergine nel motore e nella meccanica e non affaticata da tre giorni di gara. Sul lungomare di Sanremo, in attesa del via, incontravo Carlos Sainz. Nel suo sguardo mi sembrava di intravedere un misto di speranza e rassegnazione. Speranza nel riuscire a conservare la leadership e regalare così alla Spagna rallistica la prima affermazione nel mondiale, rassegnazione perché i calcoli li avevano fatti anche in Toyota. Seduto nell'abitacolo della sua Delta Integrale, Fiorio dava l'impressione di sentirsi tra l'incudine e il martello: avrebbe dovuto combattere su due fronti, attaccare lo spagnolo e cercare di contenere la mia rimonta, che non era un segreto per nessuno. Poco meno di un secondo ogni mille metri da recuperare per tentare l'impossibile, correndo ventre a terra contro due avversari che avrebbero fatto altrettanto. Il cielo era stellato che pareva quello di un presepe, la temperatura fresca e le strade erano secche. Quando mi avviai verso la prima speciale, quella guidatissima di Perinaldo, mi sembrò un buon auspicio. Lungo i tredici chilometri in salita e discesa di Perinaldo, i cronometri mi assegnavano il miglior tempo: Fiorio era a 5", Sainz a 10". I calcoli trovavano una prima conferma. «Andando avanti cosi possiamo ancora farcela» sentenziava Siviero all'assistenza con l'ingegnere Lombardi che si univa alla convinzione del coéquipier. Qualcuno mi portava notizie di Sainz: «Carlos ha superato la prova al limite suo e della Celica; più di così, ha detto, non può fare». Mi rifugiavo nel camper per qualche istante: avvertivo un fastidioso cerchio alla testa ma rifiutavo di prendere antinevralgici. Temevo che i farmaci potessero intorpidirmi i sensi. Ancora dieci chilometri di speciale, quelli da Apricale a Baiardo, una salita stretta e impegnativa ed erano altri 6" strappati a Fiorio e 12” a Sainz. Adesso mi restavano 1'19" da annullare sullo spagnolo e 30" su Alex. Al servizio di Baiardo decisero di non sostituire i pneumatici così da avere le coperture già in temperatura ottimale per la prova successiva. I dialoghi con Tiziano si erano ridotti al minimo: mi comunicava solamente i tempi dei due diretti rivali. Ogni volta che mi sfilavo il casco ricompariva il cerchio alla testa. E la notte era ancora lunga. Ancora uno "scratch", al Monte Ceppo: adesso Fiorio era a 17" e Sainz, al quale avevo rifilato 17" in diciassette chilometri, era a 1'02". Mancavano sei speciali alla fine e tra noi tre era anche guerra di nervi. «Carlos sembrava rassegnato a perdere terreno ma non dispera» mi riferivano agli assistenti. Alex, invece, lo vedevo da me: ere tranquillo, concentrato e riceveva continue iniezioni di fiducia da parte del suo diesse Bortoletto. Mi sembrava di assistere a un film già visto: Portogallo '85, Röhrl che nelle ultime prove cerca disperatamente di strapparmi il secondo posto, Bortoletto che mi incita a resistere. Sul Colle d'Oggia, a meno cinque speciali dal traguardo, lasciavo Fiorio a 10" e Sainz a 19"; al riordino di Colle San Bartolomeo mi presentavo con soli 43" dalla Toyota e a 7" dalla Delta del Jolly. La rimonta stava cessando di essere tale e stava per trasformarsi negli ultimi assalti alla vittoria. Nel piccolo bar a Colle San Bartolomeo ci eravamo trovati seduti allo stesso tavolo io e Siviero, Sainz e il suo navigatore Moya, Fiorio e Pirollo; qualche minuto insieme per allentare la tensione in attesa del rush finale. Kankkunen fece una fugace apparizione: entrò nel chiassoso e fumoso locale, si guardò intorno, girò i tacchi e uscì. Le ostilità riprendevano con ancora novanta chilometri di speciali da consumare. I primi venticinque erano quelli che uniscono le salite di Ponte dei Passi e del Colle d'Oggia. «Cos'è successo a Sainz?» chiesi alla fine della speciale. Lo spagnolo aveva perso in una botta sola tutto il suo vantaggio, 43"; tra noi due adesso era pareggio in classifica. Fiorio era a 16". «Gli si è bloccato il cavo dell'acceleratore. Ormai sa di aver perso» mi comunicarono mestamente due cineoperatori spagnoli. Le radio private, che trasmettevano in una diretta no-stop la notte del Sanremo, avevano già annunciato via etere la nuova, incredibile classifica. Alle prime luci dell'alba le assistenze Lancia e Toyota si animavano di spettatori che avevano deciso di salire fin sulle montagne per guardare in faccia i tre in lotta racchiusi in un fazzoletto, per coglierne le espressioni. Per vivere attimo per attimo un finale da cardiopalma. «La frenata non è perfetta» urlai al servizio di Cesio e chiesi che fosse controllato l'impianto frenante; nell'ultima speciale mi aveva preoccupato non poco. In un tempo-record i meccanici sostituirono pinze e dischi freni. L'ingegnere Lombardi, che sovrintendeva ogni operazione, osservò i dischi appena smontati e annuì. Sembrava ormai fatta ma nel secondo passaggio di Ponte dei Passi, accorciato questa volta , i problemi ai freni si ripresentavano: i teorici undici-dodici secondi che avrei dovuto guadagnare su Sainz si erano ridotti a otto; Fiorio occupava il terzo posto a 22". E la vittoria era più che mai rimessa in discussione. Era ormai giorno quando le dita del cronometrista scandirono il tre... due... uno... VIA! della prova di Vignai, la più lunga della tappa con i suoi ventinove chilometri, tutti di strada stretta. Affondavo il piede sul pedale del freno e la risposta che ricevevo era blanda, la Delta faticava a rallentare la sua corsa. Le speranze cullate per due giorni, la rimonta costruita metro dopo metro lungo ventiquattro sofferte speciali, sembravano aver fine. Dopo i primi ventitré chilometri di Vignai ero già in ritardo su Fiorio di 10"; negli ultimi sei ne perdevo altri 11". La situazione si era fatta difficile: il vantaggio su Alex era sceso a un secondo, un misero secondo; Sainz era a 3". Si ricominciava da capo, a meno venti chilometri dall'alt. E le défaillance ai freni erano sempre in agguato Quelli del Jolly Club erano in agitazione: stavano vivendo il loro grande momento, il loro pilota era a un passo dal successo clamoroso. Le sigarette di Bortoletto non si contavano più: lo osservavo dal finestrino del camper mentre cercavo di rilassarmi per qualche breve minuto. Concentrai tutte le mie risorse mentali; mi ripassai ogni centimetro di strada; chiusi gli occhi e mi isolai dal resto del mondo. Ero già in prova speciale, la penultima. 7'37” il mio tempo; 7'45" quello di Fiorio; 7'49" quello di Sainz. Tornavo a sperare con quei 9 "di vantaggio su Alex e 15" su Carlos, nove secondi con i quali mi preparavo ad affrontare gli ultimi dieci chilometri che valevano un primo posto, un mondiale, una gioia grande così. Che valevano, se l'assalto fosse riuscito, la più bella, sofferta vittoria della mia carriera. Fermo sulla linea di partenza della speciale decisiva, incrociai lo sguardo di Tiziano: mi strizzò l'occhio e alzò il pollice della mano destra. Risposi con un cenno del capo, ma continuavo a pensare ai freni: mi avrebbero assecondato nella discesa verso l'abitato di San Romolo? Quando conclusi la prova i quattro dischi erano quattro piatti incandescenti. Incandescenti come la tensione di chi mi stava aspettando al controllo-stop: Sainz, che aveva tentato il tutto per tutto, aveva strappato un 7'19"; Fiorio 7'05", il miglior tempo. Io, più lento di Alex di 4", avevo vinto il Sanremo per cinque-secondi-cinque sul ragazzo del Jolly e venticinque sullo spagnolo. Era finita. All'assistenza Lancia di Coldirodi, l'ultima prima del traguardo di Sanremo, i meccanici avevano già tirato fuori una corona d'alloro: era quella per il secondo titolo mondiale. Siviero aveva gli occhi lucidi. A fatica mi trattenni dal mostrare altrettanto". (Miki Biasion con Maurizio Ravaglia, "Una favola mondiale", Conti editore 1989)
  17. Mi fa piacere vedere che finalmente anche i cosiddetti media autorevoli, e numerosi professionisti del settore, parlino apertamente di crisi grave del Mondiale rally. Pochissime Case impegnate, pochi piloti al via, pochissimi top drivers, macchine ultra-iper-costosissime.
  18. L'ho vista in diretta, avevo 13 anni.
  19. Su "Veloce today" è stata riproposta la bellissima intervista di Elly Beinhorn Rosemeyer, la grande aviatrice moglie del mitico Bernd Rosemeyer, Campione d'Europa Grand Prix 1936, realizzata da Aldo Zana nel 2003. Potete tradurla agevolmente col tasto destro del mouse, grazie a google. Pubblicata pochi giorni fa, ha già ottenuto ben quattro, dico quattro, commenti, sulla testata che l'ha pubblicata on line. Peccato essere in così pochi a conoscere e ricordare i personaggi e le storie degli anni '30... https://velocetoday.com/meeting-elly-beinhorn/
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